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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

A NY l’ultima tendenza dell'edilizia popolare ricalca soluzioni costruttive razionaliste

Daniela De Dominicis

Si sono da poco conclusi i lavori per l’attesissimo complesso di MY Micro NY, l’insieme di mini appartamenti costruiti a Carmel Place a Manhattan, sulla 27esima strada.

Il progetto risale a tre anni fa con il concorso bandito dal sindaco Bloomberg sulla tipologia abitativa ottimale per la città contemporanea. Le considerazioni da cui si è partiti sono due.

La prima è data dalla constatazione del veloce cambiamento degli stili di vita. Le grandi case sembrano diventate inutili, i nuclei familiari che vivono intensamente l’interno domestico appaiono ormai un residuo del passato. La nostra esistenza viene condotta per lo più fuori casa, fatta com’è di impegni molteplici, di dinamiche relazionali che si concretizzano in rituali finalizzati a procrastinare il rientro (aperitivi, spettacoli, palestre) o di relazioni puramente virtuali per intrattenere le quali è sufficiente lo schermo di un computer.

La seconda è che 1 milione e 800 mila nuclei familiari a NY sono costituiti di una o due persone e l’offerta di piccoli appartamenti scarseggia. Da qui la necessità di promuovere la costruzione di unità immobiliari adeguate a questa specifica richiesta.

Dal concorso sono emersi cinque progetti ai quali è stata dedicata la mostra Making Room: New Models for Housing New Yorkers ospitata dal Museum of the City of New York nel 2013. Vincitrice della competizione è stata la proposta avanzata da nARCHITECTS.

Analizziamo in dettaglio. Si tratta di cinquantacinque micro appartamenti, di dimensioni oscillanti tra i 23 e i 34 mq – in deroga alle normative comunali vigenti che prevedono per le abitazioni una metratura minima di 37 mq – organizzati in quattro torri affiancate di dieci piani ciascuna. Le innovazioni, sottolineate con molta enfasi dalla stampa durante i lavori, sono date dal concept dell’immobile – piccoli spazi individuali compensati da grandi aree comuni – e dalla tecnica costruttiva basata su unità abitative modulari prefabbricate.

Sorprende notare che in nessuna delle numerose recensioni consultate – sia statunitensi che europee – si faccia riferimento ai precedenti storici di queste soluzioni scaturite per la prima volta nell’ambito delle riflessioni razionaliste europee successive alla prima guerra mondiale.

Il dibattito sullo spazio minimo degli immobili popolari risale infatti agli anni ’20 quando gli architetti contribuiscono a dare una risposta fattiva alla richiesta urgente di abitazioni economiche. È nell’ambito dei congressi del CIAM, quello di Francoforte in particolare (1929), che si ragiona proprio sull’Existenz minimum, come si chiamava allora. Gli architetti razionalisti si orientano su interni che partono da 25 mq e si ampliano in funzione del diverso nucleo familiare, riducendo di molto la metratura delle case borghesi ma al contempo migliorando sensibilmente quella degli alloggi operai dei casermoni ottocenteschi. Negli stessi anni Gropius vede nella casa alta 10 piani (lo stesso numero di piani dell’immobile newyorkese) il modello ottimale per l’edilizia popolare, con i maggiori costi realizzativi compensati dalla più alta densità abitativa e dal risparmio sui servizi pubblici (cfr. il modello per il quartier sperimentale di Spandau-Haselhorst del 1929). Per questo tipo di casa Gropius – forse memore di quanto fantasticato da Charles Fourier per il suo Falansterio nel primo ottocento – ipotizza inoltre zone comuni (i lavatoi, la mensa, ...) a compensare la ristrettezza delle unità immobiliari e, visto il consistente numero dei piani, un ascensore. Sarà proprio quest’ultimo a impedire la realizzazione del suo progetto: l’ascensore viene ritenuto un lusso incompatibile con gli alloggi popolari che pertanto continuano ad essere di quattro piani al massimo. Bisognerà aspettare cinque anni per assistere alla costruzione di un immobile sociale con ascensore: il Bergpolder a Rotterdam di J.A. Brinkamn, L. C. Van der Vlugt e W.Van Tijen del 1934.

Per ciò che concerne la tecnica costruttiva di alloggi prefabbricati e posti in opera con una gru, come non ricordare il precedente dell’Unité d’Habitation di Marsiglia inaugurato da Le Corbusier nel 1952 che fa di questo, nonchè degli spazi collettivi, il fiore all’occhiello della sua proposta.

Ma in questo immobile newyorkese tutto viene pubblicizzato come inedito. Le singole abitazioni a struttura metallica, realizzate fuori opera dai cantieri della Brooklyn Navy Yard come dei container, impilati e raccordati tra loro direttamente in situ, hanno permesso – come 60 anni fa a Marsiglia – di abbattere i costi di realizzazione. Nicholas Lembo presidente Monadnock Development LLC che li ha sostenuti, ha dichiarato un costo di edificazione pari a 15 milioni di dollari.

Unità abitative di dimensioni così contenute implicano ovviamente una ottimizzazione degli arredi, affidati alla progettazione dei designer della Stage 3 Properties. Ogni appartamento è costituito di unico ambiente, illuminato da una parete finestrata parzialmente apribile, il cosiddetto Juliet balcony che non è un balcone nè lo sembra, anche se in diversi articoli viene presentato come tale. La proposta di arredo prevede tavoli e letti a scomparsa, mobili versatili, scorrevoli e polifunzionali. L’angolo cottura è una parete attrezzata dove tutto è di dimensioni contenute e funzionalissimo (Margarete Schütte-Lihotzky, la progettista negli anni ’20 della cosiddetta cucina di Francoforte, avrebbe sicuramente approvato). L’intero pacchetto d’arredo, con un ottimo lavoro di marketing, è stato chiamato Ollie, gioco fonetico per all inclusive cui si possono aggiungere altri servizi (WiFi, aiuto domestico, rifornimento frigo etc) cui è stato dato il nome di Hello Alfred, come fosse un vero e proprio maggiordomo personale. Per quanto riguarda gli spazi comuni, qui chiamati a bilanciare come nei complessi di Gropius e Le Corbusier le limitate aree individuali, troviamo: palestra, ricovero per biciclette, terrazzo di copertura praticabile con veranda, barbecue e tavolo per venti persone, lavanderia, sale per eventi, relax e soggiorno nonché un piccolo giardino (Ronda Kaysen “The New York Time”, 20 nov 2015).

Quattordici di questi appartamenti sono stati offerti a canone d’affitto agevolato: da 914 a 1873 dollari al mese in funzione della metratura, che per questa città è meno della metà di quello corrente. Il resto delle unità è disponibile a costo di mercato. Per i primi – che implicano un reddito contenuto entro una certa soglia – si sono registrate 60 mila richieste e l’assegnazione è avvenuta con un’estrazione pubblica.

Il target è costituito da studenti, single, artisti,… e rivela l’intenzione di mantenere abitato il centro della città con livelli sociali misti, poichè i prezzi stratosferici raggiunti dalla case ha finito per selezionare soltanto fasce sociali particolarmente abbienti.

A New York è un esperimento pilota, destinato a connotare l’orientamento delle future attività costruttive ma, come si è visto, notevoli sono le corrispondenze tra My Micro NY e le teorie della scuola razionalista europea trasferitasi peraltro massicciamente oltre oceano durante il dilagare del nazismo. Dobbiamo ipotizzare dunque il riaffiorare di questa corrente architettonica che evidentemente ha lasciato negli Stati Uniti radici maggiori di quanto si possa immaginare e che, come una corrente carsica, riemerge imprevedibilmente nonostante la fragilità della memoria contemporanea.

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http://narchitects.com/