www.unclosed.eu

arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

La grande retrospettiva di Luciano Fabro al Reina Sofia

Lucilla Meloni

 

Il Museo Nacional Centro De Arte Reina Sofia dedica una grande retrospettiva a Luciano Fabro, fra i maggiori artisti italiani del Novecento.

La mostra, ospitata nel bel Palacio de Velàzquez a Madrid, curata da João Fernandes con la collaborazione di Silvia Fabro, direttrice dell’Archivio Luciano e Carla Fabro, presenta 60 opere realizzate dall’artista nel corso della sua carriera.

Sopra il portale d’entrata l’ Italia porta accoglie lo spettatore, mentre l’allestimento interno, impeccabile, ridisegna gli spazi luminosi e aperti della sede espositiva e riesce a colpire fin da subito l’occhio dell’osservatore, che può abbracciare l’eccezionale visione di una serie di lavori che creano altrettanti mondi in dialogo.

Lavori barocchi, geometrici, minimalisti, tautologici e ambientali, diversi per cronologia, forma e materiale, danno conto della ricchezza inventiva dell’artista e della ampiezza della sua ricerca, che ha perennemente dialogato con la storia dell’arte e con i miti, attraversando con una totale libertà espressiva forme, volumi e materiali. Metalli, vetro, cristallo di Murano, marmo, bronzo, tessuto, carta, spago: materie povere o nobili, a volte magnificate, come il marmo nei suoi molteplici aspetti cromatici, come le differenti qualità della seta dei “calzoni” che vestono i Piedi.

La difficoltà di inquadrare l’opera dell’artista all’interno di confini formali definiti, come scrive Margit Rowell nel testo in catalogo, fa sì che questa sia stata interpretata, a seconda del momento storico, come minimalista, dadaista, narrativa, barocca, classicista, postmoderna.

Filo conduttore è invero il concetto di “identità”, che l’artista rivendica come centrale. Un’identità italiana che affonda nella storia dell’arte, giacché secondo Fabro, come riporta Margit Rowell nel suo scritto: “la tradizione italiana, la storia dell’Italia, è una storia dell’arte”. Da qui quel riflettere sulla tradizione artistica e architettonica del nostro paese (lo stesso concetto dell’Habitat nasce concettualmente dalle piazze italiane), da qui quella distanza, di presupposti e di intenti, dalla coeva arte americana, da qui il recupero dell’iconografia e della metafora già alla fine degli anni Sessanta.

La mostra è costellata dalle opere più rappresentative: dalle prime degli anni Sessanta, che indagano il rapporto che lega l’opera allo spazio (Ruota, Asta, Croce), e la percezione dell’osservatore (Impronta, Mezzo Specchiato e Mezzo Trasparente e Tutto Trasparente), alle Italie che nascono nel 1968 e proseguono negli anni, a cui è dedicata una sala dove spicca, tra le altre, l’Italia d’oro del 1971. Qui vengono reintrodotte tanto l’iconografia, quanto la metafora, come testimoniano i titoli: Italia del dolore, (Italia)Latin Lover, Italia Feticcio, Italia Balla (che è un omaggio a Giacomo Balla), Italia cucina italiana, Italia segreta, Italia Fascista, Italia di pelo, (Italia) De Italia.

Alle Tautologie (Tre modi di mettere lelenzuola), ai Piedi, riuniti in una spettacolare infilata di dieci, all’Attaccapanni di Napoli (1976-1977), uno dei lavori, insieme ai Piedi, più “barocchi”, che include pittura scultura e architettura (i cui rilievi bronzei di tipo vegetale sono stati ispirati dall’Apollo e Dafne di Bernini), segue la reinterpretazione del progetto palladiano della facciata della Chiesa del Redentore a Venezia: Ogni ordine è contemporaneo di ogni altro ordine. Quattro modi di interpretare la facciata del SS. Redentore a Venezia. Alle opere ambientali (Penelope e Habitat del 1981), a quelle più recenti quali Computer, si accompagna Sisifo, l’autoritratto dell’artista,fino ad arrivare a Lo Spirato (1972). Presentato in occasione di Contemporanea (Roma, 1973) e a causa della sua fragilità successivamente solo al PAC di Milano, per la prima volta viene esposto fuori Italia. Posizionata a terra la scultura in marmo appare, nella sua auraticità, quasi isolata dal resto: Fabro si era confrontato con un tema centrale della storia dell’arte, e aveva guardato al settecentesco Cristo velato di Giuseppe Sammartino, conservato nella Cappella SanSevero a Napoli.

Fabro, che ha sempre accompagnato le sue opere con il Vademecum, testi descrittivi che consentono al lettore di avvicinarsi più approfonditamente alle fasi della loro genesi, offrendogli una chiave di lettura, in un colloquio con Achille Bonito Oliva, in cui riaffermava il valore conoscitivo dell’opera d’arte, a proposito de Lo Spirato, afferma: “il lenzuolo che sta sopra al corpo rimanda al corpo ma nello stesso tempo la sola cosa leggibile è il lenzuolo, per cui si crea una dicotomia tra una lettura puramente visiva – e non a caso faccio appunto questa precisazione proprio in un’epoca in cui sembra che la sola cultura possibile, comunque la sola cultura in auge e difendibile sia la cultura visiva – e una lettura conoscitiva. Una lettura visiva dà appunto il lenzuolo, una lettura conoscitiva dà: ‘che cosa nasconde il lenzuolo?’”1.

Se l’artista, come Sisifo, in un tentativo disperato, non smette di risalire con il suo masso il pendio della montagna, Prometeo, al centro dello spazio espositivo, realizzata nel 1986 dopo il disastro nucleare di Chernobil, che come ha dichiarato l’artista, ha significato la fine dell’umanesimo, testimonia la riflessione sull’aspetto etico e conoscitivo dell’arte e forse anche salvifico.

Un’arte, quella di Fabro, che accoglie in sé e restituisce la complessità del mondo, dove il linguaggio, al pari dello spazio, del volume, delle forme e delle materie, diventa nei titoli anch’esso immagine: se il titolo completo de Lo Spirato era Io rappresento l’ingombro dell’oggetto nella vanità dell’ideologia. Dal pieno al vuotosenza soluzione di continuità, una bellissima opera del 1995, fatta di acero, lino, carta fotografica e corda, che si distende nello spazio che la accoglie, si intitola E’ la vita, è la storia, è la morale.

 

1 A. Bonito Oliva, Dialoghi d’Artista, Electa, Milano 1984, p. 100