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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Intervista ad artisti e committenti dell’interfaccia Smart Archive Search

Brunella Velardi
 
Come possiamo immaginare di accostarci a un oggetto iper codificato e spesso cristallizzato nella sua aura di testimone della storia, com’è un archivio documentale, attraverso dinamiche informali, in grado di accendere la nostra curiosità per condurla nei meandri di vicende, parole, relazioni, seguendo percorsi imprevisti e accidentali? Lo sforzo che il mondo scientifico sta mettendo in atto con la missione di rendere gli archivi quanto più possibile diffusi, accessibili e rivolti a pubblici diversi, sta portando ad esiti significativi in tutto il mondo. Stimoli e opportunità in questo senso sono, com’è ovvio, offerti dalla digitalizzazione da un lato, dalle diverse possibilità di navigazione virtuale dall’altro. Si tratta di operazioni massive, che spesso partono dalla replica di schemi di consultazione tradizionali ma enormemente agevolati dalla messa in rete dei documenti.
In questo panorama, in verità piuttosto omogeneo dal punto di vista delle modalità di interazione offerte dalle piattaforme, un caso a sé è quello del sistema di interfacce SAS – Smart Archive Search, realizzata dagli artisti Salvatore Iaconesi e Oriana Persico per gli archivi del Polo del 900 di Torino (1). Fondatori del centro di ricerca HER, Human Ecosystems Relazioni, Iaconesi e Persico perlustrano con la stessa dimestichezza il mondo reale e il mondo digitale, alla ricerca di materia prima per i loro lavori: i dati. Il loro lavoro per il Polo torinese – già ben attrezzato sul profilo dell’accessibilità dei documenti grazie alla piattaforma 9centro (2) – ha puntato su un approccio inedito ai documenti, basato sul ricorso alle IA per fornire nuove possibilità di esplorazione degli archivi attraverso categorie altre rispetto a quelle consolidate nelle scienze archivistiche. Così, mentre ci aspetteremmo di consultare documenti passando per soggetti produttori, fondi, cartelle, fascicoli, ci troviamo invece davanti l’opportunità di passeggiare (o rimbalzare) da un documento all’altro a seconda di temi, colori, concetti, relazioni e nessi cronologici navigando in interfacce ogni volta diverse.
Abbiamo deciso di parlarne con gli artisti e con Alessandro Bollo, direttore del Polo del 900, Matteo d’Ambrosio e Valeria Mosca del dipartimento Valorizzazione e Audience Development, per un confronto a più voci sul progetto.
Brunella Velardi. Nelle ricerche artistiche contemporanee dagli anni ’70 ad oggi, numerosi sono gli esempi di opere che hanno fatto di archivi, accumulazione, classificazione il proprio fulcro. Si tratta per lo più di un interesse verso la componente materiale degli archivi, mentre meno diffuso sembra essere l’impulso archivistico nel dominio dell’informatica. Con il progetto SAS – Smart Archive Search questo scenario viene ribaltato: sono gli archivi ad andare in cerca di artisti, per trovare nuovi canali di comunicazione attraverso il digitale. Come nasce la collaborazione tra il Polo del ‘900 e Salvatore Iaconesi e Oriana Persico?
Alessandro Bollo, Matteo d’Ambrosio, Valeria Mosca. Gli ultimi decenni hanno rappresentato uno snodo importante per chi si occupa e si preoccupa della trasmissione della memoria del passato e ha la responsabilità di lasciare traccia del presente. Sono stati anni di accelerata evoluzione e mutamento e dopo i primi tempi in cui si è stati travolti dalla fascinazione per il nuovo a tutti i costi e in cui pareva che digitalizzare “tutto” fosse la soluzione – con il risultato di un rumore informativo esponenziale, costoso, inutile e sterile – si è entrati in una fase di riflessione più realistica e culturale: è indispensabile, infatti, interrogarsi su cosa conservare, perché e per chi conservare, come farlo e quali impatti si intende generare (anche stimolando nuovi linguaggi e nuova produzione culturale). Con il progetto SAS – Smart Archive Search - che combina in modo pionieristico l’Intelligenza Artificiale e la prospettiva artistica nei processi partecipativi e di restituzione dei risultati l’obiettivo del Polo del ‘900 era quello di verificare il potenziale di ampliamento dell’impatto culturale e sociale degli archivi nella società contemporanea. Date queste premesse, la scelta di lavoro con Salvatore Iaconesi e Oriana Persico è arrivata naturale e quasi obbligata, perché loro oggi rappresentano nel panorama nazionale un unicum di competenze tecniche, sensibilità artistica e prospettiva “politica” nell’utilizzare le tecnologie e i dati come strumento di indagine profonda e problematica dell’uomo alla ricerca di domande, strade e prospettive che aiutino a orientarsi in un presente sempre più incerto e confuso.
BV. Gli archivi del Polo del ‘900 sono stati interessati da una campagna di digitalizzazione che ha permesso la pubblicazione online di un buon numero di documenti attraverso la piattaforma 9centRo. Come nasce l’esigenza di offrire al pubblico modalità di consultazione alternative?
AB/MdA/VM. In meno di 2 anni di vita 9centRo si è evoluto, da piattaforma per la comunicazione degli archivi del Polo del ‘900 a hub, in grado di aprirsi a realtà interne ed esterne, anche attraverso l’implementazione di nuovi protocolli di interoperabilità: nell’ultimo anno sono entrati a fare parte di 9centRo nuovi enti come la Fondazione 1563 per l’Arte e la Cultura della Compagnia di San Paolo, si è perfezionato il sistema di dialogo e interoperabilità con il sistema Archos (che comprende Istoreto e la rete degli Istituti della Resistenza) e con il Sistema Interbibliotecario Sebina, con un incremento esponenziale dei contenuti digitali, ottimi risultati di fruizione e con previsioni ambiziose di sviluppo a breve e medio termine.
Oggi si può veramente definire 9centRo un ecosistema sempre in crescita per raccontare il '900 e i suoi protagonisti.
9centRo si è posto fin dall’inizio l’obiettivo di raggiungere un pubblico composito e variegato - quello tradizionale dei ricercatori e degli studiosi naturalmente, il mondo della scuola con cui il Polo e gli archivi hanno da sempre un rapporto stretto - ma anche di allargarsi a una moltitudine di “pubblici” nuovi e solo parzialmente conosciuti, dal fruitore e promotore culturale professionista, a tutta una serie di categorie che usano il documento in modi non tradizionali: artisti, scrittori, autori teatrali, televisivi e cinematografici, giornalisti, creatori di graphic novel, pubblicitari, ai curiosi della rete.
Per farlo occorre operare interdisciplinarmente, aprirsi a nuovi linguaggi e nuove modalità di comunicazione e offerta, e quindi proporre, anche, modi alternativi di consultazione.
L’invito di 9centRo è “Lasciati stupire!”, possiamo dire anche “lasciati affascinare” dalla ricchezza ed estetica dei contenuti dei nostri archivi e biblioteche.
BV. L’interfaccia Smart Archive Search raccoglie i documenti a seconda di categorie non convenzionali (temi, colori, concetti, relazioni, connessioni con la cronaca attuale) se pensiamo alle norme archivistiche che più spesso regolano le strutture attraverso le quali vengono resi fruibili i fondi. Com’è nata questa idea e quali criteri hanno guidato l’associazione tra contenuti e forme di visualizzazione dei dati, diverse per ogni categoria?
Salvatore Iaconesi, Oriana Persico Abbiamo pensato innanzitutto ad una infrastruttura che potesse essere utilizzata per scopi differenti. Con SAS diventa estremamente semplice fare esperimenti in cui l'IA permetta di riconoscere gli elementi dell'archivio e li renda disponibili in maniera nuova.
Alcuni degli agenti software di SAS impiegano anche delle metodologie di classificazione emergente che capovolgono, in un certo senso, il classico percorso della classificazione. Mentre tradizionalmente si parte con un piano di classificazione in cui le ontologie sono costruite e conosciute, alcune tecniche di machine e deep learning consentono di identificare possibili connessioni e associazioni nell'archivio in maniera emergente.
Il processo è iniziato con alcune prove, in cui abbiamo utilizzato gli smart agent per proporre alcune forme innovative di ricerca e classificazione, sia per visualizzare l'archivio, ma anche per fornire servizi utili agli archivisti, come le funzionalità di disambiguazione, normalizzazione, identificazione dei duplicati o delle ambiguità.
Queste prove sono generative, nel senso che ognuna permette agli archivisti, alla direzione e al pubblico di avere esperienze nuove di lavoro e esplorazione dell'archivio. Questo ha l'effetto di produrre nuove idee e nuove ipotesi da provare mediante nuovi esperimenti, che di volta in volta si possono trasformare in nuove visualizzazioni, servizi e strumenti.
Nello specifico, abbiamo cercato di toccare nuovi ambiti: cosa succede se l'archivio diventa ricercabile per colore? O per simbolo? O per luoghi delle città? E, poi, come si visualizzano tutte queste possibili interazioni, che sono molto differenti dal tradizionale metodo di ricerca per parola chiave?
Abbiamo svolto, tra tutto il team di progetto, diverse intense attività di user experience design, basate su metodi etnografici per lo studio delle interazioni, per tentare di comprendere i modi migliori per gestire queste nuove opportunità. Il processo è ancora in corso, e ci stiamo accorgendo della necessità di dedicare molte attenzioni a queste nuove modalità di interazione con l'archivio, sia in positivo (per produrre modi sempre più naturali e coinvolgenti di navigare l'archivio) sia in maniera critica (per analizzare le criticità dell'IA, dai bias che si possono sviluppare nelle reti neurali, fino alla gestione degli errori di classificazione automatica, e ai meccanismi di trasparenza e apertura di dati e algoritmica, e i modi secondo cui sia possibile far prevalere l'intervento umano su quello della macchina).
BV. Il superamento della ricerca per parole chiave può essere accattivante e spiazzante. Potrà forse risultare limitante per uno studioso di storia contemporanea, ma aprire nuove possibilità di ricerca sulla storia della grafica o sul lessico giornalistico. Allo stesso tempo, il target di SAS è un pubblico quanto più ampio possibile e non limitato ai soli addetti ai lavori. Rispetto a questa “trasversalizzazione” della fruizione, quali erano e quali sono le aspettative del progetto?
AB/MdA/VM. Il progetto 9centRo si muove nel perimetro di alcuni paletti: la fruizione del patrimonio culturale dell’ecosistema Polo del ‘900 per la produzione e diffusione di nuova conoscenza; l’allargamento dei pubblici; la garanzia di attendibilità e tracciabilità della fonte con una restituzione contestualizzata e responsabile del dato; la proposta di percorsi di ricerca flessibili e capaci di ricostruire e restituire la ricchezza di informazioni relazionandole fra loro; la molteplicità di approcci e di fruizione del documento. In questo scenario aumentato, in cui è evidente la crescita del ruolo e delle responsabilità di archivisti, bibliotecari e istituzioni culturali nel loro servizio alla comunità, i progetti di IA possono introdurre nuovi elementi di relazione e ricerca e offrire nuovi e inattesi approcci alle fonti.
SI/OP. La possibilità di navigare l'archivio attraverso metodi di classificazione e ricerca non usuali – tipo il colore, i simboli, le immagini e quello che mostrano, i personaggi storici – apre nuove opportunità per valorizzare, comprendere e utilizzare la nostra conoscenza storica, e di usare l'archivio per comunicare storie, biografie, narrazioni di città, organizzazioni, personaggi che siano più ricche, immersive, curiose, coinvolgenti e utili.
Inoltre, utilizzare l'IA per collaborare con le persone può aprire le porte alla città: le persone possono partecipare nel riconoscere monumenti, personaggi, luoghi, segni ed altri elementi nelle immagini, video e testi dell'archivio, addestrando le IA attraverso la propria conoscenza pragmatica del mondo. Le memorie, narrazioni, ricordi e conoscenze di una intera città possono essere valorizzate e diventare un bene comune, che può aiutare gli archivisti a rendere l'archivio più utile ed accessibile e, simultaneamente riposizionare l'archivio, contribuendo a trasformarlo in un processo che sia presente nell'immaginario, nei desideri e nella cultura delle persone.
BV. Attraverso l’interfaccia SAS l’utente/fruitore può avere un approccio informale agli archivi, e questo aiuterà chi ha meno dimestichezza con ricerche, titolari e inventari ad accedere ai contenuti. In che modo il lavoro dell’archivista può trarre vantaggio o aprirsi a nuove traiettorie partendo da un’esperienza del genere?
SI/OP. Utilizzare dei software di IA per accedere ad un archivio permette di affrontare uno dei problemi fondamentali delle scienze che si occupano dei modi in cui gli esseri umani possono imparare a conoscere il mondo, per esempio con la teoria dei sistemi: il problema del cosiddetto Unknown-Unknown, ovvero di quello che “non so di non sapere”. Quando un occhio computazionale, non umano, si mette sistematicamente ad attraversare l'archivio, a stabilire collegamenti, a tentare di riconoscere forme ricorrenti nei testi, nelle immagini e nei filmati, noi, come umani, possiamo beneficiare da questo processo, scoprendo tutte quelle associazioni, raggruppamenti e connessioni che non erano tra le cose che ci aspettavamo, sospettavamo, immaginavamo.
Inoltre, tornando alle categorie, se nelle immagini dell'archivio è sistematicamente presente un certo concetto, simbolo, personaggio o altro elemento identificabile, gli agenti intelligenti possono identificarlo e proporre agli archivisti una nuova opportunità di classificazione e categorizzazione, che è possibile che non fosse stata identificata prima. Gli archivisti, quindi, sono liberi e hanno la possibilità di analizzare queste categorizzazioni emergenti e, se lo ritengono opportuno, di adottarle, completarle, posizionarle all'interno di ontologie già note, aprendo nuove strade per la conoscenza condivisa.
BV. Il riconoscimento automatizzato dei contenuti dei documenti porta a evidenziare la ricorrenza di parole non sempre significanti di per sé o riconducibili a specifici contesti, come nel caso dei nomi propri. Come vi ponete rispetto a questo genere di risvolti? Hanno per voi un ruolo specifico all’interno delle dinamiche di fruizione degli archivi?
SI/OP. La vera differenza è la trasparenza e l'apertura. Siamo completamente circondati da intelligenze artificiali. Tutte commettono errori di classificazione, comprensione e interpretazione. Tutte offrono la possibilità di classificare la conoscenza in modi nuovi. Tutte sono separate da noi, in modi che rendono molto difficile sia comprendere come funzionano che capirne le implicazioni. Filosofi della conoscenza come David Weinberger cominciano esplicitamente a parlare di Alien Knowledge, riferendosi al fatto che a volte è addirittura impossibile comprendere perché le IA prendano certe decisioni. Questo ha molte implicazioni sulla qualità delle nostre vite.
In progetti come SAS, questi “misteri” diventano conoscenza aperta. Di volta in volta, tramite il codice sorgente aperto e l'inserimento in processi partecipativi transdisciplinari, è possibile analizzare questi processi e comprenderli, per decidere collettivamente che forma dargli.
Per esempio, quali implicazioni ha il fatto che io possa cercare nell'archivio per nomi propri?
Di volta in volta, a seconda dei diversi scenari di utilizzo che si desidera costruire, possono esserci risposte differenti. Ad esempio si potrebbe pensare di utilizzare questa possibilità per creare esperienze di utilizzo che permettano alle persone di personalizzare la propria esperienza di utilizzo dell'archivio. Se io mi chiamo “Paolo” posso trovare nell'archivio cose che riguardino il mio nome e, quindi, sentirlo più mio. Oppure, in un altro caso, potrei decidere che questa possibilità è fuorviante, perché fornisce risultati che non sono omogenei e comprensibili.
La vera differenza è che questa decisione diventa un fatto di costruzione e invenzione sociale: l'IA fornisce una infrastruttura per creare sperimentazioni che hanno valenza sociale, relazionale, comunicativa, economica, politica, in mezzo alla società, che può unirsi per valutare e decidere.
BV. Qual è il rapporto tra i fondi digitalizzati, smart agent e interfaccia e in che modo interagiscono tra di loro? Qual è stato il materiale primario utilizzato per l’elaborazione di SAS?
AB/MdA/VM. La sperimentazione di SAS ha lavorato su una sezione congelata di 9centRo. Al Polo del ‘900 sono stati organizzati alcuni workshop in cui i partecipanti hanno potuto utilizzare gli smart agent per addestrare l’Intelligenza Artificiale a riconoscere e classificare diversi tipi di soggetti e argomenti, partendo dai documenti e dalle immagini digitali pubblicati in piattaforma. Le giornate di formazione hanno visto inedite modalità di ricerca-azione che aggiungono all’aspetto tecnologico quello partecipativo-performativo. L’interfaccia di ricerca è stata poi resa disponibile sul sito del Polo, insieme alla restituzione di alcune ricerche già possibili nel prototipo.
BV. Un aspetto importante del progetto, come si è detto, è quello partecipativo, dal workshop Legami di fine novembre 2018 ai feedback provenienti dalla messa online dell’interfaccia. Cosa è emerso dall’interazione con il pubblico? In che modo ha orientato e sta orientando lo sviluppo di SAS?
SI/OP. È stata una esperienza straordinaria.
Innanzitutto, la dimensione partecipativa costituisce un mezzo straordinario per affrontare il digital divide e aumentare l'inclusione e l'accessibilità. Siamo circondati da Intelligenze Artificiali, in tutti i servizi che utilizziamo nella nostra vita quotidiana. Nonostante questo, non ne sappiamo praticamente nulla, specialmente per ciò che riguarda come dati e computazione influiscono sui nostri diritti, le nostre libertà e le nostre opportunità e possibilità di conoscere e comprendere il mondo. Workshop aperti come Legami permettono a persone di tipi molto diversi di convergere e confrontarsi, non solo capendo alcuni aspetti tecnici dell'IA, ma anche e soprattutto per creare occasioni pubbliche in cui si riflette sul ruolo che si desidera dare agli agenti computazionali nella nostra società, e per avviare percorsi in cui si possano mettere in pratica queste decisioni.
Sì, perché troppo spesso le tecnologie sono opache e incomprensibili: se cambiano l'addetto allo sportello alla mia banca, io me ne accorgo; se cambiano l'IA no, e questo include il non potersi accorgere ed essere pienamente consapevoli di quali siano le implicazioni di questi usi e trasformazioni, per tutelare e promuovere diritti, libertà e possibilità di comprensione del mondo.
Questo suggerisce la possibilità di nuovi modi di usare la tecnologia. Attualmente l'industria dei dati e della computazione è una industria estrattiva, comparabile a quelle del petrolio, dell'energia e dell'acqua: dati e informazioni vengono sistematicamente estratti dalla società e dall'ambiente, ed elaborati per produrre risultati che vanno a vantaggio di pochi, creando uno squilibrio in termini di opportunità e possibilità di godere dei propri diritti e libertà, nonché di possibilità di conoscere e comprendere il mondo.
Progetti come SAS, invece, nascono nel bel mezzo della società. Ogni scelta ingegneristica, di design, di esperienza utente, di progettazione dei percorsi educativi e culturali, ha origine da questo concetto, in cui gli esperti non sono chiusi nel loro laboratorio, ma si trovano ad interagire e a relazionarsi con pubblici diversi, al fine di spostare il focus: non si tratta più solo di un problema tecnico, ma di creare spazi di collaborazione in cui gli esperti diventano una infrastruttura tramite cui le persone possono capire che ruolo ha l'archivio nella loro cultura, per il loro benessere, per i loro diritti e le loro libertà. Da una questione tecnica si passa quindi a una questione culturale.
Questa è la grande opportunità creata dall'arrivo delle culture digitali: la scienza e la ricerca completano il processo secondo cui diventano una infrastruttura pubblica con cui le persone possono comprendere il mondo e se stesse, e che possono usare per rappresentarsi e stabilire relazioni significative.
Questo è un modello tecnologico completamente nuovo, che non esisteva prima, e a cui oggi si dedicano ancora troppe poche energie e risorse, nonostante sia forse la più grande opportunità di liberazione e solidarietà per l'essere umano.
BV. Come si inserisce SAS all’interno del vostro percorso di ricerca? Il lavoro svolto con il Polo del ‘900 ha influenzato la vostra traiettoria di ricerca? Se si, in che modo?
SI/OP. SAS è il risultato della sinergia di diversi approcci. In questo incontro, il Polo del '900 diventa il centro di una costellazione attorno a cui orbitano i ricercatori, gli artisti e il pubblico. Questo è esattamente il tipo di ricerca che cerchiamo di condurre sia attraverso AOS, Art is Open Source, il network transdisciplinare che abbiamo creato nel 2004, sia attraverso HER, Human Ecosystems Relazioni, il nostro piccolo centro di ricerca che studia i modi in cui le tecnologie entrano nella società.
L'arte, in questo processo, diventa un catalizzatore. Da un lato sospende la realtà ordinaria, creando iniziative che immergono le persone nelle nuove esperienze di interazione e relazione. Dall'altro lato è un grande stimolo per la ricerca: l'arte richiede costantemente di affrontare i limiti (tecnici, sociali, legali, relazionali...), e li trasforma in oggetti, esperienze, performance che le persone possono toccare, vivere e a cui possono partecipare. SAS, per noi, è parte di questo tipo di processo, in cui le persone diventano attori consapevoli di una performance,  il cui scopo è quello di unirsi nel comprendere il ruolo che le tecnologie hanno nel nostro corpo, nelle nostre città, nella nostra comunicazione e relazione, e di gettare le basi per la collaborazione.
L'arte è un modo molto efficace di conoscere e comprendere il mondo, e di unirsi per trasformarlo.
Questo è forse il tipo principale di attività che desideriamo svolgere, come artisti e ricercatori.
BV. Il digitale viene spesso descritto come strumento utile ad eseguire azioni non riproducibili nell’ambiente reale o che condotte in maniera analogica richiederebbero più tempo e più energie; dunque come entità puramente funzionale. Nel lavoro svolto attraverso HER e AOS sembra invece assumere una sua autonomia, da mero supporto diviene catalizzatore, soggetto attivo, materia dell’opera. Com’è avvenuto l’incontro tra mondo digitale e ricerca artistica?
SI/OP. La tecnologia non è separata da noi e dalla nostra cultura. La tecnologia è immersa nella cultura in cui viene creata ed utilizzata, e contribuisce a trasformarla. Questa è, forse, la nozione fondamentale su cui fondiamo la nostra attività.
La tecnologia non è neutra: noi la inventiamo almeno tanto quanto la tecnologia inventa noi, rendendoci persone differenti.
Le tecnologie che usiamo nella nostra vita hanno ruoli fondamentali nel definire chi siamo, cosa possiamo fare, come possiamo conoscere il mondo e gli altri esseri umani, come possiamo informarci, comunicare, prendere decisioni e metterle in alto. Le tecnologie modificano anche come e cosa immaginiamo, come sogniamo, come collaboriamo.
In AOS, ad esempio, l'arte diventa una piattaforma, una infrastruttura, in cui le persone possono incontrarsi, rappresentarsi, interpretarsi, conoscere e stabilire collaborativamente quali ruoli vogliamo attribuire alle tecnologie, e che direzioni vogliamo dare al loro sviluppo. E, di conseguenza, quale direzione vogliamo dare all'evoluzione della nostra umanità.
BV. Approccio partecipativo, cultura dell’open source, sguardo complesso sono elementi costitutivi della ricerca di Oriana e Salvatore: più che un duo di artisti sembra l’emblema di una fetta di contemporaneità oggi sempre più isolata. Eppure vi muovete sul “mezzo” più potente in circolazione, il digitale. Quale può essere la forza di un linguaggio così settoriale e al contempo universale?
SI/OP. Bisogna stare attenti. Le innovazioni si trovano costantemente nel territorio che sta tra l'utopico e il distopico. È importante sia essere critici che l'essere costruttivi e propositivi, in maniera pragmatica.
Siamo in un momento peculiare della nostra storia. Villem Flusser diceva che la cultura è l'insieme delle cose che le persone fanno ed usano. Mai, prima di ora, così tante di queste “cose”, delle nostre interazioni e relazioni sono state mediate dalle tecnologie. Questo vuol dire che gran parte di quella che chiamiamo la nostra cultura è completamente immersa nella tecnologia, nel digitale. In questo momento, per fare cose che siano in grado di parlare del mondo contemporaneo, di quello che viviamo e facciamo, dobbiamo usare le tecnologie digitali.
Da un certo punto di vista, inoltre, non è propriamente immaginabile, oggi, fare qualcosa che “non sia digitale”. Anche l'immagine del più romantico dei tramonti, in questo senso, è digitale: la fotografiamo e pubblichiamo sui social; la guardiamo e interpretiamo per come la potremmo rappresentare online; la vediamo dopo aver visto centinaia di immagini di tramonti su Internet; la pensiamo in termini di comunicazione digitale. Questo fenomeno è vero in generale, anche per le persone che affermano di non utilizzare le tecnologie: sono, infatti, immersi in sistemi in cui gli altri (umani e non) le utilizzano e, quindi, hanno influenza anche su di loro, su chi sono, su cosa e come comunicano e imparano, e su come si relazionano con gli altri.
In questo senso proponiamo forme d'arte che parlano di questi (eco)sistemi, in cui esseri umani, organizzazioni, istituzioni, aziende, intelligenze artificiali, piattaforme e l'ambiente si interconnettono ed entrano in relazione in modi complessi: l'opera d'arte diventa una piattaforma per la relazione e l'espressione degli altri.
Ottobre 2019