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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Dalla produzione alla condivisione dell’esperienza artistica

Natalia Gozzano

Aprire uno spazio intimo fra sconosciuti, in un tempo definito e in circostanze sempre diverse. Giocare sull’elasticità del movimento, della quantità, del tempo e delle forme.
Su questi due crinali si è svolto, dal 2 febbraio al 17 marzo, il lavoro realizzato da Tino Sehgal alle Officine Grandi Riparazioni di Torino, a cura di Luca Cerizza. Da un lato, il “coinvolgimento” del pubblico da parte dei performers (in tutto una cinquantina, che si sono alternati nell’arco delle giornate), dall’altro il loro muoversi nello spazio e nel tempo, entrambi ampli.
L’orario di apertura dell’evento - dalle 11 alle 19 -, come in una mostra d’arte, pone la fruizione della performance in una dimensione ciclica, permettendo di entrare ed uscire in qualsiasi momento dalla grande aula del Binario 1, splendido spazio un tempo riservato alla costruzione e riparazione di locomotive, automotrici e vagoni ferroviari.
Sono arrivata poco dopo l’orario di inizio: una coppia sedeva per terra, il ragazzo cantando sommessamente, la ragazza muovendosi con movimenti lenti e fluidi. Poi, dal fondo della sala, la schiera di 16 peformers ha cominciato ad avanzare per raggiungere la coppia e dar vita a una danza poco “danzata”, dall’andamento irregolare. A un certo punto, dal gruppo si sono staccati, singolarmente, tre o quattro performers e si sono avvicinati ad alcuni visitatori. Ecco che si apre lo spazio dell’intimità imprevista, immediata e dunque quasi illecita.
«Quando mi sono laureato, alla facoltà di Danza ad Amsterdam, i miei genitori erano là. Naturalmente io ero contento, come tutti. Ma quando, alla fine della cerimonia che è stata molto intensa, li ho visti avvicinarsi e mi sono accorto che erano commossi, improvvisamente mi sono commosso anch’io, in maniera inaspettata». Il ragazzo sorride, mentre mi racconta quest’episodio che non ho motivo di credere non sia autobiografico. Mi regala il suo sorriso e se ne va, raggiungendo il gruppo e riprendendo la danza.
E così per altre due volte, altri performers si sono avvicinati e mi hanno raccontato qualcosa della loro vita e di sé, sempre qualcosa di molto personale e commovente: la fragilità dei sentimenti e della psiche emergevano con naturalezza. Nessuna barriera, nessuna difesa a far da schermo a una comunicazione semplice e diretta, sincera perché umanamente condivisibile. Nessuna barriera nemmeno fra il pubblico - disposto lungo le pareti della sala priva di platea – e i performers. Condivisione dello spazio, condivisione dell’intimità. Quella della coppia che viene lasciata sola al centro della sala e si bacia e si accarezza – vaga rievocazione dei diversi Baci della storia dell’arte -, sembra dunque tanto naturale come i racconti che ci vengono fatti, e senz’altro non è più impudica di questi.
I protagonisti di quest’opera hanno risposto a un appello lanciato da Tino Sehgal. Le storie che hanno intrecciato nei mesi preparatori, insieme all’esperienza del lavoro collettivo, hanno creato le variabili dei movimenti e hanno sostenuto l’alto gradiente empatico fra il gruppo, tale da coinvolgere poi anche il pubblico. Non una coreografia definita, dunque, quella che emerge, ma un’onda, come un’onda mnesica…
I ritmi si susseguono sempre mutando: da lentissimo a veloce, infine frenetico. La massa e l’individuo si alternano, creano la forma, che poi si disfa in percorsi individuali. E si muovono nello spazio che, appunto, non sta dentro il “black frame” dello spazio scenico tradizionale, ma vive invece nella “white box” dello spazio museale. Questo spazio condiviso permette il libero fluire dell’energia: sia quella fisica della corsa, della danza, delle azioni, sia quella emotiva dei racconti personali, a tu per tu.
Si parla di “smaterializzazione dell’oggetto artistico”, a proposito del lavoro di Tino Sehgal (nato a Londra nel 1976, di nazionalità anglo-tedesca), che da alcuni anni riscuote un grande interesse: retrospettive gli sono state dedicate nel 2015 dallo Stedelijk Museum di Amsterdam e dal Martin-Groepius-Bau di Berlino e nel 2016 dal Palais de Tokyo di Parigi; nel 2013 ha ricevuto il Leone d’oro alla Biennale di Venezia.
La sua formazione si è svolta in due ambiti – la danza e le scienze economiche - la cui apparente distanza Sehgal annulla. Come spiega nel testo Per un nuovo modello produttivo, pubblicato nel numero speciale che il quotidiano il manifesto ha dedicato alla mostra delle OGR il 3 febbraio 2018, ciò su cui l’arte oggi si deve interrogare è il suo ruolo in rapporto al sistema economico produttivo. Produrre oggetti artistici quali risultante di un processo di trasformazione della materia significa, afferma l’artista, avallare e dunque perseguire un modello di produzione economica dominante, di cui capitalismo e comunismo sono le due facce. Ma il pericolo insito in questo modello è ormai evidente nel sempre maggior divario fra la disponibilità di beni offerti dalla natura e il loro eccessivo consumo. Trasformare la materia per produrre beni mette dunque seriamente a rischio la sopravvivenza ecologica dello stare al mondo.
«Quello che intendo dire è che la danza, come il canto, in quanto mezzo artistico potrebbe rappresentare il paradigma per un nuovo modello produttivo che si incentra sulla trasformazione dei comportamenti invece che del materiale, sull’instaurare una continuità tra presente e passato per dare vita a una nuova forma di presente invece che puntare all’eternità, sulla simultaneità tra produzione e de-produzione invece che su un’economia di crescita»(1).
Questi ultimi aspetti emergono soprattutto, a mio avviso, nella modalità di presentazione del lavoro e di coinvolgimento del pubblico. Come ha evidenziato Luca Cerizza, richiamandosi al saggio di Boris Groys Politics of Installations(2), le opere d’arte sotto forma di installazione museale creano delle comunità temporanee all’interno del museo, che agiscono differentemente rispetto alla tradizionale esperienza singola dei visitatori. Ma, soprattutto, creano una forma di memoria che passa attraverso i corpi. I corpi che si muovono sulla scena e i corpi che assistono. Gli sguardi, i rumori, la sensazione termica condivisa, gli odori, mescolano performers e pubblico, e li uniscono in un’esperienza che nasce esattamente in quel luogo e con quelle persone. E che l’artista rifiuta di veicolare attraverso fotografie: le sensazioni che il suo lavoro comunica mi fanno affiorare alla mente verbi come permeare, osare, suggerire, scivolare, sorridere, cantare. Nulla che possa essere trasmesso attraverso un’immagine fissa, rischiando di annullare proprio quel valore esperienziale con cui Sehgal intende proporre una maniera condivisa e partecipata di esperienza artistica.
Aprile 2018


1)"T. Sehgal, Per un nuovo modello produttivo», in Tino Sehgal, inserto de il manifesto, a cura di L. Cerizza, 3 febbraio 2018, p. 3.
2)L. Cerizza, «Dieci lunghe domande ancora senza risposta», ivi, pp. 2-3; Boris Groys, «Politics of Installations», in e-flux, #02, gennaio 2009.