La Tartaruga. Storia di una Galleria di Ilaria Bernardi e Franco Angeli e Tano Festa. Pittori con la macchina da presa di Elisa Francesconi, ambedue i volumi recentemente pubblicati da Postmediabooks, raccontano alcune delle vicende esemplari dell’arte contemporanea in Italia

Lucilla Meloni

Il libro di Ilaria Bernardi dedicato a La Tartaruga, la mitica galleria di Plinio De Martiis, ricostruisce attraverso una meticolosa ricerca d’archivio l’intera attività espositiva e editoriale dello spazio espositivo, e oltre a offrire al lettore la completa cronologia degli eventi e immagini inedite, traccia un affresco della personalità di De Martiis, nell’epoca in cui, vale la pena di ricordare, in Italia l’arte contemporanea era sostenuta da grandi personalità di galleristi, che hanno condiviso con gli artisti della neoavanguardia intenti, passioni e sperimentazione. 
Sono illuminanti in tal senso le parole di Giosetta Fioroni che l’autrice riporta nel testo, a ricordo di Plinio: “Plinio era un vero deus ex machina (...) un unicum (...) un regista-autore (...) una figura duchampiana per possibilità, intuizioni, provocazioni realizzate insieme agli artisti”.
Articolato in capitoli che scandiscono la cronologia della galleria negli anni “ruggenti”, nelle conclusioni l’autrice dà conto, come è giusto che sia, delle vicende successive alla chiusura della sede di Piazza del Popolo (1968).
Un importante regesto di tutta l’attività conclude il lavoro, una cronologia delle mostre accompagnata ogni volta da un estratto o dei testi pubblicati nei pieghevoli e nei cataloghi delle singole iniziative, o delle recensioni apparse sulla stampa.
Alla figura di Plinio è dedicato il primo capitolo: “Plinio De Martiis. L’uomo il fotografo il gallerista”, che traccia la sua versatilità intellettuale e i suoi interessi alla base della successiva carriera come gallerista. L’apertura del “Teatro dell’Arlecchino”, le frequentazioni con gli artisti e gli scrittori, il passaggio alla fotografia, che lo porterà a lavorare come fotoreporter per “L’Unità” e “Il Mondo”, precedono la nascita della prima galleria in Via del Babuino, avvenuta, come scrive l’autrice, su suggerimento degli amici pittori Mario Mafai, Achille Perilli e Francesco Menzio, che lo convincono “‘a fare come Nadar’, cioè a dedicarsi alla fotografia e al contempo all’allestimento di mostre d’arte”.
Ilaria Bernardi focalizza la sua ricerca sugli anni centrali de La Tartaruga, che vanno dalla sua apertura nel 1954 in Via del Babuino (dove resterà fino al 1962) al 1968, data di chiusura della galleria, che dal 1963 si era trasferita in Piazza del Popolo. Attraverso la storia della galleria si attraversa la storia dell’arte italiana: il passaggio di testimone da una generazione all’altra, l’emergere di una nuova concezione dell’opera d’arte, il rapporto con l’arte francese e  americana e al contempo la consapevolezza di una “condizione autenticamente italiana”, come scriverà Maurizio Calvesi nel 1967.
Se i primi anni di vita della galleria romana, raccontati nel secondo capitolo, sono caratterizzati dall’attenzione alle ricerche di artisti italiani tra i quali Mafai, Pirandello, Dorazio, Turcato, Monachesi, Cagli, Corpora, Burri,  ma anche agli artisti americani come Kline (prima personale in Europa), Twombly, Scarpitta, il rapporto con Leo Castelli porterà nel 1959 all’esposizione delle opere di Rauschenberg.
L’autrice mette il punto anche sull’importante attività editoriale svolta da De Martiis che fin dalle origini aveva concepito un Cartello-Locandina delle singole mostre, a cui fanno seguito la brochure, la pubblicazione periodica del “Bollettino della galleria”, il numero unico di “Artecronaca”: una “rivista-documento” volta a raccontare quanto accaduto nei due mesi precedenti nelle gallerie romane ma attenta anche agli eventi internazionali.  Realizza poi  dal 1960 un nuovo tipo di pieghevole, un poster di grande formato che funge sia da locandina sia, se piegato, da invito, senza alcun testo critico; scelta questa, come sottolinea l’autrice, che sembra anticipare il successivo dibattito relativo al ruolo dell’interpretazione critica nell’arte contemporanea.
Alla storia relativa alla formazione di quella che sarà definita la “Scuola di piazza del Popolo”, ai contatti con l’ambiente milanese, con il teatro d’avanguardia e al rapporto dialettico e in alcuni casi conflittuale con Leo Castelli e Ileana Sonnabend, si intreccia il racconto di quanto avverrà nella nuova sede in Piazza del Popolo in un susseguirsi di iniziative nazionali e internazionali, da cui emerge, ma questa è storia, il passaggio per la Tartaruga dell’avanguardia italiana e non solo:  Angeli, Festa, Schifano, Fioroni, Kounellis, Castellani, Manzoni, Pascali (prima personale del 1965), Lombardo, Mambor e Tacchi, Mattiacci (con il suo tubo snodabile) solo per citare alcuni nomi.
Nel fatidico 1968 Plinio produrrà infine uno degli eventi più significativi del decennio: il “Teatro delle mostre”: “una mostra ogni giorno dalle 16 alle 20”, documentata da un catalogo il cui apparato fotografico era stato scattato da Plinio stesso e dove, come segnala Bernardi, il gallerista: “compie soprattutto un’operazione di personale traduzione estetica dell’evento manipolando quelle immagini attraverso tagli, viraggi di colore, sfocature, particolari angolature, controluce e un frequente ricorso all’effetto mosso”.
All’attenzione per lo sconfinamento dell’arte nell’azione, si accompagna in De Martiis un costante interesse per la sperimentazione cinematografica, come testimonia, tra l’altro, la proiezione, nel 1965, di alcune pellicole del regista e performer Taylor Mead.
Alla sperimentazione cinematografica operata dagli artisti è dedicato il libro di Elisa Francesconi Franco Angeli e Tano Festa. Pittori con la macchina da presa che riserva una parte del terzo capitolo a La Tartaruga: “Il contesto culturale romano. Significative occasioni alla Galleria La Tartaruga (1965-1968)”.
Il volume, che fornisce moltissime informazioni e che è corredato da un importante apparato iconografico, attraverso le biografie dei due artisti, con un’attenzione particolare ai loro soggiorni americani, quanto alle frequentazioni che saranno fondamentali per la loro riflessione sui nuovi media (come quella con il regista Mario Carbone), propone per la prima volta un approfondito studio sulla sperimentazione cinematografica da loro messa in campo e al contempo mette in luce il loro interesse per le questioni percettive connesse al cinema e alla fotografia, già presente nelle opere del primo periodo.
Dall’analisi di Doppio Autoritratto-Collage realizzato da Tano Festa e Franco Angeli nel 1967-1968, definito dall’autrice “un’opera manifesto”: “un’opera composta da un montaggio di ritagli fotografici in cui entrambi erano ritratti con la macchina da presa” e che compare come stampa nel film girato da Franco Angeli nel 1968 Senza titolo (girato al contrario), si evidenziano i rapporti con il coevo universo pubblicitario, con l’ambiente urbano e con le immagini pubblicate su rotocalchi e quotidiani, utilizzate ad esempio in abbondanza nel film di Angeli sopra citato.
Le sperimentazioni filmiche di Angeli e Festa si interconnettono con quelle dei numerosi artisti che, nello stesso periodo, si avvicinano al cinema. Purtroppo di molti materiali, andati perduti, rimangono solo alcune descrizioni. E’ il caso dei film di Tano Festa, è il caso dello spettacolo multimediale di Schifano Grande angolo, Sogni e Stelle tenutosi a Roma al Piper Club nel 1967, di cui restano le foto scattate da Patrizia Ruspoli e, tra gli scritti, questa bella nota di Moravia: “(...) sulla parete di fondo (...) venivano proiettati un film di Schifano basato sulla scomposizione, iterazione e moltiplicazione ossessive della stessa figura, nonché scene della guerra in Vietnam, brani di vecchi western e sequenze di documentari e altri materiali di repertorio”.
Così vengono messi in evidenza i nessi tra le arti nella Roma degli anni Sessanta: una città aggiornata, dove è vivificante la presenza del Living Theatre, quanto quella di Gerard Malanga che partecipa allo spettacolo di Schifano al Piper, dove sono numerosi gli artisti che declinano, differentemente, l’approdo alla pellicola, da Gianfranco Baruchello (con Alberto Grifi, Verifica incerta, 1964-65) a Luca Patella (SKMP2, 1968).
Tuttavia nel comune clima di sperimentazione dei linguaggi, per Franco Angeli e Tano Festa l’incontro con il cinema non è stato occasionale ma coesistente e coerente con la loro produzione pittorica. Tra i numerosi film da loro girati, alcuni furono  proiettati nel 1968 in occasione della “Prima rassegna del cinema indipendente italiano” al Filmstudio e in altre sedi: Souvenir di Roma (Franco Angeli) Write a love letter, E tu che ne sai dell’America? (Tano Festa); Fotografare è facile (Tano Festa), Roma (Angeli), Io amo De Chirico (Tano Festa), Opprimente (Franco Angeli) W il primo maggio (Franco Angeli).
L’autrice segnala inoltre l’affermarsi, in quel frangente storico, della volontà di “raccontare per immagini la professione dell’artista”, come aveva fatto nel 1966 Gregory Markopoulos nel film Galaxie (che Festa avrebbe potuto vedere a New York), dove l’autore aveva incluso una galleria di ritratti di artisti tra sovrimpressioni e dissolvenze.
Nella ricostruzione dei rapporti tra cinema indipendente americano, che in quegli anni circolava in Italia, e cinema indipendente italiano, Francesconi segnala come il ritratto filmico “appare transitare con caratteristiche peculiari nei film sperimentali e d’artista italiani”.
Un ritratto filmico è il film di Franco Angeli Enrico Castellani  (1966-1967), come lo  era “Pittura ‘68” Enrico Castellani: lo spirito della contemplazione/Giulio Paolini:il tempo ritrovato, girato da Tano Festa nel 1968 e oggi perduto. Nel ritratto filmico di Castellani Angeli non rinuncia a inserire brani urbani e come scrive Francesconi: “Franco Angeli frequentemente avvicenda i notturni milanesi e le opere dell’artista fino a proporre una sovrapposizione di immagini in cui le luci metropolitane in movimento appaiono attraversare l’opera e coincidere con le puntature dei chiodi del quadro, mossa da Castellani che lo pone frontalmente all’obiettivo”.
Per concludere, i due libri, le cui vicende fanno parte di una stessa trama, documentano con accuratezza quel momento di gloria dell’arte italiana.
Luglio 2018