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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Per una transcodificazione artistica della scienza

Le parole di Olga Kisseleva in un'intervista di Valentina Vacca

La ricerca artistica di Olga Kisseleva (1965)(1) costituisce una delle esperienze più interessanti nel panorama contemporaneo per quel che concerne il binomio arte-scienza e, soprattutto, per quel che riguarda il fenomeno del cambiamento climatico. Originaria di San Pietroburgo, l’artista mira infatti a portare in luce la questione climatica avvicinandosi però ad essa con lo sguardo del ricercatore. Da qui, dunque, nascono le sue numerose collaborazioni con biologi e scienziati, fisici e matematici senza le quali, del resto, la poetica della stessa artista non potrebbe esistere. L’opera d’arte da lei creata, infatti, si configura come l’ultimo vettore di un’esperienza scientifica vera e propria; la sua esistenza si rivela fondamentale in quanto detentrice di un messaggio emozionale dapprima disciplinato solamente attraverso un codice scientifico. Nascono così opere come quelle coinvolte nell’esposizione Sea View (Fig1), una serie di straordinarie installazioni dove l’artista ha cercato di documentare la situazione drammatica dei fondali marini dandone però anche una previsione per il futuro; o Urban Datascape (Fig2), installazione interattiva realizzata nell’ambito della conferenza internazionale sul clima tenutasi a Parigi nel 2015. Grazie al dialogo con quest’opera i cittadini, inquadrando un semplice Qrcode, hanno infatti potuto approfondire la questione climatica cercando di comprendere che atteggiamento avrebbero avuto davanti al problema(2).
V.V.Ci può spiegare il suo artistic statement?

O.K. Penso che l’arte sia necessaria per creare un mondo più intelligente e più giusto e che l’artista sia come un ricercatore che esegue una sorta di indagine sulla società con lo scopo di rinvenire il modo migliore per raggiungere tale obiettivo. Questo per me è il compito dell’artista. Ad ogni modo, considerando l’artista un ricercatore, si pone il problema del delimitare, di testare le competenze che sono necessarie per risolvere questa questione. Non si tratta solo di quelle artistiche, ma anche di come applicare quelle scientifiche appartenenti a scienziati, ingegneri, biologi e a chiunque operi in altri ambiti di ricerca. Mi appello dunque anche ad altre competenze: se per esempio lavoro con un biologo che, alla luce della sua esperienza, mi consiglia di agire in un modo piuttosto che in un altro, io seguo ciò che dice. Prima di tutto, insomma, cerco di trovare la verità scientifica e solo dopo la trasformo in opera d’arte. Riguardo la mia collaborazione con gli scienziati, le vorrei dire però che lascio il lavoro scientifico a loro. Io sono piuttosto l’esperienza scientifica. Per quanto riguarda l’opera, questa non è il risultato ordinario dell’esperienza scientifica. Gli artisti che lavorano con gli scienziati, che si tratti del clima o di altri argomenti, trasformano il risultato scientifico in una sorta di messaggio emotivo più o meno estetico. Si tratta di un messaggio che si rivolge a più persone e non solamente agli addetti ai lavori, agli “intelligenti”. Questo è molto importante ancora prima di capire le tabelle di numeri o i grafici degli scienziati.
V.V.Lei ha anche delle nozioni di scienza?
O.K. Sì, ho studiato fisica e matematica. Vengo da una grande famiglia di scienziati, tre in particolare sono dei grandi fisici. Si tratta dunque di una cultura familiare, ad esempio mio padre era un importante fisico specializzato in termodinamica. Fin da quando ero bambina cercava di spiegarmi qualcosa anche in connessione alla società.
V.V.Ho avuto modo di studiare la sua opera Urban Datascape realizzata per COP21. L’opera era principalmente basata sull’interazione con i cittadini di Parigi. Come pensa che si siano sentiti i cittadini rispetto al cambiamento climatico dopo aver avuto modo di dialogare col suo lavoro?
O.K. Quando sono stata invitata dalla città di Parigi a realizzare quest’opera nell’ambito di COP21, ero in realtà molto scettica. Pensavo che non avrebbe avuto senso, che si trattava di un qualcosa di troppo ufficiale, che non avrebbe coinvolto le persone. Questo perché sono cresciuta in Unione Sovietica dove non c’erano molte manifestazioni culturali organizzate dal governo. Ma quando mi hanno proposto di prendere parte a questo progetto, mi è stato anche dato un contesto molto interessante: uno spazio sulle rive della Senna proprio accanto al Musée d’Orsay. Si è trattato dunque di creare un dialogo fra la questione climatica e le opere degli impressionisti conservate nel museo. Inoltre, ho lavorato con tre importanti istituzioni che studiano il clima, dunque ho potuto contare anche su persone interessate alla questione. È stata un’esperienza molto importante. Posso dire che quello che mi ha stupito maggiormente è stato proprio vedere l’impatto sulle persone dopo l’interazione e il dialogo con la mia opera attraverso lo spazio interattivo in relazione al clima. Penso che questo abbia reso le persone più sensibili alla problematica ed infatti ora vedo un atteggiamento diverso tra i bambini, tra gli studenti, tra le persone che conosco. Il loro comportamento è cambiato molto, è come se i parigini fossero stati colpiti dall’interno.
V.V. Per Urban Datascape ha lavorato sui lati della Senna. Pensa che questa vicinanza al fiume cittadino, dove si riflette l’identità dei parigini, sia stata importante per accrescere la sensibilità del pubblico?
O.K. Non credo, in realtà su questo non ho riflettuto perché per me l’elemento principale era la vicinanza al Musée d’Orsay e alle opere impressioniste, importantissime per Parigi e in generale per la cultura francese. Penso che lo spettatore del mio lavoro fosse sensibile, in linea generale, all’arte impressionista. Ma anche, come giustamente dice lei, probabilmente è stato importante il ruolo della Senna, specialmente per le persone che lavorano là vicino e che si sono sentite coinvolte.
V.V.In che modo secondo lei i musei possono contribuire alla comprensione del cambiamento climatico?
O.K. I musei ammettono il valore delle opere degli artisti impegnati nella questione climatica e ne comprendono il grande apporto. Riguardo le modalità, sicuramente i musei potrebbero invitare gli artisti che si occupano del cambiamento climatico a lavorare con gli studenti.
V.V.Qual è il suo medium preferito per lo studio del cambiamento climatico?
O.K. Penso che la maggior parte delle cose che ho fatto siano installazioni interattive. La cosa importante è che vi sia una forte presenza plastica oltre alla possibilità per lo spettatore di intervenire e di dialogare con l’opera. Dunque ci tengo molto alla realizzazione di installazioni quanto più possibile interattive.
V.V. Nelle sue installazioni per Sea View siamo davanti ad un report scientifico che suscita paura nello spettatore. Questo sentimento potrebbe, in realtà, far crescere la sensibilità rispetto al cambiamento climatico? Qual è la sua opinione?
O.K. Bene, questo è un buon esempio di ciò intendevo dire riguardo la trasformazione da un messaggio scientifico a uno intellettuale ed emozionale presente in quest’opera. Per esempio, il pubblico apparentemente sembra essere molto sensibile al cambiamento del colore, in questo caso del mare. La maggior parte delle opere coinvolte in questa mostra sono già entrate a far parte di due collezioni private e al momento ne resta solo un pezzo. Del resto, si tratta di opere con un’estetica molto forte che si impegnano sul fronte politico, climatico ed ecologico. Si tratta di un esempio perfetto della trasformazione di un messaggio scientifico in un messaggio artistico.
V.V. Il suo straordinario lavoro Eden parla di vita e morte, resurrezione ed estinzione, nuove vite che hanno origine grazie alla memoria. È come se qui l’arte desse una nuova opportunità a qualcosa che il cambiamento climatico ha distrutto.
O.K. Non si tratta solo di alberi distrutti dal cambiamento climatico ma anche per colpa dell’uomo. Si tratta di un progetto molto importante attualmente: noi cerchiamo di salvare o restaurare quattro alberi che non esistono più o che a breve si estingueranno. Spero entro qualche mese di poterli avere in esposizione al Museo di storia naturale di Parigi che si è occupato di progetti con artisti molto importanti. Conto dunque, a breve, di poter mostrare gli alberi salvati. Parlando della questione del clima, dando una nuova opportunità a questi alberi piantandoli nuovamente, si crea una sorta di reversibilità del cambiamento climatico. Ad esempio, vi sono due alberi che solitamente crescevano nel deserto. Dunque non si dà una nuova opportunità solo a questi alberi ma anche al clima-house.
V.V.Lo scorso anno ha partecipato alla residenza BioArtica, in Finlandia. Ci può parlare di questa esperienza?
O.K. Si tratta dell’unica residenza francese che permette di fare ricerca direttamente sulla natura. Io sono di San Pietroburgo, nel nord della Russia, dunque per me si trattava di un’esperienza interessante perché io sono il risultato di ciò che mi ha circondato e quella del Nord Europa è la natura che conosco. Del resto, ho ancora delle domande sulla questione del cambiamento climatico nel Nord Europa.
V.V.Gli artisti che dialogano col cambiamento climatico sembrano provenire più frequentemente da paesi del Nord, oltre che da Stati Uniti e Australia. Come mai secondo lei?
O.K. Non si tratta secondo me di artisti del nord o del sud, di chi si interessa o di chi no. Penso tuttavia che la questione riguardi più il sud perché al momento è dove si soffre più il cambiamento climatico, in Francia, in Italia ad esempio. Qui infatti il clima sta cambiando, altrove invece sembra essersi paralizzato. Nel nord finalmente il cambiamento climatico sembra aver dato una tregua agli uomini, anche se comunque vi sono degli altri problemi, quello degli alberi ad esempio, dei giardini, etc.
V.V.Pensa che l’arte possa salvare il pianeta?
O.K. Sono sicuramente un’utopista e un’idealista ma credo fermamente che l’arte possa migliorare il pianeta specialmente quando inizia a collaborare con la scienza. Non si tratta solamente di ciò che l’artista vuole mettere in luce: l’artista fa conoscere la ricerca scientifica aggiungendo però il valore emozionale, il suo risentimento e la sua visione artistica. È per questo che ho fondato alla Sorbona il laboratorio di arte e scienza e a Londra l’istituto per la convergenza delle arti. Tuttavia, si tratta di due cose un po’ diverse perché il laboratorio della Sorbona è qualcosa che ho creato, che dirigo e col quale faccio dei progetti importanti. Nell’istituto di Londra sono solo un membro fondatore, diciamo che si tratta più di un luogo per riflettere e per confrontare le idee ma di fatto non supporta progetti di laboratorio. Alla Sorbona, invece, scienziati e ricercatori preparano progetti con me.
V.V. A chi si rivolge il laboratorio della Sorbona?
O.K. È aperto anche agli studenti che però non sono obbligati a partecipare. Sono soprattutto i ricercatori le anime di questo laboratorio, che è a tutti gli effetti un laboratorio di ricerca. Abbiamo ricercatori interni della Sorbona ma anche esterni, abbiamo anche molti dottorandi della scuola dottorale. Gli interessi dei ricercatori coinvolti spaziano dal clima, alla bio-art etc.
V.V. Quali sono gli obiettivi che vi ponete?
O.K. Sicuramente la ricerca della verità attraverso la nostra esperienza come laboratorio scientifico. Ma non solo questo: abbiamo anche l’obiettivo di formare i nostri giovani ricercatori e gli studenti della laurea specialistica interessati a far parte del laboratorio. Inoltre un altro obiettivo è quello della collaborazione alla scienza tramite la realizzazione dei nostri progetti.
Gennaio 2018
 

1)Olga Kisselova è un'artista impegnata in ricerche sulle relazioni fra arte e scienza. Attualmente insegna New Media Art e Art e Science presso la Sorbonne, Université de Paris 1.
2)Cfr. Valentina Vacca, «Il futuro del pianeta attraverso l’arte contemporanea: i cambiamenti climatici». In Medea. Rivista di studi interculturali, [S.l.], v. 3, n. 1, sep. 2017. ISSN 2421-5821.