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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Appunti sul mercato dell’arte contemporanea in epoca pandemica

Beatrice Luzi
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Tirare le somme del difficile anno che ci siamo lasciati alle spalle (la cui longa manus si farà sentire ancora a lungo) è in parte prematuro, soprattutto in un settore fluido e segmentato come il mercato dell’arte. Il 2020 ha senza dubbio stroncato le previsioni ottimistiche che si nutrivano per l’inizio del nuovo decennio, nella speranza che rientrassero i principali fattori di incertezza come le tensioni commerciali tra Cina e Stati Uniti, la Brexit, le dimostrazioni di Hong Kong e la progressiva diffusione dell’epidemia da covid-19. D’altro canto, i mesi appena trascorsi hanno anche rafforzato e proiettato nel futuro alcune tendenze già parzialmente in corso e dato origine a ulteriori aspettative. A questo proposito, può rivelarsi utile tornare per un momento dove eravamo rimasti prima della crisi sanitaria poiché, al di là degli stravolgimenti macroscopici dovuti alla pandemia, gran parte di quanto abbiamo potuto constatare nel 2020 è frutto di almeno un ventennio di importanti trasformazioni nel mercato dell’arte e conferma, in gran parte, quanto già accadeva da tempo.
Il primo dato fra tutti è il peso crescente assunto dal settore Contemporary Art che, passando da 5.400 a 32.000 artisti e da 39 a 64 paesi attivi nelle vendite all’asta, rappresenta oggi il 15% del fatturato globale delle aste ed è il segmento più redditizio e dinamico. Evidentemente, l’arte contemporanea ha saputo conquistare la fiducia dei collezionisti, che non prediligono più necessariamente le opere di artisti scomparsi ma si lasciano incuriosire anche dalle proposte dei viventi.
Altro fattore da considerare è la rapida espansione del mercato dell’arte cinese. Nel 2020, Hong Kong ha superato Londra per la prima volta, diventando la seconda piazza per le aste dopo New York (1). Grazie a una crescita economica frenetica, a una politica di libero scambio e allo sviluppo delle tecnologie digitali, il mercato cinese rappresenta anche l’India e il Sud-Est asiatico, dove si concentrano molti dei nuovi collezionisti (2). Christie’s, Sotheby’s, Phillips e Bonhams, le maggiori case d’asta a livello mondiale, hanno così esteso le loro attività dall’Asia al Medio Oriente, sancendo la creazione di un mercato globale dell’arte con cifre da capogiro e pochissimi artisti prediletti. Nel 2019, i settori Post-War e Contemporary Art hanno prodotto il 53% del fatturato complessivo, raggiungendo i 6,1 miliardi di dollari, con il 23% di opere realizzate negli ultimi vent’anni. Le piazze statunitense, britannica e cinese hanno dunque dominato il mercato (82%) pur con un ribasso complessivo del 2% rispetto all’anno precedente, mentre il mercato francese ha invertito questa tendenza, portandosi al 7%. Si tratta, evidentemente, dell’effetto di un lento e progressivo riorientamento del mercato verso Parigi, che fa dubitare della tenuta di Londra quale roccaforte del mercato dell’arte globale a seguito della Brexit. Ad avvalorare questo timore è la decisione da parte di importanti gallerie, quali la David Zwirner e la White Cube, di aprire una nuova sede nella capitale francese (3). Altro trend in crescita tra 2019 e 2020, soprattutto in ambito statunitense, è l’incremento delle private sales che, nel mercato delle aste, garantiscono un alto grado di personalizzazione. Tale modalità, prediletta da musei ed enti pubblici, è adottata principalmente per motivi di riservatezza, per bisogno di liquidità o nel caso di target di vendita molto limitati. Questa tendenza è probabilmente da associare anche ad una crescente attenzione, in occidente come nelle piazze asiatiche, verso opere di qualità museale o per “un ristretto insieme di persone noto alla casa d’aste, la quale può scegliere così di andare a colpo sicuro ed evitare il rischio che l’opera resti invenduta” (4). Il 2020 conferma, inoltre, la crescita dell’interesse nei confronti di artiste donne e di artisti di colore, sempre più ricercati da parte di musei e istituzioni culturali di tutto il mondo (5). Al 2014 risale il primo record al femminile per un’opera di Georgia O’Keeffe, Jimson Weed/White Flower, battuta da Sotheby’s per 44,4 milioni di dollari. Nel 2015, Maura Reilly segnalava come, per quanto assai presenti nel campo della creazione artistica, le donne siano decisamente sottorappresentate nelle gallerie, nelle collezioni museali e nelle mostre temporanee, con l’effetto di una scarsa copertura mediatica e di una minore domanda, tradotta in prezzi d’asta significativamente più bassi rispetto alle controparti maschili (6). Il fenomeno di riscoperta delle artiste donne è stato, poi, fortemente incrementato da una serie di mostre curate negli USA nel 2016 (7). Tuttavia, sebbene negli ultimi anni si siano molto incentivate le acquisizioni gender oriented, il fatturato d’asta di una Cindy Sherman, attualmente al primo posto nella “top 15” delle artiste viventi, corrisponde a circa un settimo di quello di Jeff Koons, con un record di 13 volte superiore. Se non altro, la presenza nel mercato delle artiste nate dopo il 1980 è del 31%, a fronte del 14% di tutte le precedenti generazioni, segno di una progressiva inversione di tendenza che, speriamo, saprà riscoprire e coinvolgere anche le molte artiste dimenticate (8). Contestualmente, anche la fotografia, con 5000 lotti venduti nel 2019, sta appassionando un numero sempre maggiore di musei e collezionisti. Se il medium pittorico copre il 65% del mercato dell’arte contemporanea, la scultura rappresenta il 16% del fatturato grazie alla crescita esponenziale dei prezzi di pochi grandi favoriti (Koons, Kaws, Hirst, Schütte, Murakami e Cattelan, per citarne alcuni). Proprio Kaws (il grafico e street artist americano Brian Donnelly), supportato da uno scaltro Emmanuel Perrotin, ha saputo sfruttare una falsa retorica di “democratizzazione” del mercato, trasformando il proprio nome in un brand a pieno titolo. Memore della lezione di Keith Haring, Kaws ha giocato con l’estetica urban-pop per annullare definitivamente il divario tra gadget e opera d’arte, diversificando la propria produzione su larga scala (dalle cravatte, ai giocattoli, ai cartoni animati), fino a realizzare edizioni virtuali delle proprie opere attraverso le realtà aumentata. Se non altro, l’apprezzatissimo Banksy ha scelto di sfruttare la sua popolarità vendendo oggetti riciclati dal suo laboratorio per finanziare le missioni di salvataggio dei migranti del mediterraneo.
Tra le tendenze più recenti, si segnala, inoltre, il crescente favore per un’ulteriore declinazione del neo-pop commerciale e cartoon-kitsch, definita da Christie’s “Hi-Lite” e particolarmente redditizia nell’online market. Questa formula include artisti provenienti da tutto il mondo (con una prevalenza di autori cinesi, giapponesi e statunitensi) attivi tra gli anni Ottanta e gli anni Duemila.
Il variegato mondo delle fiere d’arte contemporanea conta oltre 300 appuntamenti tra grandi manifestazioni e “fiere satellite”, che coinvolgono decine di migliaia di operatori e ancora più artisti (9). Si stima che l’introito del 2019 abbia raggiunto i 16,6 miliardi. I galleristi hanno riferito che il 15% delle vendite sono avvenute prima della fiera, il 64% nel corso dell’esposizione mentre il 21% a fiera conclusa. La quota delle vendite annuali realizzate in fiera è cresciuta da meno del 30% nel 2010 al 45% nel 2019, con un calo dell’1% rispetto al 2018 (10). Il 2020 ha messo un brusco freno a questo tipo di eventi, con una lunga serie di rinvii al 2021 e alcuni, più o meno riusciti, tentativi di realizzarne la versione online. La prima a lanciarsi è stata Art Basel Hong Kong (alla quale sono idealmente succeduti gli appuntamenti di Basilea e Miami), che ha riscosso vendite milionarie e un’ingente affluenza online. In Italia, lo hanno fatto più organicamente MiArt e Artissima ma molte altre manifestazioni e numerose gallerie hanno proposto diverse tipologie di contenuti digitali, compatibilmente con il proprio assetto tecnologico. Come prevedibile, secondo quanto si deduce dai dati del primo semestre 2020, le gallerie hanno subito un notevole calo delle vendite (dal 46% nel 2019 al 16%), bilanciato soltanto dal risparmio per le spese di partecipazione alle fiere (11). Senza dubbio, come afferma il report semestrale di Deloitte Art & Finance, “il settore delle gallerie ha registrato una crescita nella quota di vendite realizzate su canali online, ma questo è valso principalmente per le grandi gallerie internazionali” (12). Le piccole gallerie, infatti, hanno trovato spazio angusto in un mercato dell’e-commerce già saturo di offerta. In alcuni casi, è stato innescato un concreto circolo virtuoso grazie alla sinergia tra realtà di piccole-medie dimensioni, al fine di sostenere i costi e creare un più solido punto di incontro tra domanda e offerta. In Italia, vale la pena ricordare l’esperimento della Milan Gallery Community, realizzato in partnership con Artsy. Questa piattaforma di esposizione e acquisto di opere d’arte ha radunato 17 gallerie milanesi, raggiungendo circa 1,8 milioni di utenti. Similmente ha fatto David Zwirner, riunendo nel suo alveo digitale alcune gallerie minori di Bruxelles e Parigi. C’è da sperare che il colosso Zwirner intenda preservarne le singole specificità senza imporre la propria forma mentis.
Le abitudini di acquisto stanno lentamente cambiando e, a differenza di molte gallerie, le maggiori case d’asta hanno potuto godere di un mercato digitale già avviato. Anche qui, sono state elaborate formule di successo, adottando soluzioni come le aste miste, con tipologie di lotti diversificate, e le aste ibride, con il coinvolgimento di diverse sedi all’interno della medesima sessione. Sebbene, per il primo semestre 2020, il prezzo medio proposto nelle aste virtuali fosse inferiore a 13.000 dollari, nel mese di giugno Sotheby’s aggiudicava il Trittico ispirato all’Orestea di Eschilo di Francis Bacon per 84,5 milioni di dollari, traghettando il mercato dell’arte nell’era delle vendite virtuali di prestigio. Se, fino al 2019, il mondo dell’arte si mostrava riluttante nei confronti del digitale, l’allontanamento sociale ha imposto una nuova forma di “impegno” online che sta velocemente trasformando il modo in cui il mercato di settore e i suoi stakeholder si rapportano ad esso (13). Secondo il report Art Basel & UBS, la maggior parte dei collezionisti intervistati sono rimasti attivi nonostante il lockdown, acquistando, in media, almeno un’opera d’arte durante i primi sei mesi dell’anno.
Interessante notare come, se da una parte le sale di visualizzazione online delle fiere hanno coinvolto poco più di un terzo dei collezionisti, ben il 32% ha acquistato direttamente attraverso Instagram (14). Così, se per molti acquirenti è ancora essenziale il contatto fisico con le opere, è probabile che per i nativi digitali questo aspetto diventi meno rilevante. In effetti, è emerso con decisione il crescente interesse collezionistico da parte dei millennials, molti dei quali sono giunti ai loro primi acquisti d’arte attraverso le piattaforme online, senza aver mai frequentato fiere o gallerie (15). Il collezionismo “giovane” si mostra vivace anche nel considerare con interesse forme di investimento alternative come la proprietà frazionata di opere d’arte, un metodo ancora poco diffuso. Sebbene si tratti di un dato senz’altro positivo, ci si domanda quanta consapevolezza possa derivare dalla mancata fruizione in presenza del bene e quanto, piuttosto, ci si lasci attrarre “sulla fiducia” da un determinato brand autoriale.
Il forte contrasto tra luci e ombre che contraddistingue il mercato dell’arte spiega il meccanismo di attrazione e repulsione che è capace di generare. Scarsa trasparenza, mancanza di standard per la determinazione dei prezzi, legislazioni non armonizzate a livello internazionale (16) sono tra le caratteristiche più macroscopiche di questo segmento del mercato globale da 67,4 miliardi di dollari (17). Basti pensare che, per quanto rigorosi, i numerosi report dedicati soffrono della mancanza di informazioni attendibili sui dati delle private sales (inclusa la controversa pratica delle guarantees) (18), delle vendite presso le gallerie d’arte e, naturalmente, degli scambi tra privati (19). Tale fluidità, assai poco monitorata, non permette di comprendere l’apprezzamento reale del valore artistico nel mercato. Quel che è certo è che il business di fascia alta non solo non è stato intaccato dalla pandemia ma continua a perpetuare i consueti meccanismi perversi. E non ci si riferisce soltanto all’eventuale creazione di bolle speculative che fagocitano opere sempre più recenti (meno di 5 anni dalla loro creazione) danneggiando le carriere di giovani artisti. Il fatto sconcertante è che la salute economica del mercato dell’arte contemporanea dipenda dallo 0,3% degli artisti che rappresenta. Infatti, come rileva l’ultimo report Artprice: “oltre 30.000 artisti vendono pubblicamente ma il mercato si posiziona essenzialmente tra i primi 100. […] In vent’anni Basquiat, Koons, Hirst e Wool hanno generato 4,4 miliardi di dollari, ovvero quasi il 20% del fatturato globale del mercato dell’arte contemporanea” (20). Ironia della sorte, a fruttare il 12% della ricchezza di questo segmento del mercato sono un artista di colore proveniente dal Bronx e scomparso nell’88, Basquiat, e un ex broker finanziario, Jeff Koons, l’artista vivente più costoso al mondo.
In generale, le cifre folli che vengono implicate sono dovute, principalmente, alla tenacia di alcuni acquirenti motivati, dai più tradizionali a nuovi soggetti provenienti dai mercati emergenti, come la Cina o i paesi del Golfo, che dispongono di patrimoni tali da far lievitare i prezzi esponenzialmente (21). Collezionismo? Manifestazione del proprio status socio economico? Delirio di onnipotenza?
Comprensibilmente, si fa un gran parlare di innovazione, digitalizzazione, sostenibilità e “cambio di paradigma”, perché il 2020 ci lascia con una lunga serie di questioni aperte e di trasformazioni in atto. Poche le certezze e molte le ricette per rassicurare gli attori del sistema dell’arte. Ma finché la logica del profitto la farà da padrona sarà molto difficile occuparsi programmaticamente di tutte le figure attive nel settore, non solo allargando il bacino d’utenza ma istituendo maggiori garanzie e favorendo un reale coinvolgimento di chi lavora nel mondo dell’arte e della cultura, a tutti i livelli.
20 gennaio 2021
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 1) M.A. Marchesoni, Anno a due velocità per Christie’s, Sotheby’s e Phillips in “Il Sole 24 ore Arteconomy”, 29/10/2020, https://www.ilsole24ore.com/art/anno-due-velocita-christie-s-sotheby-s-phillips-ADiGSZAB.
2) Cfr Artprice Report. 20 Years of Contemporary Art Auction History 2000-2020, 2020.
3) Cfr Art & Finance Report Deloitte. Il mercato dell’arte e dei beni da collezione 2019, 2020.
4) T. Scarale, Case d’asta, i segreti delle vendite private in “We Wealth”, 20/5/2019, https://www.we-wealth.com/it/news/pleasure-assets/opere-darte/case-asta-vendite-private/.
5) Ne è un esempio il caso dell'Everson Museum di New York, che ha messo all'asta da Christie’s il dipinto di Pollock Red Composition (1946), “stimato tra $12 e $18 milioni, i cui ricavi serviranno a finanziare acquisizioni di opere di artiste donne, di colore e di altre categorie poco rappresentate nelle collezioni”, Art & Finance Report Deloitte. Lo stato dell’Arte. Una fotografia del settore Art & Finance ai tempi del covid-19, 2020. p. 12.
6) M. Reilly, Taking the Measure of Sexism: Facts, Figures, and Fixes in “ArtNews”, Special Issue: Women in the Art World, Giugno 2015.
7) G. Cinquegrana, I fenomeni più importanti del mercato dell’arte negli ultimi 10 anni in “Forbes”, 3/1/2020, https://forbes.it/2020/01/03/mercato-dell-arte-i-fenomeni-piu-importanti-degli-ultimi-10-anni/.
8) Cfr Artprice Report, cit.
9) A. Concas, “Professione Arte”, Mondadori, Milano 2020, p. 106.
10) Le principali fiere italiane hanno registrato performance positive, dimostrando il forte interesse dei collezionisti internazionali nei confronti dell’arte italiana: l’“Arte Fiera” di Bologna, con 50.000 visitatori, è in crescita; “MiArt”, a Milano, ha ottenuto un vasto apprezzamento con ospiti da 63 paesi e si è consolidato il successo degli eventi collaterali della Milano Art Week; “Artissima” ha registrato infine 55.000 visitatori. Cfr Art & Finance Report Deloitte 2019, cit.
11) R. Hamri, Risultati principali. L’impatto del Covid 19 sul settore delle gallerie in “Convelio”, 16/9/2020,
12) Art & Finance Report Deloitte 2020, cit., p. 18.
13) Cfr Hiscox online Art Trade Report, 2020.
14) Cfr The Art Basel & UBS Report, The art Market 2020, 2020.
15) Cfr Art & Finance Report Deloitte 2019, cit.
16) Ibidem
17) N. Maggi, Report: il mercato globale dell’arte vale 67,4 miliardi di dollari in “Collezione da Tiffany”, 16/3/2020,
18) Le incertezze del periodo e la scarsa disponibilità dei collezionisti a inserire sul mercato opere che potrebbero raggiungere prezzi più elevati in un secondo momento, hanno spinto le case d’asta a tornare a usare le garanzie, “che nelle aste serali ibride di giugno e luglio hanno coperto quasi la metà dei lotti in vendita, per un totale di stima minima pari a $ 413,7 Mln e un risultato finale di $482,7 Mln (prezzo di martello). Di queste il 71,8% erano di parte terza, confermando come le garanzie possano attrarre soprattutto investitori interessati alla speculazione sulle opere d’arte e con un approccio di rischio puro.”, Art & Finance Report Deloitte 2020, cit, p. 11.
19) A. Concas, “Professione Arte”, cit., p. 148.
20) Artprice Report, cit., pp. 14-15.
21) Cfr G. Adam, Dark Side of the Boom (2017), Johan & Levi Editore, Monza 2019.