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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Il Museo come il Foro Romano

Lucilla Meloni

Un progetto espositivo incendiario, culturalmente e politicamente dirompente, come da molto tempo non si vedeva a Roma, è quello realizzato dal curatore Hou Hanru per il MAXXI, che si svuota di tutte le sue opere d’arte, che modifica alcune sue parti architettoniche, per essere ridisegnato da una serie di installazioni sonore.

Una mostra coraggiosa, come lo è il testo del curatore in catalogo, che riflette sulla peculiarità del museo d’arte contemporanea, diventato oggi luogo piuttosto dell’intrattenimento e del divertimento, che centro promotore di una vera crescita culturale e sociale dei cittadini. Un Museo dunque troppo spesso svuotato delle sue funzioni primarie, un edificio “iconico” in sé, promotore di programmi “spettacolari e popolari”, la cui programmazione dipende dalla logica dei grandi numeri.

Hanru collega questo dato di fatto alla crisi generale della democrazia e all’ideologia neoliberista, e rivendica, al contrario, la concezione del museo di arte contemporanea come Forum: come spazio del confronto e del dibattito.

Perciò, scrive, “Un museo aperto è precisamente un modello concentrato della società civilizzata, un microcosmo della società umana di qualità”: un’idea illuministica e pragmatica, che nulla toglie alla visionarietà dell’arte, intesa come spazio estetico di elaborazione sociale politica e culturale.

Se, in precedenza, alcune grandi mostre, come ad esempio Documenta X, Documenta XII, Documenta XIII, avevano focalizzato l’attenzione sull’ espansione delle pratiche dell’arte contemporanea verso territori sempre più estesi, in questo caso, inoltre, è la totale assenza delle “arti visive” a generare un inedito punto di vista.

La Sound Art irrompe nell’edificio con i suoni che provengono dal mondo esterno e ne ridisegna l’architettura, accompagnata da un articolato calendario di eventi che contempla, oltre a manifestazioni performative, a rassegne di film d’artista, a esposizioni fotografiche, a incontri con alcuni protagonisti del mondo culturale, le “narrazioni” inscenate da Chiara Fumai, Marinella Senatore, Elisa Strinna, Valentina Vetturi.

Se il suono, o meglio i suoni, che si dilatano nel museo, annullano ogni iconicità, e in questo si oppongono alla “società dello spettacolo che tende a fissare e limitare le nostre espressioni in immagini materializzate e spettacolari”, il fluire del racconto, che si ripete in diversi lavori, dichiara l’urgenza del recupero della centralità della parola, delle forme di espressione verbale tradizionali, di contro alla consueta e predominante cultura della “comunicazione testuale e visiva”.

Scandita da sezioni tematiche che investono questioni centrali della nostra contemporaneità, in cui trovano spazio i temi dell’origine del mondo, della vita sociale e individuale, della figura dell’artista, della rivolta, la mostra, concepita come immersiva, invita il visitatore a mettersi all’ascolto dei suoni, dei rumori, della musica, delle narrazioni che incontra nel suo percorso in un edificio sgombro di immagini.

In un passaggio osmotico tra il dentro e il fuori, nella sezione “L’insurrezione che verrà” Cedvet Erek con il suo intervento “A Room of Rhythms–Curva”, trasforma la Galleria 3 in una piazza transitabile, in cui echeggia la recente rivolta di Istanbul. La piazza, moderna agorà, deputata all’incontro dei cittadini, torna nella installazione sonora in 3D di Justin Bennet: “Hyper-Forum”, dove 4 elementi tubolari delimitano la superficie in cui risuona il rumore cittadino, registrato a Roma e in altre città. Anche l’intervento di Haroon Mirza “External Binaural Envelope” trasporta i suoni e i rumori provenienti dallo spazio esterno, in questo caso quello adiacente al museo.

L’origine del mondo, le speranze individuali, la figura dell’artista, lo scorrere millenario dell’acqua Vergine (segno del Tempo) sono i motivi che vengono evocati da altrettante opere. Al suono della prima nota, il “La”, metafora dell’origine del cosmo, declinata nelle sue differenze di frequenza nell’opera di di Ryoji Ikeda, al rumore dell’acqua che scorre da due millenni nell’acquedotto romano, catturato da Bill Fontana, alla parola dell’oracolo, destinata a colui che si siede su una panchina (Justin Bennet), si accompagna, sequenza pulsante fatta di rosso che illumina una parte esterna dell’edificio, traduzione nell’alfabeto morse del romanzo di Cervantes, l’opera di Jean-Baptiste Ganne: “Sketch for El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha”. Metafora del sogno, dell’utopia e del coraggio, indica le qualità dell’artista e dunque la funzione sociale dell’arte, come elaborazione di un pensiero “in rivolta”, sempre alternativo alle logiche dell’esistente.