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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Retoriche e funzioni dell'arte contemporanea
L'opera d'arte è l'oggetto visto sub specie aeternitatis;
 e la vita buona è il mondo visto sub specie aeternitatis.
Questa è la connessione tra arte ed etica.
Wittgenstein, Quaderni 1914 – 16; 7.10.16
 
Domenico Scudero
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Etica e retorica dell'arte                        
Una delle domande che spesso ci si pone quando si riflette sulla condizione dell'opera d'arte è quanto sia stata necessaria. Si tratta infatti di un luogo comune abusato quello di ritenere che l'opera, al di là della sua qualità estetica, abbia un qualche valore "perché necessaria all'autore e al mondo". Si dice anche, soprattutto parlando di arte del XX secolo, che l'artista nelle sue distorsioni – dall'espressionismo all'astrazione fino all'eclettismo contemporaneo - abbia rappresentato il mondo come visto dalla sua percezione. Ma al di là di queste trivie banalità sulla radice eidetica e progettuale dell'opera, sia essa contemplativa o operativa, rimane il fatto che alla base di ogni dissertazione sulle ragioni del prodotto "arte" ci sia la convinzione che vada bene ciò che è vero, autentico. L'autenticità dell'opera d'arte, soprattutto in anni in cui si è smarrito il senso dell'origine, sarebbe quindi la sua forza. Al contrario per deprezzare un prodotto "arte" si dice che non sia autentico, ovvero falso, e che sia frutto di una manovra dilettantesca o al contrario furbesca ma ipocrita, frutto di una serie di scelte contraddittorie. Se un autore realizza un'opera distorta e di pessima fattura la sua sarà dilettantesca, ma se un autore realizza un'opera che abbia come scopo quello di sedurre sarà falsa e ipocrita, poiché ciò che rappresenta diverge da ciò che effettivamente dovrebbe essere lo scopo dell'artista.
Cercheremo di individuare alcuni presupposti teorici per definire se il problema dell'etica sia in qualche misura responsabile della qualità dell'opera. Si trarrà spunto dal problema dell'origine in campo estetico attraverso le pagine di Baumgarten. Il quale, stranamente, sebbene sia stato un isolato pensatore a valutare l'estetica come etica è stato poi accantonato, modernamente, per dare vita ad un'estetica specificamente percettiva e attraverso la quale i problemi, essenziali, dell'etica, sono stati successivamente svuotati di senso e sviliti come vacuo "moralismo". Al che si potrebbe obiettare: Spinoza era dunque un bieco "moralista" o rappresenta lo spirito di un'etica del lavoro che alla lunga risulta la qualità di ogni attività?
 
Etica in arte è aderenza ad uno scopo                 
La filosofia etica o morale si interessa del raggiungimento di una condizione umana; il suo scopo non è quello di definire cosa è giusto o sbagliato, ma quello di indicare semmai un'idea di vita buona, o quello che noi definiamo felicità. Si potrebbe immediatamente affermare che se il mio scopo fosse quello di diventare un miliardario sfruttando migliaia di persone schiavizzate questo significherebbe un danno per mille o milioni di persone, perché è lecito dubitare che mille o migliaia di persone abbiano come scopo della felicità di essere schiavi di un satrapo. Per la filosofia morale la felicità conosce anche il diritto della persona altra, poiché non distingue fra soggetto che enuclea un'azione diretta allo scopo e persona che ne riceve indirettamente le conseguenze. Per essere più chiari: se una persona inciampa e cade possiamo dire che sia stata distratta da qualcosa, oppure che si sia volontariamente gettata sull'asfalto. Ma nell'uno o nell'altro caso sarà la persona a sapere, in sua coscienza, per quale motivo sia caduta, o anche che non c'era alcun motivo, è capitato. Quella è "morale", "etica". Il problema è che l'etica dell'azione non può essere misurata come nelle ricette ma ha bisogno di una concezione del sé, che poi chiamiamo morale, che ci impedisce di falsare il senso delle cose. Se ad esempio la persona sa che è caduta perché disattenta ma avvia un'azione legale contro il comune, quella persona agisce "contro morale", cioè falsifica consapevolmente un dato dell'esistenza. Questo comporta delle conseguenze, contrarie all'etica. Perché la persona che finge di essere menomata per una caduta occasionale e chiede il risarcimento al comune non può non sapere che quella truffa impegna tutti coloro che pagano al posto suo. Questo è immorale non perché rubare di per sé sia un atto privo di etica, ma perché questo furto nasce da una ipocrisia che ne è alla base. In questo senso qualsiasi azione può essere falsamente etica, quando corrisponde esattamente al desiderio di chi la compie. L'etica non è necessariamente giusta, soprattutto non lo è nei confronti di quelle categorie della conoscenza che riteniamo essere "giuste", come nel caso delle credenze o le leggi. Se una persona crede in qualcosa e compie un'azione per il compimento di questo "qualcosa" la sua azione sarà etica ma non necessariamente giusta e non sarà condivisibile da tutti. In particolare la pena di morte corrisponde ad un atto compiuto eticamente, ma non sarà condiviso nella sua etica dal condannato. Per trovare il giudizio "giusto" dell'etica abbiamo bisogno di una corrispondenza esatta fra ciò che si compie e il suo scopo. Gli altri sono parte di questo scopo.
D'altra parte esiste anche una possibile negazione della presunta etica di un'azione se questa non ha alcun valore, ovvero un'etica corrispondente ad un esercizio lavorativo logorante. Se riteniamo che sfruttare dei lavoratori per uno stipendio misero non è etico non possiamo però pensare che chi compia quel lavoro non sia eticamente corrispondente al suo interesse. L'opera d'arte è un prodotto del lavoro, ma non ha una chiara etica. Ad esempio per Bataille il senso dell'opera era nel suo dispendio improduttivo, tuttavia lo stesso Bataille quando si ritrova ad  ammirare le grotte di Lascaux ne riconosce l'etica e lo scopo, o gli scopi. Naturalmente va sottolineato come sia particolarmente difficile poter compiere un'azione priva di scopo, ovvero eticamente aderente al principio d'inutilità. Ma le funzioni per così dire primarie, come la psiche e l'azione motoria possono essere in ultima analisi uno scopo; dipingere per il piacere, o suonare in solitudine, sono azioni inutili socialmente solo apparentemente. Con questo si vuole affermare: un'azione artistica anche se compiuta nella sua completa incoscienza produce inevitabilmente degli effetti. E questi sono positivi o negativi rispetto ad un contesto, sociale e politico, ma sono etici se corrispondono alla volontà di chi li produce e di chi ne fruisce (1).

Le "regole" dell'etica fra arte e scienza
Chiarito questo elemento fondante dell'etica, che ci servirà per comprendere la relazione più intima con l'arte, è chiaro che la questione si sposta sul perché si facciano delle opere d'arte, o del perché taluni oggetti siano maggiormente deificati dallo sguardo del pubblico.
In questo naturalmente noi possiamo sostenere l'adesione da adepti di una storia interpretativa (che qui ci esimiamo di definire critica). Ovvero che è arte in primo luogo ciò che nella tradizione si definisce tale, ciò che ha prodotto discorsi, idee, relazioni, testi, indagini. Tuttavia è bene notare che anche l'interpretazione di una "cosa" che abbia questa caratteristica è fuori logica. Diderot nella sua discussione sull'estetica, intessuta di fatti concreti, sosteneva in fondo che la letteratura dell'arte era una specie di arte al negativo; troppa elucubrazione tuttavia conduceva all'esilio della comprensione (2). Sino a quel punto di argomentazione teorica, evitando di sprofondare nell'archeologia della "sottrazione" eidetica, l'arte aveva un chiaro scopo, riunificare l'eidos della conoscenza. L'epoca degli illuministi è la densità dell'arte come modello elevato della conoscenza e del lavoro. Per Diderot la selezione delle opere poteva essere ordinata attraverso la regola, la misura, la chiarezza, la forma, erano evidenti dettagli dell'immagine ma erano tutti emblematici della funzione storica (3). D'altra parte l'Enciclopedia vista con lo sguardo del fruitore contemporaneo è una perfetta anticipazione di opere quali quelle dell'arte concettuale, è per l'appunto opera essa stessa. Fatta di regole. Il discorso ci interessa perché arriviamo ad un primo punto sostanziale. Le Regole hanno un valore etico? Si potrebbe forse dire che se disegnamo una forma con un modello specifico frutto di calcoli, regole di decoro e simmetria, sia una forma etica? La risposta è che una forma non è "etica" a priori e non ci sono regole che siano tali. La Regola dipende dal mondo che la produce. Ad esempio nel nostro sistema di pensiero liberista l'etica della forma è il suo valore, che è una Regola ad uso delle compravendite. Nel contemporaneo la scelta della Regola, che potrebbe essere condivisa da positivisti logici, non incontra alcun plauso fra gli esistenzialisti. Che una forma etica possa raggiungersi attraverso delle regole è di fatto la credenza più consolidata nel mondo dell'arte contemporanea ma questa Regola che è nella contrattazione del valore sotto forma monetaria non è accettata dalla dialettica critica, o dal decostruzionismo psico linguistico  (4).
Questo meccanismo o "regola" ha sicuramente fatto da guida nel sistema dell'arte anche per quello che riguarda il giudizio, quindi l'intepretazione critica del lavoro. Se ad esempio un lavoro contemporaneo di Koons viene venduto ancor prima di essere realizzato per una cifra elevata, pari a diverse centinaia di stipendi di una persona presa a caso, vorra dirà che qualcuno ha visto il "valore", ne ha intuito il substrato culturale, ma si tratta pur sempre di una condizione estranea al fatto che l'opera sia "significativa". Se ad esempio avessimo avuto nello stesso istante due opere uguali di due individui differenti, quale sarebbe stato il valore dell'opera dell'autore sconosciuto rispetto a quella dell'autore noto? Zero. Per la logica positivista naturalmente tutto ciò non ha alcuna importanza così come alla fine non interessa neanche la scienza che con l'arte condivide questo cruccio, avere un peso enorme sulla vita degli esseri umani e nessun peso politico. Considerare apriori la scienza come un bene significa dare un patentato di esclusività ad una disciplina che in realtà non ne ha alcuna pretesa. Nessuno scienziato sarebbe disposto a rendere relativo un proprio principio scaturito da osservazione, metodo e risultati. Se a diventa b a causa di n possiamo trovarne una ragione logica e come logica vuole ci si trova nel contesto della matematica. Lo stesso scivolamento possiamo farlo eticamente per qualunque sistema di pensiero che non sia arte. L'arte assume un carattere esclusivo proprio perché non è definita da una logica assoluta. Allora che sia arte scienza, o arte povera, è solo arte. Una tecnica esposta per il suo stesso fine e dei cui valori non è possibile discernere in termini scientifici. Nessuno scientista accetterebbe davvero l'idea che l'arte sia "scienza", poiché la scienza è una regola che non può essere altro. Un'arte scienza è solo ed esclusivamente arte (5).
Siamo condizionati a pensare l'etica del lavoro come qualcosa da poter identificare con gli interessi diretti o indiretti delle persone, ma in realtà si può trasformare l'etica del lavoro in qualcosa di micidiale, una macchina di dominio e di sterminio. Il  richiamo della Arendt non è soltanto che la banalità del male sia determinata da una sorta di indifferenza alle proprie azioni e di ubbidienza cieca a ordini che si dovrebbero rifiutare, ma è anche lasciarsi vivere ignorando il senso etico della propria attività. Difendere la propria etica è spesso fonte di guai individuali, ma quando si diffonde il suo opposto, l'ipocrisia, e la sua banalità, il tradimento dell'etica porta a possibili orrori (6).

L'Etica non è il lavoro 
Ma non sempre ciò è causato da una volontà individuale o di massa, quanto piuttosto da una condizione dovuta all'ipocrisia di taluni termini che usiamo deliberatamente per definire e qualificare determinati "soggetti etici". Tuttavia i termini in questione non hanno un'origine dovuta allo sforzo per spiegarne i contorni, ma sono termini e aggettivi nati in ambito scientifico. Entrati a far parte dell'uso in logica questi aggettivi sono intimamente legati alla cultura tecnocratica, nemica della dialettica e della decostruzione. Ad esempio il pensiero che la decostruzione per la cultura filosofica continentale sia stato lo strumento usato per la costruzione di una visione oppositoria a quella comune è da considerarsi un vaticinio per l'analitico logico. Nei campi della logica un aggettivo ha un valore indiscutibile. Il solo fatto che la filosofia continentale elabori una possibile etica ma che sia il prodotto di contorsioni linguistiche – come Sulla grammatologia di Derrida, Le Parole e le Cose di Foucault, solo per farne due esempi eclatanti -  risulta "astratto" da un punto di vista scientifico, letteratura creativa. In fondo la questione fra Derrida e Searle era proprio in questa inossidabile reciproca avversione, da una parte una cultura fondata sul dominio della prova, dall'altro un sistema di pensiero che ne rifiuta l'istanza di guida e gli attribuisce funzione di caso relativo (7).
Il senso dell'etica nel lavoro ha quindi differenti valori e questi valori sono significativi per il contesto interpretativo e per la successiva identificazione della qualità dell'oggetto indagato. Ma nel  sistema di pensiero dominante il valore culturale ha senso solo nel momento in cui sia convalidato dal mercato. Il mercato è un indicatore matematico, a detta del positivismo logico, poiché rappresenta il grado di richiesta del prodotto culturale. L'etica del lavoro, anche quello artistico, deve quindi corrispondere a questo principio. In opposizione a questa visione il valore dell'opera è dialetticamente nella sua utilità sociale, concetto indimostrabile quando ci si trova esclusivamente interpreti in un ruolo contemplativo.
L'avanguardia degli anni Sessanta aveva rifiutato l'idea contemplativa, ma allo stesso modo rifiutava l'idea di un'arte come principio scientifico. Se nel primo caso si discuteva dell'idea di un fruitore inerte, cosa che non poteva conciliarsi con la sua etica, nel caso di un'operazione scientifica si confutava la sua etica con la scienza, e come sappiamo nella scienza non può esserci etica, poiché si tratta di regole ripetibili. Se, poniamo il caso, si raggiungesse con un tentativo casuale una scoperta, qualora non fosse più ripetibile quella scoperta sarebbe "nulla" e qualora fosse registrata e ripetibile sarebbe scienza. In fondo l'avanguardia voleva essere etica ma nel suo scopo di coinvolgimento e rivoluzione, lo era perché l'effetto era cercato e ripetuto, anche se non poteva essere mai uguale al suo precedente. Avanguardia dunque e non scienza. Debord e i redattori di I.S. avevano capito perfettamente che nell'assumere la tecnica come vessillo dell'innovazione artistica ci si sarebbe ritrovati in un ambito estraneo, che sappiamo essere quello della gestione degli algoritmi digitali. Un fatto tecnico che ripete abbastanza fedelmente le prassi del capitalismo avanzato, un uomo al comando che decide quali funzioni debba svolgere la tecnica. Il Far West del digitale ha dimostrato che l'etica del lavoro non si concilia con una prassi condivisibile (8).
                                                                                                           
Etica e interdetto
Per chi usi la logica è impossibile valutare il percorso dialettico come strumento di indagine poiché non quantificabile. La logica è manichea, indiscutibilmente esatta, non accetta sfumature, semmai dimostra la tautologia di cui la dialettica è vittima (9). La pretesa quindi di vedere una conciliazione fra modello matematico scientifico e modello letterario si spezza nel momento in cui la logica non può prevedere modelli intermedi, ovvero la maggior parte dei casi.
Ci sono dei periodi storici in cui la scienza diventa opera d'arte. Se ne è trattato a lungo a partire dagli anni Settanta e i risultati di molte fra le più eclatanti ricerche in questo campo furono, ad esempio, esposte per la cura di Maurizio Calvesi nella Biennale Arte e Scienza (10). Tuttavia in quel caso per la logica esistono due possibilità. La prima, l'oggetto è una fonte scientifica, e pertanto deve essere usato in questa logica. Il suo valore è, come nel caso della scienza, nel suo seguito e nell'importanza delle soluzioni e delle verità che propone e se questo succede l'arte è scienza, ma non è più un prodotto artistico, vale solo per il suo scopo. Le sue applicazioni alternative sono viste dalla scienza come merchandising. Fanno parte di altro. Adesso potrebbe anche succedere che un oggetto che ha prodotto scienza venga comperato come opera d'arte, il fisico, l'astronomo ci vedrà però un esperimento posto in un archivio, non di certo un'opera d'arte (11). Al contrario per il filosofo esistenzialista aduso alla dialettica e alla costruzione paradossale, l'importante è ricostruire il percorso dell'origine, il senso ancestrale dell'azione, solo lì è possibile valutarne il suo valore, l'etica. Se l'opera è un oggetto che trasforma alcune concezioni indicibili, l'interdetto dello stupore o del terrore, è arte etica: la meraviglia per un oggetto tecnicamente impensabile prima di quel momento, o il terrore per l'evocazione di qualcosa di inconscio ma che si inizia a riconoscere come svelamento di un "interdetto", è arte etica, sia che si mostri come pensiero, sia come una scena. La cultura artistica infatti, secondo la dialettica archetipa, nasce in queste circostanze. Nelle grotte, nei dirupi in cui si celavano i morti, per sottrarli allo scempio animale (12).

Tecnica e valore
Questa percezione di separazione fra uomo e animale nasce con l'affermazione di una differenza, la consapevolezza della morte. Su questa si inserisce la tecnica. Il primo gesto è nella consapevolezza che alterando la stasi della natura, sottraendo a questa qualcosa di inanimato, un sasso, un ramo, e attribuendogli valori di "segnaletica" quel ramo, quella pietra assumono un'altra identità. Il gesto sottrattivo non è una invenzione duchampiana perché l'arte nasce sempre con un'appropriazione, sia di natura  - mimesis – che di tecnica - tekné. Comprendendo la morte e il suo  mistero, che nasce dalla pudica riflessione "non voglio che si ripeta lo scempio animale", l'essere umano custodisce il mistero, lo rende quindi messaggio di un altrove. La morte custodisce i suoi sogni e i suoi tabù, la sua tecnica promette di svelare nei segni il mistero. Il fatto che il culto della morte restituisca una qualche parvenza di punto originario, poiché è presente in svariate culture antiche e con pochi contatti epistemici reciproci, non spiega il perché. Si potrebbe dire che sia stato per garantire il ricordo. Una volta riconosciuta l'idea del ricordo, ovvero conoscenza, fisionomica, l'individuo pensante costodisce l'idea e ne applica quando può le pratiche. Ovvero la tecnica, che è strutturazione di una forma di ricordo, conoscenza, calcolo, algoritmo, quantistica. Ma se l'origine del culto può essere foriera di queste innovazioni percettive lo stesso possiamo dire anche per la relazione fra origine della frattura psichica e l'eticità del successivo risultato. Poiché si potrebbe dire che Fidia sia stato eticamente consapevole del compito che svolgeva, ma non lo si può provare scientemente. Il mistero della morte viene comunque trasformato nel mistero della conoscenza, e l'arte, per l'appunto passa dallo statuto di tecnica a quello di conoscenza. Questo mito che ha prodotto Illuminismo e Positivismo, Pragmatismo e Epistemologia si è adesso sfaldato. Il mito dell'opera ha surclassato quello della morte. In questo senso possiamo leggere la storia di un pensiero che da Hegel in poi ha sempre dovuto fare i conti con la fine dell'arte, la sua autonomia. Già autonomia, ma quale autonomia? Quella del liberismo commerciale? Sì, allora ecco l'opera d'arte è un oggetto fantastico, infatti fa gola a molti. Può essere acquistato in modo "stravagante", lo si può custodire, dopo averlo sottratto ad un'asta, in un bunker di un freeport. Da lì possiamo scambiarlo. Ma è un mito irrequieto, poiché si basa sulla concezione volubile di valore economico (13).

Perdita dell'origine dell'arte
L'idolo primitivo era un oggetto che veniva riconosciuto apriori come oggetto sacrale, ma solo l'acculturazione proveniente dal saggio, dal sapiente, dalla memoria di quel popolo, poteva trasformare un oggetto inerte, privo di vita, in qualcosa di superiore, che nemmeno si riusciva a capire. Proprio per motivare il fatto che l'oggetto dovesse essere in primis attrattivo si applica la tecnica, e lo sforzo era di farne un feticcio sacrale. Per i greci era etico realizzare un'opera attraverso la tecnica ma si supponeva che la troppa efficacia di conoscenza tecnica non potesse convivere con il bene supremo del mondo degli dei, ovvero il pensiero di un divino che parlava attraverso gli alti strali della poesia e delle sue mitologie. Non certo astrattamente immerso nel calcolo, che è opera di chi non conosce e ha bisogno di riferimenti, mentre al divino non poteva negarsi il privilegio di conoscere apriori. Solo nella nostra epoca si è costruito un paradossale recinto per delimitare la tecnica nell'arte, prima con le Regole del Rinascimento, poi con le forme del classico trasposte in una utopia formale, neoclassica e poi romantica. Il romantico disegna la palpabile frattura fra mondo positivista e sistema di rapprentazione mitica, costruendo sulla perdita dell'origine sacrale dell'interdetto la consapevolezza nostalgica immersa nella mimesis. Proprio per questo già alla prima metà dell'Ottocento era difficilie riconoscere l'origine dell'opera d'arte. Quando Heidegger, dopo un secolo di silenzio, di imbarazzante inefficacia sull'indagine del destino dell'opera, si accorge che la frattura fra segno e suo significato era fuori delle possibili categorie dialettiche, cancellò il pensiero sull'etica. Naturalmente idee formatesi negli anni Trenta e quando si ridarà lettura dell'origine dell'opera d'arte ci si dimenticherà di parlare esattamente del suo valore etico. Per compiacere un'ipotesi ondivaga fra materialismo e idealismo si compiva un paradossale viaggio epistemologico all'interno della "foresta" di segni per comprenderne appieno il significato. Ma non si parla di etica, si svela l'origine della materia, non il suo fine come frammento sottrattivo. Naturalmente ci sono argomenti più impegnativi di quel volersi misurare con il senso del giusto, per di più all'interno di un sistema che era già palesemente frammentato e in cui un'indagine filosofica poteva essere tale solo al cospetto di relazioni "scientificamente provate". Eppure riteniamo che Heidegger avrebbe dovuto accorgersi che un problema etico si poneva anche e soprattutto negli anni Trenta quando si cercava di usare l'arte per fini propagandistici e utilitaristici dei regimi. Era qualcosa che deviava la coscienza dell'etica ma a cui non si prestava alcuna attenzione. Barr nel 1933 nei suoi viaggi si renderà conto che esisteva un problema prettamente utilitaristico nel modo in cui i regimi totalitari usavano l'arte contemporanea. Barr, in particolare nei suoi viaggi curatoriali in Europa, nota soprattutto che esisteva un'intelligenza critica fuorviata, citando Goebbels, il quale riconosceva la qualità delle opere d'arte e ne intuiva il potenziale distorcendolo. Goebbels, scrive nel suo resoconto Barr, riusciva ad apprezzare persino film come La corazzata Potemkin di Éjzenštejn, poiché ne individuava la forza propagandistica. Ecco allora che il problema etico dell'opera diviene rilevante. Se un'opera è eticamente disposta al suo mondo non è scontato che lo sia l'uso successivo che se ne fa, di conseguenza si può dedurre che l'etica nell'arte dipende da un continuo percorso di aderenza al suo scopo (14).
Questo spiega bene perché anche la filosofia che maggiormente avrebbe dovuto interessarsi dell'ipotesi dell'origine dell'opera d'arte e del suo scopo abbia preferito rassegnarsi su uno sguardo manifestamente materialista. In fondo la solitudine etica di Bataille sull'origine antropoietica nasceva in questo silenzio della ragione quando compromessa col mistero dell'assenza, tutto ciò che la logica non poteva spiegare (15).
E la questione sull'etica appare quindi sempre più oscura. Ma come ci dice Spinoza, il quale ne fece  una questione esistenziale, di certo non si possono dare lezioni di morale con l'ipocrisia. Quando Spinoza riceve delle offerte per dedicare un suo saggio o un suo lavoro a questo o quel politico o regnante dell'epoca, rifiuta, non perché non amasse la ricchezza ma perché nella sua situazione sarebbe stato da ipocrita e il suo testo non avrebbe avuto alcun valore.

Fra contemplazione e azione
Etica è ciò che si approva, anche senza aver mai elaborato il perché, motivo per cui l'intuizionista immagina che al di là della scelta ci siano risposte biologiche, quantomeno di sussistenza. Ma se Etica è ciò che si approva, e che determina l'azione successiva, essa è statica, immanente ma statica e come tale assume connotazioni estetiche. Etica è quindi estetica ma con un fine d'azione, che può anche non accadere, ma rimane nell'ambito della personalità psichica. La finalità dell'etica è quindi di saper cogliere la verità e la qualità di una scelta e assumerne le responsabilità. Poiché l'etica si afferma attraverso l'azione e senza di questa, nel suo studio inconscio per elaborare il Buono e il Giusto si corre il rischio di difendere apriori il suo stesso esistere (16).
Il quesito ulteriore è a cosa conduce una scelta, qual è la sua finalità? Abbiamo visto che la scelta è la parte iniziale di un costrutto etico, nella sua fase successiva, ovvero nell'azione questo determina la stessa identità Etica, ma produce, inevitabilmente, differenti finalità. Le due estreme finalità sono la contemplazione e dall'altra parte l'azione. Ci si chiede quindi di operare una scelta.
Optando per la contemplazione prenderemo ad esempio un dipinto di Rotchko. Quando un lavoro contemplativo spinge ad una estasi percettiva ha operato la trasformazione di una situazione politica, che non dipende esclusivamente né dall'opera esposta e tanto meno dal fruitore estatico, ma dal suo autore. Naturalmente sarebbe difficile estorcere ad un pubblico spesso poco erudito della terminologia critica di poter descrivere pienamente il perché comunque quel quadro abbia spinto a soffermarcisi, anche inconsapevolmente. Va sottolineato che la contemplazione estatica è aiutata dallo scopo museale, che spesso è esattamente quello di condurre ad un'estasi anche impercettibile, a volte determinata più da sensazioni nate dalla paranoica prassi espositiva. L'operazione artistica dell'artista in questo caso è etica, la sua estetica è contemplativa ma non possiamo definire in alcun modo l'effetto determinato da un simile manufatto sul fruitore. Possiamo sostenere che lo contempli maggiormente chi riesca a percepire l'etica dell'autore, ma nessuno può dimostrarlo scientemente.
La stessa operazione di estraneamento accade nell'azionismo che mira attraverso lavori socio comportamentali a creare una frattura nel fluire di un individuo indirizzandolo verso qualcosa di predeterminato. Diversamente dalla contemplazione qui possiamo definire l'esito dell'operazione artistica, la quale a volte è riconoscibile solo attraverso la risposta del fruitore. Nell'attivismo non conta più la tecnica, la regola, ma è il suo fine a garantire la forma. La confusa astrazione di alcune opere dei Piombinesi negli anni Ottanta era assai simile all'action painting, ma non lo era lo scopo contemplativo, sebbene in fine era allo stesso modo un lavoro da valutare visivamente. Lo scopo era eticamente compresso nell'esimersi dal partecipare alla forma e lasciare che essa si manifestasse autonomamente. Nel pensiero artistico la contemplazione era dissacrare la forma ispirata e mistica dell'arte.
Se l'etica è nell'azione questa deve assolvere alla sua funzione, essere aderente alla scelta. Altrimenti ne nascerebbe un atto ipo-crita, ipo-molti crito-giudizi, nel senso di più giudizi, ovvero più scelte contrastanti. Poiché le scelte sono inevitabili, un'azione che nasconde o mistifica le sue scelte per compiacere la maggior parte dei fruitori è falsa come lo è anche un ipocrita.
Se la scelta è contemplativa si avrà quindi un'opera eticamente contemplativa solo quando questa azione del fare corrisponda alla capacità di chi ne esegue il meccanismo, l'artista che sa maneggiare la materia alchemica. O in caso contrario si dirà che fa operazioni seduttive, per invogliare mercanti e compratori, e sarà produttore di un'ipocrisia.
Lo stesso accade per coloro che programmano, o fingono di farlo, opere politiche, mentre usano della politica le tattiche in funzione pubblicitaria e realizzano occasioni in cui possiamo riconoscere le contraddizioni di un atteggiamento ipocrita che può andare bene a chiunque e ingioiellare il narcisismo autoriale della gloria di un palese successo.
D'altra parte in entrambi i casi estremizzati l'etica è una scelta comportamentale, aderenza al compito preposto, mancando questa il risultato sarà un'estetica ipo-crita.

Ragione dell'etica
Adesso l'ulteriore domanda che si potrebbe porre è in che modo allora quest'etica si relazioni con l'estetica. Senza cadere nel paradosso di Baumgarten sulla perfezione della bellezza e l'imperfezione della bruttezza, poiché in quanto categorie etiche potrebbero avere la stessa qualità, possiamo però dire che sia comunque una scelta, anche se analitica nella procedura. Ovvero se in quanto categorie etiche possiamo supporre che il grado massimo sia la perfezione, sia del bello che del brutto, si tratterebbe soltanto di una scelta a caso decidere quale definire col termine bello e quale col termine brutto. In termini etici non cambia nulla, in termine estetici, a giudicare da quanto sostiene Baumgarten sì. Il rischio di una combinazione di giudizi così tempestivi sulla qualità delle cose sarebbe comunque, come sostiene Derrida, frutto di una scelta. Noi possiamo dire che in ogni caso il soggetto di cui dissertiamo è racchiuso nella definizione "opera d'arte", la sua etica è quindi la ragione dell'estetica. O in ogni caso possiamo diversamente dire che nel decostruzionismo la parola "estetica" significa "nulla", nihil, nessuna alterazione di nessuna forma, quella è estetica, tutto il resto è etica, anche un qualsiasi giudizio, sarebbe comunque etico, di conseguenza possiamo dire che l'etica restituisce la qualità dell'oggetto anche se questo può non riconoscersi come tale (17). In fin dei conti il valore di un'opera d'arte, al di là della sua speculazione finanziaria, è anche e soprattutto quello di contenere, smistare, provocare, azioni e pensieri positivi, innovativi.

Testimoniale o procedurale
Un'opera che sia testimonianza di qualcosa può essere etica. Naturalmente la stessa questione si pone anche per l'opera procedurale, la quale è comunque adesione ad un'idea, un principio. Anche un'opera procedurale può essere etica. Ma sono due varianti specifiche e differenti. Nel primo caso poiché l'etica è la qualità dell'estetica la forma lavoro espressa nell'ambito di un'opera d'arte deve corrispondere anche alla presunzione di positività e alla facoltà individuale di giudizio. Con questo si vuole sostenere che la tecnica può diventare facilmente la base di un'attività etica, tenendo presente che come abbiamo visto prima, la facoltà meccanica e ripetitiva porta all'estraneamento, una delle perdite etiche (18).  In questo caso, non è solo l'estraneamento ad essere causa di una perdita etica, ma il fatto che l'azione non corrisponda alla volontà unitaria. Quindi solo la contiguità di testimonianza è un chiaro indice di eticamente corretto. Nel secondo caso, procedurale, la sua qualità, risiede nell'aderenza dell'azione agli scopi reali, possiamo dire che traduce la testimonialità attraverso tempistiche differenti, ma il risultato non cambia. Se l'oggetto anche astratto corrisponde alle intenzioni di lavoro ha una qualità etica altrimenti no. Nel primo caso possiamo fare l'esempio di documenti che corrispondono ad azioni, oggetti prodotti o altro dovuti ad una volontà di scelta. Nel caso della procedura che può coinvolgere vari campi interdisciplinari la sua qualità etica corrisponde alla veridicità dell'oggetto anche astratto. In questo caso la responsabilità dell'artista sarà però più grande. Così ad esempio è per gli artisti la scelta del momento in cui interrompere un'opera di procedura. Questa prassi si può evidenziare citando il caso di Castellani. Il fatto che Castellani abbia prodotto opere essenzialmente uguali non può però far dire che fossero nate da una stilizzazione di un'idea che si allontana sempre di più dalla testimonianza originaria. I lavori di Castellani erano opere estremamente vissute nella forma etica. Anche in questo caso una precisazione sulla metodologia della procedura. La procedura in sé è uno strumento che usiamo per definire l'aderenza etica, lo scopo infatti non è quello di creare una forma che possa definirsi tale, ma quello di creare un'estetica che sia utile. L'utilità dell'opera non è infatti quella di far funzionare macchine e artifici, ovvero non è importante che l'opera sia un meccanismo concreto, piuttosto quello di far ragionare sulle scelte. Di fronte ad un'opera incomprensibile possiamo pensare che sia il capriccio di qualcuno, ma possiamo anche pensare che ci sia una ragione o quantomeno un significato che non riusciamo ad identificare. Entrambi i fatti non incidono sulla nostra percezione, l'opera può piacerci anche per motivi a noi oscuri, o per lo stesso motivo opposto non piacerci affatto. Da ciò ricaviamo anche la definizione di "piacere" nei confronti dell'arte; un'opera può piacere ed essere un semplice costrutto ipocrita, viceversa un'opera d'arte può "non piacere" ma rimarrà comunqe un'opera d'arte poiché il suo scopo non è quello di sedurre ma quello di veicolare un'etica del lavoro, che è etica sovrana poiché svolta in autonomia solitaria.
L'etica del lavoro non è sostanza che possa qualificarsi. Proprio in relazione alla sua inconsistenza irriducibile all'analitica e alla logica, se non attraverso le fasi epistemologiche dell'essere, in un computo palesemente impossibile l'etica di un lavoro è incommensurabile. Se un individuo dovesse qualificare la propria etica attraverso il lavoro compiuto egli avrebbe dovuto farlo in un assoluto distacco dall'estetica, cioè sarebbe dovuto essere anestetizzato, il che non ne avrebbe permesso alcuna azione. Allo stesso modo se si volesse qualificare l'estetica bisognerebbe poterla qualificare estraneandone l'etica, che come sappiamo è impossibile secondo logica. Di conseguenza ci si trova allora a osservare un'estetica che è prodotto eticamente o meno qualificabile ma non ne conosciamo i reali motivi. Se un artista è immerso in una estetica che non ha specifiche etiche cosa possiede di diverso da chi invece è immerso in una estetica che di queste ideologie ne ha molte? La risposta è diremmo calvinamente nell'eccesso di estetica prodotta dalla mancanza di etica.

Etica del sacro e del profano
L'idea della Riforma era nel verbo e nella pietra su cui stava iscritta la voce divina, e non si trattava di una pietra scolpita dagli uomini. La pietra è sostanzialmente l'àrgano del divino immoto a cui si riferisce il trapasso da luogo a sistema di pensiero. La sottrazione della pietra risolve la sua apparizione perché scalzata dal giaciglio di natura, diviene il primo grande gesto di cultura e segnala i misteri dell'essere, poi della morte, e infine del destino e delle profezie. La sottrazione ha infranto l'immersione estetica, ovvero è stata trasformata in estasi che conduce all'etica del giusto e del sacro, ma non può parlare se non in retorica del già detto. Un già detto che vivifica la verità del dire, etichettare, rendere icona un oggetto e dargli sembianze di un iniziale "sacro".
Adesso l'utilitarismo sacrale provvede a incensare il record di mercato, poiché il mistero, nel mondo del capitalismo liberista, è quello divinatorio dei soldi, restituisce in qualche misura una forma assoluta di etica, rivolta a quei determinati obiettivi, tali da rappresentare la perfetta corrispondenza di miracolo e algoritmica. Sono caratteri supplementari al fine utilitaristico del profitto e svolgono in perfetto unisono il compito nel migliore dei modi.
Se da una parte l'etica dell'oggetto non può essere in alcun modo verificata lo è il suo alter ego record d'asta o di compravendita. Semmai alla critica il compito di svelare, o tentare di farlo, quel meccanismo che ha prodotto una simile scaltrezza. Perdipiù, la storia, anche non sprofondata nei mendri dei milioni di anni, quella che più o meno tentiamo di conoscere e ricordare, ci segnala che un autentico e molto simile trapasso mistico lo si avvertiva nell'estasi dei prescelti medievali. Lo sguardo odierno è più costante e meno sofferto, ma l'idea è la stessa, tentativo di salire in una fase conoscitiva superiore, un trasalimento che nel caso mistico doveva portare a Dio, che era l'oro supremo, spesso proprio evocato da pietre e metalli sacralizzati e oggi conduce al mistero racchiuso nel dominio del denaro. O in oggetti molto preziosi, quali le icone del mercato globale. Lì il nesso stringente fra scopo e funzione dell'icona con l'estasi dava conferma di un'etica che si riteneva  scaturire da un oggetto posto verso la sofferta trasmigrazione divinatoria, l'emanazione. Nel caso contemporaneo lo struggimento può essere nella maggior parte dei casi foriero di incertezze e di dubbi, poiché anche la cultura matematico economicista ha i suoi giusti dubbi, ma rapportarsi con un gioiello d'arte che vale in sola materia grezza alcune decine di milioni di euro può dare alla testa, se ci si spinge a capire il perché e cosa significhi questa assunzione di potere. Immaginare di rapportare il valore di quel singolo oggetto ad un mondo del quotidiano significa trasformare il proprio mondo, benedetto dalla forza di potere del denaro. E la misura della meraviglia, l'estasi laica della divinazione è economicista, ed è anche la somma delle erronee valutazioni sull'uso della ricchezza.

Estetica è etica (est - etica)
Tutta l'estetica rinchiude in sé dunque questo paradosso di poter esistere in differente qualità solo affidandosi all'etica, ed è proprio in questo avvicendarsi che Baumgarten mette in risalto la disposizione naturale di pensare in modo bello, poiché comunque ogni ricerca altrimenti sarebbe stata vana, senza scopo. Ma in che senso? Ad esempio, in una catena di montaggio due operai fanno lo stesso lavoro e uno dei due lo fa senza interesse, mentre l'altro lo fa con molta attenzione. L'azione intellettualmente volontaria, commista al piacere di fare e saper fare una cosa, definisce il valore dell'etica, ma non il suo valore estetico. D'altra parte a voler essere pignoli se ponessimo a confronto due opere contemporanee, una eticamente consapevole attraverso procedure d'azione socio politiche, l'altra di pura seduzione estetica, è normale che la seconda riesca a piacere più di un eventuale tracciato sulle dinamiche comportamentali o su un intervento pubblico smaterializzato in forma d'azione. Tuttavia il fatto etico in sé, ovvero la qualità estetica dell'opera ha un legame concettualmente valido con l'azione e non con la ripetizion di una forma seduttiva.
In Baumgarten però il senso estetico è sempre legato ad una condizione naturale, sia essa la qualità dell'anima o il talento per produrla. Superato l'enigma estatico divinatorio, nella percezione di una stasi percettiva, non perché impegnata in altro, ma perché troppo impegnata a chiarire il sentire, il senso estetico diviene la trasmissione di significato (19). Che era ipotesi già agostiniana, in uno dei rari momenti della storia in cui la problematica del sentire riusciva ad interessare. Il mondo di Baumgarten era però interessato più al calcolo e alla geometria neoclassica ed è per questo che la formula estetica del suo fondatore assomiglia ad una grossa sfera imbrigliata in una struttura portante, l'etica.
Al fine di chiarificare meglio quanto emerge da una lettura delle prime fasi disciplinari, l'identificazione dell'estetica come filosofia del sentire risulta inficiata sin dalla sua nascita dal nodo di Baumgarten, se ovvero la traslazione da un'etica naturale fosse in qualche modo accettabile anche in un mondo di cultura, se quindi definendo in estetica il carattere del bello esso fosse veicolo di un giusto. Nella pratica poi riconosciamo in questo ciò che più prosaicamente si definisce stile, d'altra parte l'idea dello stile è preilluminista e ha sbocco nel Rococò, quindi nelle deviazioni di Barocco e Rinascimento. Si tratta a ben vedere di un assioma assai frequente nella forma mentis operativa in quel XVIII secolo ancora in divenire, ovvero tradurre alcune forme ideali in oggetti astratti, che, nel caso estrapolato da Baumagarten, ha un chiaro indice di preannunciato neo classicismo. Nel suo caso, compenetrazione di due forme perfette, una doppia croce e una sfera. Anche sorvolando sulla postura già neoclassica di una simile costruzione geometrica ed utopistica, in essa possiamo riconoscere l'architettura di un bello forma/funzione, prontamente rielaborata per focalizzare il dominio di questo o quel canone. La costruzione del sapere illuminista sarà in qualche modo dittatoriale e a giudicare dall'esito di talune convinzioni che lì erano maturate, come della possibilità di educare le masse, che lo si potesse fare soltanto col dominio sull'individuo. Fino a giungere alla pena di morte come strumento di civilizzazione (20). Se quindi vogliamo capire appieno il peso dell'etica nell'ambito del lavoro dobbiamo ritornare a Baumgarten e rileggere Hegel non come colui che vanificava il senso stesso dell'opera attraverso la sua autonomia, ma come segno già romantico per ritardare l'incisività di questa perdita. Di fatto in Hegel la perdita di senso del significato arte divinatoria non era determinato solo dal fallimento dell'utopismo illuminista, ma anche dalla sua retorica. Rousseau che ne era una fonte primaria diviene sinonimo di un manicheismo moderno in cui l'estetica prevale in ogni ambito l'etica che egli stesso tradisce (21). Già in Baumgarten ci si soffermava a pensare il fallimento di un'etica iscritta nelle regole aprioristiche riservandosi l'onere esclusivo di poterne parlare. La misura di quella ingerenza etica all'interno del pensiero di Baumgarten spinge volontariamente la lettura hegheliana verso quel crinale di tramonto occidentale, poiché il filosofo sapeva bene che quello stesso tramonto era stato vissuto varie volte e ad averne fatto le spese erano state proprio le credenze. Questa scissione si potrebbe definire nel trapasso da un'etica della forma e della devozione ad un'etica da lavoro e da coercizione.
Il problema epistemologico oggi rimane invariato, nulla può infatti impedirci di continuare a pensare ancora che l'etica sia il valore dell'opera d'arte.

Tania Bruguera, La verità anche a scapito del mondo/ Let Thruth be, Though the World Perish, a cura di Diego Sileo, PAC Padiglione di Arte Contemporanea, Milano, 27.11.2021-13.2.2022. [Catalogo Silvana editoriale in corso di pubblicazione].

Gennaio 2022
1) Vedi in particolare l'introduzione di P. H. Nowell-Smith, Etica, trad. it. La Nuova Italia, Firenze, 1974, (ed. or. Ethics, Pelican Books, London,1954); cfr. Baruch Spinoza, Etica e Trattato Teologico-Politico, (1677), a cura di Remo Cantoni e Franco Fergnani, Utet, Milano, 2017. Su Bataille, il dispendio improduttivo, vedi Georges Bataille, "La notion de dèpense", in La Critique Sociale, Edition Riviere, Paris, 1933, pp 7 – 15. Vedi anche Georges Bataille, Lascaux. La nascita dell'arte, trad. it. Abscondita, Milano 2014 (ed. or. Lascaux, ou la naissance de l'art, Skira, Genève 1955).
2) Denis Diderot, Scritti di Estetica, a cura di Guido Neri, Abscondita Aesthetica, Milano, 2016, (trad. di testi varie edizioni 1770 – 1778), in particolare pagg. 97, 100-101 in cui si relativizza l'idea del bello ma allo stesso tempo lo si rinchiude nell'ipotesi di un breviario d'istruzioni (rapporti) che costituisca la base linguistica dei propositori, gli artisti, e dei fruitori, il pubblico.
3) Ibidem pag. 97.
4) Sulle problematiche etiche ha lungamente dissertato Jacques Derrida, Della Grammatologia, a cura di G. Dalmasso, ed. it. Jaka Book, Milano, 2020 (1996), (ed. or. De la grammatologie, Les Edition du Minuit, Paris, 1967), “Della grammatologia come scienza positiva”, pag. 109. Sulla pena di morte il pensiero di Derrida traspone un'estetica in un campo etico definendo comunque la scelta etica prioritaria. Jacques Derrida, La pena di morte, vol 1, trad. it., Jaka Book, Milano 2014, (ed. or. Séminaire La peine de mort, vol. 1, Édition Galilée, Paris, 2012. D'altra parte le versioni decostruite dell'interpretazione risultano esclusivamente letterarie per un positivista pragmatico e per un riduzionista logico.
5)  Goodman, Nelson; I linguaggi dell'arte, trad. it Il saggiatore, Milano 2017 (ed. or. Languages of Art, 1976), pp. 208 – 228.           
6) Il pensiero etico si scontra con la morale se indaga le relazioni politiche e il potere. Jacques Derrida, La bestia e il sovrano, 2 voll., trad. it. Jaka Book, Milano, 2010, (ed. or. Séminaire La Bête et le souverain, II vv, Paris, Édition Galilée, 2002-2003).
7) Su Searle e Derrida vedi, J.D., Limited Inc., trad. it. Raffaello Cortina, Milano, 1997 (ed. or. Limited Inc., Galiléè, Paris, 1990). Il testo raccoglie la testimonianza di un dibattito sull'autenticità dell'indagine che vede contrapposti analitica e dialettica.
8) Sulla posizione dell'avanguardia si veda il testo di Peter Bürger, Teoria dell'avanguardia, trad. it. Bollati Boringhieri, Torino, 1990, (ed. or. 1974, Frankfurt am Main). Le similitudini di alcune ricerche dell'avanguardia con la prassi pragmatica si può cogliere in John Dewey, Art as Experience, Penguin Book, New York 2005 (Balch & Company, Minton, New York, 1934). Cfr. una versione più vicina come quella di Guy Debord, La società dello spettacolo, trad. it. Bari, De Donato, 1968, (La société du Spectacle. Buchet/Chastel, Paris, 1967).
9) Maurizio Calvesi, a cura di, Arte e Scienza, XLII Biennale Internazionale d'Arte di Venezia, cat., Electa, Milano 1986.
10) Per lo stesso motivo spesso chi si interessi professionalmente di scienze vede nell'arte qualcosa di incommensurabile, o addirittura un capriccio privo di senso che non sia il piacere estetico di forme e colori.
11) Edgard Morin, L'uomo e la morte, trad. it. Meltemi, Roma, 2002 (ed. or. L'Homme et la Mort, Edition du Seuil, Paris, 1970); Régis Debray, Vita e morte dell'immagine. Una storia dello sguardo in Occidente, ed. it. Il Castoro editore, Roma, 1999; poi Magonza editore, Arezzo, 2020, (ed. or. Vie et mort de l'Image. Une histoire du regard en Occident, Edition Gallimard, Paris, 1992).
12) Sugli Nft. Maurizio Cattelan in una intervista raccolta da Dario Pappalardo sul quotidiano Repubblica, Roma, 20 dicembre 2021, "... l’NFT è una piattaforma, non è il suo contenuto: sarebbe come dire che il certificato di autenticità di un’opera può sostituirsi all’opera stessa." Tutta l'elucubrazione sulla tecnica si risolve in questo paradigma; l'opera non è il suo NFT.
13) Goebbels, secondo quanto scrive Barr, aveva la capacità di capire la qualità dell'opera d'avanguardia ma era interessato ad usarne la forza coercitiva a fini esclusivamente politici, "Il nazionalismo nel cinema tedesco", pag. 29 – 32 in Alfred H. Barr, Degenerata! I nazisti all'assalto dell'arte moderna, Medusa, Milano, 2018 (articolo pubblicato in lingua originale negli USA nel 1934).
14) Georges Bataille, "La notion de dèpense", op. cit.
15)  P. H. Nowell-Smith, op.cit, introduzione.
16) Alexander Gottlieb Baumgarten, Estetica, a cura di Salvatore Tedesco, nuova edizione riveduta da Alessandro Nannini, Aesthetica Edizioni, Sesto San Giovanni (MI), 2020. Qui non si distingue fra oggetto concreto tangibile e oggetto virtuale, digitale o concettuale, secondo quella identificazione che è nella dicotomia derridiana fra impossibile pensiero del visibile e realistico pensiero del non visibile. Vedi Jacques Derrida, Pensare al non vedere. Scritti sulle arti del visibile (1979 – 2004), trad. it. Jaca Book, Milano, 2016, (ed. or. Penser á ne pas voir. Ecrit sur les arts du visible, Edition de la differénce, Paris, 2013); la fluidità concettuale fra vedere e non vedere ha il suo presupposto nel classico testo di Maurice Merleau-Ponty, [Il visibile e l'invisibile, R.C.S. Milano, 2003 (F.B.S.E., Milano 1993) (Le visible et l'invisible, Éditions Gallimard, Paris, 1964)], cui lo stesso Derrida fa riferimento.
17) Ne spiega il meccanismo John Ruskin, La natura del Gotico, VI capitolo di The stones of Venice, trad. it. Jaca Book, Milano, 1980, (ed. or. “The Nature of Gothic”, in The stones of Venice, III vols, Smith, Elder & Co., London, 1851-1853). Sebbene Ruskin non parli esplicitamente di etica il suo elaborato è aderente all'idea di Spinoza sulla corrispondenza etica di azioni e pensiero nella considerazione morale.
18) Naturalmente qui si fa riferimento alla morte dell'arte di Hegel, a quel tracciato del pensiero che conduce prima alla Gaia Scienza di Nietzsche e poi alla logica dell'avanguardia che è assimilabile alla dialettica della Scuola di Francoforte (cfr. Peter Bürger, op. cit.) sino alla decostruzione e al post strutturalismo del postmodernismo francese (cfr. Jean Baudrillard, Simulacres et Simulation, Galilée, Paris, 1981; J.B., La sparizione dell'arte, Abscondita, Milano, 2012 (Politi, Milano, 1988).
19)  Alexander Gottlieb Baumgarten, op. Cit.
20)La costruzione dell'Enciclopedia sebbene ideata sulla proiezione della ragione era progettualmente gerarchica e metodologicamente creata come un'opera dottrinale. Si veda Max Horkheimer,  Theodor W. Adorno,  Dialettica dell'Illuminismo, pag. 261 – 271, trad. it. Einaudi, Torino, 1966 (1947), (ed. or. Amsterdam 1947). Alcune tesi erano state precedentemente discusse da Ernst Cassirer, La filosofia dell'Illuminismo, trad. it. Firenze, La Nuova Italia, 1936 (Die Philosophie der Aufklärung, Tübingen, 1932).
21) Jean -Jacques Rousseau, Le Confessioni, Garzanti, Milano, 1976 (Les Confessions, Ginevra 1782 -1789). In alcune pagine delle sue confessioni Rousseau spiega nei fatti la natura preilluminista, ovvero la divergenza fra etica – di cui egli stesso tradisce il senso – e l'ipotesi di una norma esistenziale assoluta, declinando l'inconciliabilità del dualismo con un distacco dialettico. Così per la coscienza etica del contemporaneo, ad esempio, le sue ipotesi idealiste si contrappongono alla realtà dei fatti e dei misfatti di cui si rese colpevole e che oggi etichettiamo con la definizione di ipocrita.