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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Studio Franco Cannilla- Via Masolino da Panicale 11, Roma

Lucilla Meloni

A Roma, in Via Masolino da Panicale, a due passi dal MAXXI, in quello che fu il suo studio, è stata presentata una preziosa, piccola antologica, del percorso artistico di Franco Cannilla, corredata da documenti d’archivio  e da cataloghi di mostre personali e collettive, che ne testimoniano, inoltre, la fortuna critica.

Presente a diverse edizioni della Biennale di Venezia (XXV, XXVII), e con una sala personale alla XXXIII Biennale del 1966, l’artista partecipa ad alcune edizioni della Quadriennale Nazionale di Roma, e inoltre, a mostre nazionali e internazionali della Nuova Tendenza. Nel 1964 Cannilla espone, insieme ai gruppi dell’arte cinetica e programmata, alla mostra “Strutture di Visione” (XV Premio Avezzano).E’ stato invitato inoltre a due grandi rassegne- censimento della scultura italiana del dopoguerra: Arte italiana contemporanea (1954, a cura di Nello Ponente) e  Scultura Italiana del XX secolo (1957, prodotta da Editalia e curata da Giovanni Carandente)-.

Sue opere sono in diverse collezioni pubbliche, tra cui quelle della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.

La mostra dà conto attraverso alcune opere dell’intero percorso di Cannilla: un artista che, attivo fin dagli anni Quaranta del Novecento, si è confrontato in maniera originale con la cultura visiva  a lui coeva, interrogandosi, al di là dei materiali della scultura, sul senso della forma inserita nello spazio.

Il divenire della sua ricerca partecipa, in modo sempre originale, della storia dell’arte italiana e condivide con la generazione che inizia a lavorare durante la seconda guerra mondiale la presa di coscienza di un mondo (sociale, politico, culturale e visivo) in  profonda trasformazione.

Il mutare delle sue forme scultoree, che si riverbera nella pittura, nei disegni, nelle ceramiche, quanto nella creazione dei suoi gioielli, istituisce un confronto serrato con i nuovi materiali, che l’artista sperimenterà nei lavori degli anni Cinquanta-Sessanta.

Di fatto, rimasto fedele al problema orginario da cui aveva preso le mosse negli anni Quaranta,  e cioè il tentativo di integrare nella scultura a tutto tondo lo spazio circostante, Cannilla, inventore di sempre nuove soluzioni formali, arriverà alla concezione della scultura come “segno spaziale”, secondo la fortunata definizione che ne diede Giorgio Tempesti, il quale notò inoltre come  in quelle opere si rintracciasse l’“obbedienza a una logica formale immanente alla materia impiegata”.

Così al gesso, alla pietra, al bronzo, che avevano dato vita a forme scultoree di matrice mariniana sviluppate poi in termini di geometrismo arcaista, che avevano tenuto conto anche dell’esperienza di Arturo Martini, si sostiuiscono profilati in ferro, profilati in ottone, laminati in alluminio, tubolari in alluminio, acciaio inox e plexiglass.

Alle forme piene e volumetriche succedono volumi tubolari e fasce, all’espressionismo la ricercata oggettività della forma, ai titoli con valore referenziale, il termine “struttura” seguito dal numero.

Questo processo Cannilla lo aveva già anticipato con le sculture a fasce più lineari realizzate dal 1958 in metallo laminato, ed anche in plexiglass: una assoluta novità per l'epoca, che erano state promosse dal gallerista Carlo Cardazzo e da lui esposte alla galleria Selecta di Roma e al Cavallino di Venezia, nonché, successivamente, al Padiglione del Libro nella Biennale veneziana del 1962.

Per divenire spazio e restare al tempo stesso solidamente figura, la soluzione dello scultore Cannilla, che alla scultura non volle rinunciare, fu quella di pensare la forma come struttura: struttura di visione.

Così, tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta le fasce progressivamente si geometrizzano e distendono in tracciati regolari, divenendo essenzialmente, come  scrissero Giorgio Tempesti e Giulio Carlo Argan “selettori di luce e misuratori di spazio”: strutture che non rimandano ad altro all’infuori di se stesse.

Allo stesso modo, le sculture “totemiche” presentate da Giuseppe Gatt alla Biennale di Venezia del 1966, si collocano a metà strada, come notò Tempesti, tra l’integrazione estetica di un processo e la ricerca estetica di una forma, propria dell’arte e della tecnologia industriale.