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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

I presupposti nelle testimonianze di Stefano Fontana e Pino Modica

Simona Antonacci

 

Mentre imperano gli “eroici” anni Ottanta, tra Transavanguardia, Anacronismo e gruppo di San Lorenzo, si sviluppa a Roma una ricerca artistica che, attraverso un modello operativo di gruppo e una elaborazione teorica rigorosa e condivisa, costituisce un'alternativa vitale quanto celata nel panorama locale e nazionale. Si tratta del Gruppo di Piombino il quale, a dispetto del nome, ha operato principalmente nella capitale aprendo (e anticipando) quella poetica del quotidiano che caratterizzerà gli anni Novanta.

A questa esperienza, purtroppo ancora largamente misconosciuta, è dedicata una ricognizione in più puntate che tenterà di ricostruire, attraverso un approccio plurifocale, i caratteri di un progetto capace di dare vita a un vero e proprio piano strategico di intervento militante nella realtà del quotidiano, attraverso la messa in discussione dei ruoli, degli spazi e delle funzioni tradizionali del sistema dell’arte.

Si comincia in questo numero con una prima parte della storia, supportata dalle parole di due dei protagonisti, Stefano Fontana e Pino Modica, raccolte in occasione dell’elaborazione della tesi di Specializzazione Eventualismo e Gruppo di Piombino, un confronto[1].

 

La nascita del gruppo di Piombino si deve alla convergenza di due percorsi di ricerca che corrono in una medesima direzione in due contesti operativi differenti, Roma e Piombino.

La parte romana dei futuri Piombinesi si nutre della fondamentale esperienza dell'Eventualismo, sviluppatasi intorno al Centro Studi di Psicologia dell'Arte Jartrakor.

Avviata nel 1977 da quello straordinario animatore che è Sergio Lombardo, con una posizione di aperto antagonismo rispetto al sistema dell’arte, l’esperienza vede tra i suoi primi protagonisti due dei futuri Piombinesi: Domenico Nardone e Cesare Pietroiusti. La teoria dell’evento elaborata a via dei Pianellari propone un modello operativo di ricerca a cavallo tra sperimentazione scientifica e intervento artistico[2], fondata sulla costruzione di oggetti-stimolo capaci di coinvolgere le facoltà consce e inconsce dello spettatore e di produrre attraverso di esse un comportamento estetico non prevedibile, eventuale appunto.

La necessità di portare questa sperimentazione artistica fuori dai luoghi deputati all’arte, in spazi dunque in cui le convenzioni d’uso e di contemplazione stereotipata dell’oggetto non possano inibire i comportamenti individuali, conduce Nardone ad allontanarsi dal gruppo di Jartrakor: l’intervento artistico non deve essere dichiarato e chiarito a priori, ma agire di nascosto, senza creare un setting sperimentale riconoscibile che orienti l’azione e la percezione del singolo. Deve vivere nello spazio urbano[3].

La galleria Lascala, fondata da Domenico Nardone, Daniela De Dominicis e Antonio Lombardi nel 1983, avvierà quel processo che porterà, nel corso degli anni Ottanta, a tentare di rinnovare i sistemi convenzionali del sistema dell’arte e le forme dell’azione dell’arista, del critico, dello spazio espositivo e, soprattutto, del fruitore. Le prime mostre a Lascala - come Quattro lavori di Antonio Lombardi[4] e ancor più la mostra senza autore Interpolazioni urbane[5] - hanno infatti già un sapore “piombinese”.

Mentre a Roma si pongono le basi teoriche, nella provincia toscana il Gruppo 5 (composto da Salvatore Falci, Stefano Fontana e Pino Modica + un ambiente + il pubblico operante in quell'ambiente) ha già cominciato ad "aggredire" lo spazio pubblico con ludici, sovversivi esperimenti, che lasciamo raccontare agli artisti stessi nell’intervista che segue.

Esportando la goliardia della provincia in una capitale immobile, si compone così quello che viene chiamato gruppo di Piombino che, tra il 1983 e il 1991, metterà a punto una serie di interventi subliminali nello spazio urbano con i quali il pubblico interagisce in modo inconsapevole.

La loro apparizione si celebrerà niente meno che ai Giardini della Biennale del 1984 con le sedie di "Sosta Quindici Minuti"[6].

Un intervento abusivo, naturalmente.

Intervista a Pino Modica e Stefano Fontana[7]

Come è nata l’esperienza del Gruppo di Piombino?

Alla fine degli anni Settanta ci incontriamo a Piombino, tutti e tre già da tempo dipingevamo. Del resto non era molto difficile incontrarsi, eravamo tre artisti a Piombino! È nata subito una grande amicizia, c’era la voglia di fare qualcosa insieme. All’inizio eravamo semplicemente tre amici artisti. Eravamo cani sciolti. L’incontro con Nardone avviene successivamente.

La prima mostra che facciamo, agli inizi degli anni Ottanta, sponsorizzata dalla Coop Piombino si intitola Ritmo Vibrazioni Colori…era molto lontana da quello che avremmo fatto dopo. Eravamo insoddisfatti però di quello che stavamo facendo.

La “rivelazione” avviene in un momento preciso. Avevamo cominciato a lavorare insieme, stavamo cercando nuove sedi dove fare mostre nelle cittadine vicine, non era semplice trovare degli spazi. Di ritorno da Suvereto, dopo uno di questi sopralluoghi, all’improvviso vediamo tre covoni di fieno ben stagliati contro il cielo al tramonto ed esclamiamo contemporaneamente: “Guarda che belli!”. L’intervento del contadino aveva creato una forma di bellezza inaspettata. Capimmo in quel momento che era possibile trovare l’elemento estetico anche in luoghi nati senza questa aspettativa, non solo nell’arte, dunque, ma anche nella realtà.

A quel punto eravamo carichi di idee, facemmo un progetto di intervento nello spazio urbano che poi non abbiamo realizzato. Volevamo “aggredire” Piombino, stimolare azioni rispetto ad oggetti ambigui. Noi cercavamo più che l’azione l’atteggiamento spontaneo, e solo nella strada potevano essere così.

L’oggetto non doveva rendere completamente decodificabile l’intervento, ma doveva essere al contrario omologato al sistema degli oggetti d’uso, doveva avere un alibi. L’uso dell’oggetto non doveva essere decodificabile altrimenti sarebbe stato già tutto chiaro. L’oggetto in un primo momento non doveva essere “fraintendibile”, dunque non doveva sembrare insolito rispetto alla situazione.

Come sceglievate i luoghi dei vostri interventi?

La scelta del luogo era molto accurata, molto approfondita, in generare facevano dei viaggi appositamente per individuare il contesto migliore per i nostri esperimenti. All’inizio ci spostavamo soprattutto nella provincia toscana che ci sta vicino, Populonia, Piombino, ecc.

Come eravate organizzati in quel momento?

In quel momento ci riuniamo come Gruppo 5. Il numero allude alle componenti del gruppo: oltre ai tre artisti, infatti, vengono inclusi uno spazio e il pubblico operante all'interno di quello spazio.

Avevate una teoria di riferimento all’inizio, eravate influenzate da letture particolari?

Non c’era una teoria di riferimento forte, il livello di cultura del gruppo era all’inizio inesistente. Successivamente sentiamo l’esigenza di orientarci e muoverci, documentarci e strutturarci da un punto di vista teorico.

Come è andata alla Biennale del 1984 con “Sosta Quindici Minuti”?

Noi avevamo già messo in atto il progetto a Populonia, posizionando le cinque sedie. Lì ad esempio l’elemento di interferenza era costituito dai colori delle sedie e dalla scritta “Sosta quindici minuti”, altrimenti per il resto si trattava di oggetto comuni.

Alla Biennale di Venezia del 1984 abbiamo fatto un’azione illegale. C’era il servizio d’ordine, ma noi siamo riusciti a scavalcare le transenne senza farci vedere. Abbiamo piazzato le sedie e siamo rimasti nascosti per un po’. Quando è passato Achille Bonito Oliva insieme a Calvesi voleva farle togliere, ma poi è successo qualcosa che ha distolto l’attenzione. Tra l’altro in quella Biennale c’era anche un cartello, fuori “Transavanguardia e ipermanierismo prodotto dell’imbecillità italiana…da Calvesi ad Achille Bonito Oliva”.

Le guardie che erano lì hanno fatto dei commenti divertiti ma pensavano fosse un’opera, anche se la guardavano con ironia! Anzi una di loro nel momento del cambio ha detto al collega: “Tieni d’occhio le sedie e mi raccomando controlla che la gente non si sieda per più di quindici minuti!”.


[1] Simona Antonacci, L’altra Roma degli anni Novanta. Eventualismo e Gruppo di Piombino, un confronto. Tesi di Diploma della Scuola di Specializzazione in Storia dell’arte dell’Università degli Studi di Siena, relatore Prof. Enrico Crispolti, correlatore prof. Massimo Bignardi, anno accademico 2010-2011.

[2] Sull’esperienza dell’Eventualismo, altrettanto significativa nel panorama romano degli anni Ottanta, e sulla figura di Sergio Lombardo, si sta lentamente delineando una adeguata bibliografia. Imprescindibili il testo dello stesso Lombardo, L’Avanguardia difficile, Lithos editrice, Roma 2004 e il volume che ne traccia la storia, P. Ferraris, Psicologia e arte dell’evento. Storia eventualista 1977-2003, Gangemi, Roma 2004.

[3] Come spiega lo stesso Domenico Nardone il problema che si pone nel momento dell’allontanamento da Jartrakor è legato alla necessità di ampliare il contestodi riferimento in cui l’opera-stimolo agisce, come esemplifica l’episodio della presentazione delle Sfere con sirena diSergio Lombardo. Presentatein occasione della Biennale di Venezia del 1970, Lombardo avrebbe voluto esporle in un auditorium lasciando al pubblico la possibilità di suonarle come strumenti, come peraltro avviene con i suoi Concerti per musica aleatoria. «Per contro - afferma Nardone - sostenevo che, al suo posto, avrei voluto installare le sfere agli angoli delle piazze, senza alcuna indicazione d’uso». In D. Nardone in Ritorno a Piombino. Salvatore Falci, Stefano Fontana, Pino Modica, Domenico Nardone, Cesare Pietroiusti, a cura di Domenico Nardone, catalogo della mostra presso Galleria Primo Piano gennaio-febbraio 1999, Roma, pag. 5.

[4] La mostra, nell’ottobre 1983, presenta le opere PFf, Orizzontale, Senza Titolo e Non asportare. Quest’ultima consiste in una targhetta adesiva con la scritta “non asportare” attaccata in vari punti della città: la reazione dei passanti è documentata da fotografie. Come scriverà successivamente Domenico Nardone questo lavoro è «storicamente riferibile all’area piombinese»[4] e risulta in effetti significativo per l’indirizzo di ricerca di Lascala, perché l’intervento dell’artista si situa nello spazio urbano secondo una pratica di disordinazione. Cfr. D. Nardone L'avanguardia di Piombino e il movimento subliminale diffuso, testo della conferenza tenuta al convegno Oreste 2, Abbazia di Montescaglioso, settembre 1999, pubblicato in “Arte.it”, anno II, n.1 nuova serie, giugno.

[5] La mostra presenta una raccolta di disegni murali e graffiti trovati dal curatore nello spazio pubblico.

[6] L’esperimento-stimolo prevede il collocamento in uno spazio pubblico di cinque di sedie, ognuna di un colore diverso. Su di esse è applicato un cartello con la scritta “Sosta di 15 minuti/15 minutes stop”. Viene realizzato per la prima volta a Populonia nel 1983, per essere poi ripetuto “illegalmente” nei Giardini della Biennale di Venezia del 1984, e infine presentato presso Lascala nel novembre-dicembre 1984. In questa occasione vengono presentate le sedie, una serie di diapositive documentarie e i tre grafici che illustrano le modalità di interazione del pubblico.Nel testo pubblicato nel catalogo della mostra l’intervento artistico viene trattato come un vero e proprio esperimento, condotto secondo un rigoroso metodo scientifico che prevede un’accurata pianificazione, le motivazioni delle scelte e l’analisi dei risultati condotte secondo i parametri di: valore di preferenza della sedia in funzione del colore, percentuale di rispetto dell’indicazione.

Obiettivo dell’esperimento è attivare, grazie ad un oggetto stimolo, un comportamento estetico.

[7] Estratti dell’intervista a Stefano Fontana e Pino Modica realizzata a Piombino, presso lo studio degli artisti, il 29 aprile 2011.

In mostra è presentata anche la successiva elaborazione dei grafici riferiti alle azioni del pubblico:

“1° grafico - Percentuali azione su singole sedie suddivise per colore da cui risulta che quella più usata in assoluto è stata la gialla

2° grafico - Percentuale azioni su singole sedie suddivise tra uomini e donne da cui risulta che la più usata dalle donne è stata la gialla e fra gli uomini è stata la blu

3° grafico - Percentuale azioni rispetto alla scritta “ sosta 15 minuti” da cui risulta che rispetto all’imperativo hanno sostato di più percentualmente le donne rispetto agli uomini”.