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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Dalla sezione aurea alla processing fluency

Giuliano Lombardo

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Quando si pensa alla possibilità di misurare in qualche modo la bellezza, alla possibilità di quantificare il “valore” estetico, è facile che vengano in mente immagini della sezione aurea e della serie numerica che tende a questa proporzione, la serie di Fibonacci. Questo immaginario è ormai talmente radicato nella nostra cultura da non risultare più né originale, né elegante, ma scontato e banale. Tanto da risultare stucchevole nella sua pretesa di universalità e di bellezza assolute e indiscutibili. Quel che rimane interessante è l'approccio e la prospettiva di una possibile oggettività nella valutazione della produzione artistica, nell'esistenza di una qualche formula che ci possa liberare dall'arbitrio delle valutazioni personali del singolo e contemporaneamente dalla superficialità della dittatura della maggioranza, dai soldi spesi dall'1% o dal numero di “like” ottenuti su Facebook.[Fig.1]

Ecco il motivo per andare a rispolverare il Trattato di Estetica scritto da Fechner (1876). Considerato l’iniziatore di una estetica empirica, in cui il metodo sperimentale proprio delle scienze naturali viene utilizzato come strumento per misurare la bellezza. Scopo di questa riflessione che considera ancora l'estetica come un valore proprio di un oggetto e non come una relazione o un comportamento era quello di stabilire quali fossero le forme preferite dalle persone. Le forme prese in considerazione erano forme bidimensionali semplici, poligoni regolari. Fechner, riteneva che l’esperienza estetica fosse dovuta ad un insieme di fattori elementari, così come sostenuto dalla teoria strutturalista della percezione visiva di Wundt (1904) che considerava un percetto come risultato della somma dei singoli elementi da cui è composto. La reazione di preferenza delle persone nei confronti di un oggetto veniva considerata da Fechner come conseguenza delle proprietà fisiche dell'oggetto, delle sue proporzioni, dei suoi equilibri, delle sue misure. Interessante oggi è notare la radicalità dell'approccio bottom-up proprio dell’estetica empirica fechneriana.

Questo approccio sperimentale all'estetica, di cui Fechner fu iniziatore, attribuiva grande importanza al reperimento di dati sperimentali ed alla ricerca di regolarità nelle valutazioni di preferenza dei soggetti dei suoi esperimenti. Nel suo lavoro sulla preferenza dei rettangoli, di gran lunga il più conosciuto, Fechner prese in considerazione 10 rettangoli di superficie equivalente in cui il rapporto larghezza/altezza variava da 1:1 a 1:0,40, passando per la famosa “sezione aurea”. Trecento soggetti valutarono i 10 rettangoli con il compito di scegliere quello che piaceva di più e quello che piaceva di meno. I risultati mostrarono che il 35% dei soggetti preferiva il rettangolo il cui rapporto altezza/larghezza era stabilito dalla sezione aurea e comunque tale rettangolo non veniva mai rifiutato, anche se tutti i rettangoli furono scelti almeno una volta. La preferenza, secondo Fechner, era dovuta alla composizione strutturale della figura in cui la proporzione tra i lati assumeva un significato importante e decisivo nella scelta. In particolare veniva preferito il rettangolo il cui rapporto base/altezza corrispondeva alla famigerata proporzione detta “sezione aurea”.

La sezione aurea è considerata una sorta di regola dell’armonia perché costituisce, con le sue leggi numeriche, un rapporto tra le parti che risulta visivamente piacevole ed equilibrato: di una regolarità facilmente percepita, ma difficilmente compresa. Per chi non lo sapesse (gli altri lettori possono saltare questo capoverso) la sezione aurea consiste in un particolare rapporto in cui la parte più grande del segmento risulta essere la media proporzionale tra la lunghezza di tutto il segmento e la parte rimanente. La proporzione aurea è il rapporto che intercorre tra le parti di un segmento suddiviso in due parti in cui S (il segmento intero) sta a M (la parte maggiore del segmento) come M sta a m (la parte minore del segmento). La formula conseguente risulta essere S:M=M:m. Se si sviluppa la proporzione si ottiene un numero irrazionale le cui prime cifre sono 0,618. Questo “rapporto aureo”, “numero d’oro” o “divina proportione” (Pacioli, 1509) è stato utilizzato come sistema codificato per la costruzione di proporzioni armoniche tra le parti, segmenti, figure geometriche, rapporti architettonici. Il rapporto aureo è stato utilizzato nei modi più svariati, per la costruzione di importanti opere architettoniche, pittoriche, scultoree e musicali, lo si ritrova nella costruzione di strumenti musicali come il violino ed è stato utilizzato per lo standard europeo dei fogli A4 (A3, A2, A5 etc.). L'altra particolarità della sezione aurea è che questa risulta essere la proporzione a cui tende la serie numerica di Fibonacci, una semplice serie progressiva che ritroviamo in ogni angolo della natura. Questa serie numerica è data dalla somma degli ultimi due numeri della serie, dati i primi due numeri 0 e 1. Per chi non abbia letto il “Codice Da Vinci” (Brown, 2003) la serie è: 0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13...

Circa cinquant'anni dopo Fechner, fu Birkhoff a proporre una formalizzazione in termini matematici di quello che considerava il valore estetico di un’immagine. Nel suo libro “Aesthetic Measure” propose una formula per misurare l'aesthetic effectiveness l'efficacia estetica. Secondo Birkhoff il valore estetico di un oggetto e di conseguenza il piacere che se ne trae, è espresso in funzione di due elementi strutturali fondamentali: l’ordine (inteso come massima omogeneità, semplicità, equilibrio) e la complessità (inteso come massima eterogeneità, disordine, numerosità degli elementi presenti in una configurazione). Secondo Birkhoff il piacere ricavato dalla percezione di un’immagine sarebbe dovuto alla prevalenza dell’ordine rispetto alla complessità (Birkhoff, 1933). [fig.2]

Birkhoff partì dall'ipotesi che la complessità C fosse indice dello sforzo impiegato durante l'elaborazione percettiva e che l'ordine O fosse indice della tensione rilasciata durante quest'elaborazione. Egli esprime questo concetto con la formula M=O/C. Dove M indica la misura estetica, mentre O e C indicano rispettivamente l’ordine e la complessità. Il piacere estetico viene ricondotto all’ordine (semplicità, simmetria, regolarità, equilibrio) diviso per la complessità presentata dall'oggetto. Un buon rapporto tra queste due componenti sarebbe alla base della creazione di un oggetto con una forte qualità estetica. Secondo il concetto di misura estetica formulato da Birkhoff come rapporto tra ordine e complessità, la complessità corrisponde grosso modo al numero di elementi presenti nell'immagine, mentre la complessità misura il numero di regolarità che possiamo trovare in essa. Per Birkhoff l'esperienza estetica è dovuta alle interrelazioni presenti nell'oggetto e la misura estetica è determinata dalle relazioni di ordine intrinseci all'oggetto. Egli individua tre fasi consequenziali nell'esperienza estetica: una fase di sforzo iniziale in cui l'attenzione, preliminare per ogni atto percettivo, è proporzionale alla complessità dell'oggetto; una seconda fase in cui si percepisce la sensazione del valore, ovvero la misura estetica dell'oggetto; infine, la fase di verifica delle regolarità presenti tra gli elementi dell'oggetto. Convinto che l'esperienza estetica fosse soggettiva e che fosse impossibile comparare tra loro oggetti di classi diverse, Birkhoff propose di restringere la misurazione estetica a classi di oggetti e soggetti simili tra loro (Birkhoff, 1933). [fig.3]

Per alcuni, la formula di Birkhoff sembrò propendere troppo per l'ordine e la semplicità penalizzando le configurazioni più complesse. Uno dei principali critici della teoria di Birkhoff fu Eysenck, che criticò la sua formula e la sua concezione del rapporto tra ordine e complessità per individuare la misura estetica (Eysenck, 1942). Eysenck non credeva che la complessità dovesse essere divisore dell’ordine, al contrario riteneva che la complessità dovesse essere moltiplicata all’ordine per esprimere il valore estetico. Un’immagine con elevato valore estetico doveva contenere allo stesso tempo sia elementi di complessità che di ordine, considerate entrambe caratteristiche strutturali dell'esperienza estetica. Trasformando il tipo di rapporto tra ordine e complessità proposto da Birkhoff, Eysenck propose una nuova formula in cui la qualità estetica dell’immagine si ottiene dal prodotto tra ordine e complessità secondo la formula M=OxC (Eysenck, 1942). Birkhoff in una maniera coerente con i paradigmi della teoria dell'informazione e della complessità algoritmica, sembra aver equiparato la complessità al disordine. Nel tentativo di renderlo più rigoroso, il concetto generale di Birkhoff fu riformulato da Max Bense (1965) e Abraham Moles (1966) partendo dalla teoria dell'informazione di Shannon (1948).

Secondo Bense, il processo creativo consiste sempre nella selezione di elementi da un determinato repertorio. Nell'arte tale processo selettivo conferisce delle proprietà all'opera, proprietà che includono un ordine globale (dato da gli ordini parziali) ed una complessità globale (data da complessità parziali). Diversi studiosi hanno proposto formule per la misurazione estetica proseguendo questa linea di ricerca in varie direzioni, come esempio italiano si veda la sintesi cronologica dell'Eventualismo dal 1977 al 2003 (Ferraris, 2012). Diverse proposte sono pervenute da ricerche nel campo dell'informatica. Secondo Koshelev è il tempo di esecuzione dell'algoritmo generativo di quella configurazione a fungere da formalizzazione del concetto di complessità espresso da Birkhoff (C), mentre il concetto di ordine di Kolmogorov (1965) corrisponderebbe all'ordine di Birkhoff (O). Arrivando, quindi, ad una formula nuova per la misura estetica: M = 2−l(p)/t(p) (Koshelev, 1998). Altri hanno voluto esprimere la misura estetica come rapporto tra complessità dello stimolo e complessità della sua elaborazione inaugurando il campo di studi chiamato estetica dell'informazione (Machado and Cardoso, 1998). Varie direzioni di ricerca presenti nel campo dell'estetica empirica considerano doveroso un aggiornamento del concetto di complessità riguardante l'arte per integrare e migliorare le teorie estetiche esistenti e conseguentemente le procedure di valutazione nel campo dell'estetica computazionale (Hoenig, 2005; Greenfield, 2005; Galanter, 2010). Oggi gli studi che si avvalgono del concetto di processing fluency sembrano essere i più diretti discendenti di queste linee d'indagine iniziate da Birkhoff.

Nella teoria detta processing fluency, formulata da Reber, Schwartz e Winkielman, il piacere estetico viene definito come funzione delle dinamiche cognitive del percettore in contrasto con le teorie che correlano il piacere estetico con caratteristiche oggettive presenti nello stimolo. Secondo questi autori il piacere estetico è radicato nell'esperienza cognitiva del percettore, esprimibili solo in parte come funzioni delle proprietà dello stimolo. Secondo questa teoria, la facilità con cui viene elaborato uno stimolo ne determina il valore estetico percepito. Con il termine processing fluency ci si riferisce all'esperienza meta-cognitiva di facilità o difficoltà (disfluency) con la quale avviene l'elaborazione di nuovi dati. In relazione ai giudizi di preferenza, un alto grado di fluency corrisponde generalmente ad un incremento del valore positivo del giudizio sull'oggetto. Questo sarebbe dovuto alle sensazioni positive che accompagnano l'esperienza di processing fluency (Winkielman et al., 2003). Questa sensazione soggettiva di facile percezione sarebbe un'esperienza unica risultante dall'elaborazione di molteplici fonti asincrone, un fenomeno soggettivo e cosciente che si correla con diversi stadi dell'elaborazione percettiva (Reber, Wurtz e Zimmermann, 2004; Wurtz, Reber e Zimmermann, 2007).

La teoria viene applicata con successo nella spiegazione del funzionamento di variabili che notoriamente influenzano i giudizi estetici quali le variabili gestaltiche come la congruenza, la relazione figura-sfondo, la simmetria, il contrasto e la ripetizione. La teoria è stata usata anche per spiegare la prototipicità (prototypicality) (Martindale e Moore, 1988), l'influenza del priming nei giudizi di gusto e di veridicità, nell'interazione tra preferenze innate e influenze culturali (Reber, Schwartz e Winkielman, 2004). Secondo questa teoria i neonati preferiscono melodie consonanti per via del fatto che il loro sistema percettivo li porta ad elaborare le consonanze musicali più facilmente rispetto alle dissonanze. Crescendo, gli stessi individui saranno esposti alla musica della propria cultura e tale familiarizzazione li porterà a sviluppare una facilità di elaborazione per la musica di quella cultura (culture-specific fluency). Questo spiegherebbe perché persone di culture diverse mostrano gusti musicali diversi. La stessa teoria è utilizzata per spiegare la correlazione tra verità e bellezza (Schwarz, 2006) e la preferenza per le soluzioni eleganti in campo matematico e scientifico (Reber, Brun e Mitterndorfer, 2008).

Questo stesso modello è stato anche usato per spiegare la sensazione di piacere legata al verificarsi degli insight. Le sensazioni che accompagnano l'esperienza dell'insight – la sorpresa improvvisa, la facilità, la gratificazione, la sicurezza – sono state spiegate in termini di fluency. L'affezione positiva, la verità percepita e la confidenza nel proprio giudizio vengono innescate dalla improvvisa apparizione della soluzione di un problema e dal concomitante improvviso aumento della facilità della sua elaborazione. Queste variazioni improvvise nella processing fluency vengono considerate come un fattore importante per gli effetti di verità e di sicurezza percepiti. (Topolinski e Reber, 2010)

Esiste una vasta letteratura che mostra come, in una varietà di domini diversi, la valutazione di stimoli elaborati con maggiore difficoltà (disfluent) tende ad essere negativa mentre quella degli stimoli elaborati facilmente (fluent) mostra una tendenza positiva. Si pensa che i titoli azionari con nomi difficilmente pronunciabili siano investimenti meno sicuri e si tende a credere che andranno meno bene sul mercato (Alter e Oppenheimer, 2006). Similmente si tende a credere che una prosa meno immediata sia stata scritta da un autore meno intelligente e viceversa (Oppenheimer, 2006). La facilità di elaborazione del linguaggio influenza anche il grado di verità attribuito ad un aforisma (McGlone e Tofighbakhsh, 2000). L'essere esposti ripetutamente ad un'affermazione incrementa la facilità con la quale questa viene elaborata e sarebbe questa facilità ad incrementare la probabilità che tale affermazione venga giudicata vera (Reber e Unkelbach, 2010). È stato dimostrato che la processing fluency ha un'influenza sui giudizi riguardanti la durata di uno stimolo (Masson e Caldwell, 1998), la sua luminosità (Mandler, Nakamura e Van Zandt, 1987), la sua piacevolezza (Reber, Winkielman e Schwartz, 1998; Reber, Zimmermann e Wurtz, 2004), ma anche per il grado di fama che gli viene attribuito (Jacoby, Kelley, Brown,& Jasechko, 1989; Jacoby, Woloshyn, & Kelley, 1989).

Per quanto i dati sperimentali dimostrino che la processing fluency svolga un ruolo di primo piano nella formulazione di giudizi di preferenza e di veridicità, rimane difficile spiegare la varietà delle risposte emotive tramite un'unica causa cognitiva. Si tratta di un modello il cui campo è ristretto ai soli giudizi positivi generici e per questo sembra applicarsi con minor successo al campo specifico dell'arte, specialmente a quello dell'arte contemporanea (per un approfondimento delle tematiche e delle prospettive dell'applicazione di questa teoria all'arte si veda Reber, 2012). Rimane il fatto che uno dei temi ricorrenti nei modelli psicologici della valutazione estetica è il bilanciamento tra ordine e disordine, tema che pone in primo piano il concetto di complessità. Oggi si possono contare una moltitudine di concetti di complessità alternativi tra loro, alcuni considerano la complessità come opposta all'ordine ed altri la considerano come un particolare equilibrio tra ordine e disordine (Feldman e Crutchfield, 1998).

La teoria dell'informazione (Shannon, 1948) nasce con l'intento di quantificare e misurare i canali comunicativi in termini di capacità. Shannon muove dall'idea che la quantità d'informazione trasmessa cresca in rapporto all'elemento di sorpresa. Inoltre, maggiore è la quantità di informazioni presente in un canale e minore è la sua possibilità di essere compresso senza perdita di informazioni. Secondo il modello teorico di Shannon la complessità è proporzionale alla quantità di informazioni, quindi è il disordine presente in un canale comunicativo a determinare direttamente il suo grado di complessità. Più è alto il grado di disordine, più è alto il suo grado di complessità. Questo porta al fatto che il canale più complesso è quello che trasmette stringhe di caratteri in modo assolutamente casuale, in termini visivi si tratterebbe dell'effetto neve mentre in termini acustici si tratterebbe del fruscio del rumore bianco. A partire dagli Anni 60, vari ricercatori hanno sviluppato dei concetti simili in campo informatico. Secondo questi studiosi la complessità di un algoritmo è proporzionale alla misura del programma più piccolo che possa eseguirlo (la misura include sia il codice che i dati) (Solomonoff, 1964; Kolmogorov, 1965; Chaitin, 1966).

Sia per quanto detto riguardo la teoria dell'informazione che per quanto riguarda l'approccio informatico, la complessità sembra corrispondere al disordine o perlomeno all'opposto della comprimibilità. Secondo queste definizioni la musica più complessa corrisponderebbe al rumore bianco e l'immagine più complessa sarebbe formata da pixel puramente casuali. Ad un pubblico umano, però, le infinite variazioni del rumore bianco suonano tutte uguali e le immagini formate da pixel randomizzati vengono percepite come la stessa immagine, lo stesso grigio.

L'avvento della teoria della complessità come disciplina ha problematizzato la questione delle definizioni di ordine e complessità. Nella nostra esperienza di esseri umani, nella nostra vita di tutti i giorni, i sistemi più complessi con cui entriamo a contatto sono altri esseri viventi. In riferimento a questo fu formulato un concetto chiamato effective complexity (Gell-Mann, 1995). Al contrario delle definizioni di complessità prese in esame precedentemente, la effective complexity non è proporzionale all'ordine ed alla comprimibilità, ma corrisponde ad una quantità alla quale contribuiscono sia l'ordine che il disordine. Questa “complessità efficace” corrisponderebbe ad un equilibrio tra ordine e disordine come quello si incontra nelle forme di vita. Un organismo vivente richiede sia un grado di ordine che un grado di disordine per poter esistere e sopravvivere. Se, da un lato, occorre un certo grado di ordine per mantenere l'integrità e la persistenza dell'organismo nel tempo e nello spazio, dall'altro un certo disordine permette l'adattamento, il cambiamento e la flessibilità, anch'essi essenziali alla sopravvivenza. La complessità efficace raggiungerebbe il suo massimo nelle forme organiche, forme di vita che presentano per noi maggiori opportunità di crescita e sviluppo: il mondo delle relazioni sociali e quello biologico. [fig.3]

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