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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Louise Bourgeois allo Studio Trisorio

Brunella Velardi

«The purpose of the pieces, whatever they are, and whatever date they are, is to express emotions. Emotions for me are very bothersome, because they are completely inappropriate. My emotions are inappropriate to my size. My emotions are my demons. This is not the emotions themselves, it is the intensity of the emotions: are too much for me to handle, and this is why I transfer them, I transfer the energy into sculpture. It applies to everything I do. It has nothing to do with the craft, it has nothing to do with the skills, it has nothing to do with how-to manage materials. Materials are only materials, nothing more. Materials are not the subject of the artist. The subject of the artist is emotions and ideas, both». Questa lucida, disarmante riflessione di Louise Bourgeois, che chiude il documentario “The Spider, the Mistress and the Tangerine”(1) uscito due anni prima della sua morte, sembra il consapevole punto di partenza da cui violentemente scaturiscono gli oggetti del suo universo poietico. E’ lo stesso impeto energico e tormentato che impronta i disegni esposti allo Studio Trisorio in questi mesi. La mostra, intitolata “Voyages without a destination”, presenta opere prodotte dall’artista tra il 1940 e il 2009: un arco di tempo lungo settant’anni in cui l’intensità delle sue emozioni, pur risalenti alla sua infanzia, è rimasta invariata, configurandosi come un bacino di suggestioni a cui la sua creatività ha attinto per tutta la vita. «Non mi interessa tornare indietro. Non mi interessa viaggiare. Mi interessa solo ricordare», risponde perentoria a Bill Beckley che la sta intervistando (2) - in un testo del ’97 che accompagna il catalogo dell’esposizione. Pochi anni possono contenere abbastanza demoni per tutta una vita, anche se dura quasi un secolo. A ben vedere, più che di errare senza meta, come suggerirebbe il titolo, percorrendo il perimetro della galleria si ha l’impressione di entrare all’interno di quell’ itineraire unique che è il suo viaggio personale e irripetibile, il suo diario intimo esposto sulle pareti della storica galleria napoletana, otto anni dopo la grande esposizione di Capodimonte.
Ragni, mammelle, stoffe attorcigliate, mani protese. I disegni ripercorrono tutta la produzione della Bourgeois. I suoi soggetti più celebri si mescolano con le sue riflessioni sulla vita e sulla sua stessa concezione dell’arte, in un tratto che segue l’andamento della sua età, assecondando il ritmo con cui la mano fa scorrere la matita sul foglio.
Su ogni colore prevale il rosso. «Perché il rosso? Perché ha a che fare con il sangue, con la sofferenza. Perché la sofferenza? Beh, è ovvio. È ovvio»(3). La purezza con cui l’artista rivive le scene della sua infanzia conferisce alle sue opere la vividezza di una ferita appena aperta, inferta con l’aggressività del primo istinto. «You have to be very aggressive to be a sculptor, really», afferma in apertura del documentario, e la Bourgeois è senza dubbio una scultrice anche quando lavora con carta e inchiostro, una certezza che deriva dalla potenza con cui l’esperienza delle sue immagini si imprime nella coscienza prima ancora che sulla retina. Così Femme, Breasts, The Birth e The Family sembrano forme composte da lacrime di sangue cadute sul foglio. La maternità, intesa come condizione naturale ineludibile piuttosto che come condizione contingente, è irrimediabilmente connessa a una violenza primordiale che, prima ancora che alla Louise madre di tre figli, si collega alla Louise bambina, la cui infanzia resterà per sempre segnata dall’inesauribile desiderio di un affetto genitoriale incondizionato e interrotto invece da un lato dalla consapevolezza di essere figlia malaccetta perché femmina, dall’altro dall’inaffidabilità sentimentale del padre nei confronti della madre. Non a caso nel disegno che segue compare il ragno, immancabilmente identificato con la figura materna, intelligente e benigna tessitrice per indole e per mestiere, ma pur sempre ridotto a icona stilizzata della grande Maman, confortante quanto inquietante nel suo essere un ‘mostro buono’.
Se spesso si è insistito sul nesso tra l’arte della Bourgeois e il suo rapporto con il padre, ponendo l’accento sulla ‘scabrosità’ delle sue sculture, in “Voyages without a destination” il riferimento costante è alla madre: l’attorcigliarsi dei panni, quel gesto semplice quanto funzionale che lei ripeteva per strizzarli dopo averli immersi nell’acqua, si ritrova in quattro disegni eseguiti tra la seconda metà degli anni ’40 e i primi anni ‘50, ma anche in due delle quattro sculture esposte, entrambe intitolate Lair (1962): rifugio, nascondiglio. È la forma di nido che assume appunto un panno strizzato, e che in un bronzo diviene spirale, rimando esplicito a simbologie religiose dalla Torre di Babele al Paradiso dantesco (la spirale come elemento ascensionale ricorre più volte, consapevole richiamo alla dimensione del sacro, anche in alcune installazioni della Bourgeois, da I Do, I Undo, I Redo realizzata per la Turbine Hall della Tate Modern, 2000, a Cell (The Last Climb), presentata a Capodimonte, 2008, oltre che nei disegni in mostra Has the day invaded the night or has the night invaded the day?, 2006 e Spiral, 2009); nell’altro, sorta di groviglio che pende a mezz’aria, si ricollega al tema, pure costante, di un equilibrio ambiguo, instabile, di una condizione ibrida tra stasi e azione che è propria dei corpi sospesi, in moto potenziale: «L’orizzontalità – dice Bourgeois – è il desiderio di arrendersi, di dormire. La verticalità è un tentativo di fuga. Lo stare sospesi ed il fluttuare sono stati di ambivalenza»(4). Ancora, la figura del panno, divenuta quasi archetipica, acquista un volto (Untitled, 1946), o si fa motivo astratto dalle reminiscenze organiche (Untitled, 1947 e due Untitled, 1950). Il tessuto ritorna, stavolta sottoforma di macroripresa di un brano di trama e ordito, nella serie Untitled del 2005, quattro disegni a carboncino e sanguigna in cui il pattern si ripete su fronte e retro, in un’imitazione letterale quanto ‘automatica’ –nel senso surrealista del termine– che, cioè, solo in seguito alla sua estrinsecazione acquisisce il senso di una metrica rassicurante perché familiare. Poco più in là, una ragnatela disegnata sul foglio con ago e filo. Oggetti e linee che emergono con una prolificità instancabile dalla rielaborazione del soggetto materno e che allo stesso tempo divengono simbolo universale della capacità femminile di trapassare grettezze, segregazioni, luoghi comuni e di mediare, cucire, attenuare le idiosincrasie dell’uomo(5).
È dalla riflessione sulla figura materna che la Bourgeois sposta gradualmente la sua immaginazione plastica sulla rappresentazione della donna attraverso l’elaborazione di una forma assoluta, plurivalente, sempre diversamente interpretabile come gravida, assorta, sottomessa, ma anche sempre riconoscibile in quanto figura femminile, come avviene in Femme, 1993, bronzo sospeso anch’esso nella galleria. A terra è invece necessariamente The worm, 1989, essere enigmatico, organo femminile e maschile allo stesso tempo e conchiuso nella sua autonomia formale e concettuale. Così come autonome, rese assolute in tutto il loro portato di umanità, sono le mani, che qui si ritrovano in You are my favorite monster, 2005 e Has the day invaded the night or has the night invaded the day?. Se «la bellezza è la ricerca ‘dell’altro’»(6), proprio le mani sono il luogo in cui quella ricerca si attua plasmando la materia così come l’intelletto lo desidera e lo concepisce, appendici che si protendono, pronte a instaurare legami, a intrecciarsi con altre mani replicando ancora una volta quella trama vitalista che rappresenta il culmine dell’operare femminile. È nelle mani che si concentra e si concretizza l’interesse dell’artista per il duale, il reciproco, la tensione tra pulsioni opposte che si risolve prima nella seduzione(7) e poi nella fusione, confluendo nella forma dell’ovale (qui in Untitled, 2006 e in Has the day invaded the night or has the night invaded the day?, verso): «Un ovale indica molte cose, è davvero importante per me. Il cerchio è una figura con un centro, ma l’ovale è la mia immagine preferita perché contiene due centri. Un ovale è un due. L’ovale è da sempre metafora della coppia. Due centri, due entità»(8), spiega Louise, forse fingendo di dimenticare che la forma ovale, fin dai tempi di Piero della Francesca, è emblema, allo stesso tempo, di purezza ma anche di fertilità, ancora una volta, femminili.

aprile 2017


1)“The Spider, the Mistress and the Tangerine”, regia di Amei Wallach e Marion Cajori, 2008.
2)B. Beckley, Domeniche pomeriggio: una conversazione e una riflessione sulla bellezza, 1997, in “Louise Bourgeois. Voyages without a destination”, Studio Trisorio, 2017.
3)Cit. L. Bourgeois, v. nota 1.
4)L. Bourgeois, cit. in Louise Bourgeois. Per Capodimonte, catalogo della mostra, Electa Napoli, 2008, p. 51.
5)Rispondendo a una domanda sulla differenza tra estetica francese ed estetica americana, Louise Bourgeois racconta: «Sono cresciuta in Francia e quando ero ragazzina il lavoro di mia madre consisteva nel cucire arazzi. Alcuni di questi arazzi venivano esportati in America. L’unico problema era che molte immagini raffiguravano persone nude. Il compito di mia madre allora era quello di rimuovere i… come li chiamate? Sì, i genitali, degli uomini e delle donne e di sostituire queste parti con figure di fiori così da poterli vendere agli americani. Mia madre nel corso degli anni conservò tutti questi ritagli di genitali e un giorno li cucì insieme, ne fece una trapunta e me la regalò.», in B. Beckley, v. nota 2.
6)Ibidem.
7)«Così come il mio cervello avverte la dualità tra soggettivo e oggettivo, il mio senso di bellezza oscilla tra i due […]. Sono una donna emotiva in contrasto con la sua parte razionale. […] Sedurre è una fusione armonica tra i due aspetti ed è l'arte più grande di tutte», ibidem.
8)Ibidem.