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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Dalla terra al cielo nel video di Shaghayegh Sharafi*

Patrizia Mania

In un gioco di dissolvenze che ci fa scorgere un inaspettato visibile nell'invisibile, un’inquadratura ravvicinata mostra un gregge di pecore che avanza.  Territori di Shaghayegh Sharafi prende le mosse da qui. Ogni pecora nella massa del gregge, procedendo verso di noi con passi a tratti convulsi, ci appare a suo modo disorientata. Ed è nella scomposta maniera del loro muoversi che l’immagine in bianco e nero del gregge ci fa confondere una pecora con l’altra facendo intravedere la retrostante; quasi si stesse trattando di costruire sovrapposizioni di strati di velature e il riferimento alla pittura non è peraltro casuale, visto che Shaghayegh Sharafi si dichiara, in primo luogo, pittrice.
Nel groviglio di lana che riveste ciascuna pecora, alcune delle quali tentano di sollevare la testa quasi a volersi districare e intraprendere una direzione, per poi però, frustrate dal gruppo che argina e contiene, finire per muoversi inesorabilmente a côté, l’una accanto all’altra, dentro il gregge senza apparente via di fuga. A mano a mano che gli strati si ripetono si fa poi progressivamente sempre più labile la possibilità di individuarle, distinguerle le une dalle altre. Così nel breve tempo del loro accostarsi vien da chiedersi se la loro non si dia in qualche modo come metafora di una nostra prossima realtà. Le pecore, infatti, come tutti sanno, sono simbolicamente riconducibili all’innocenza, alla mansuetudine, alla pazienza e all’umiltà. Proprio per questa ragione sappiamo, che, tutte insieme, nel gregge, rappresentano in termini quasi didascalici l’istinto gregario. Sono una massa indistinta, una totalità all’interno della quale nessuna individualità ha alcuna possibilità di essere e affermarsi. Ci si chiede allora se siano state scelte per alludere, oltre che al passaggio dalla terra al cielo, alla tragicità di una condizione, o forse più estensivamente di quella umana. Quasi fossero un ritratto di un preciso momento storico.
Ma il video non si limita a mostrarci i passi di una massa caotica e quasi indistinta. C’è dell’altro: nella sequenza delle immagini assistiamo gradualmente ad una metamorfosi degli strati sovrapposti dei corpi delle pecore. La materia soffice della lana prende infatti via via il sopravvento sulla stessa forma che riveste astrattizzandosi sempre di più fino a non potersi più riconoscere e a trasformarsi in nuvola. Così il breve racconto parte dalla mandria guidata insensatamente dall’obbedienza cieca per approdare all’evanescenza delle nuvole nel cielo.
Proprio in questa parabola, dal vicino delle pecore nel gregge al lontano delle nuvole nel cielo, si compie il tempo di questo video di Shaghayegh Sharafi il cui intento dichiarato nel titolo è propriamente quello di delineare territori. Ma, impalpabili, e volatili le nuvole interpretano nella loro sostanza stessa l’idea della trasformazione, di qualcosa che scorre, di un paesaggio in transito, difficilmente perimetrabile. Dove si descrivono allora i territori declamati nel titolo? Cosa delimita l’uno dall’altro?
Forse la risposta è nello sfumare del gregge e delle nuvole, le une nelle altre, fare in modo che il vello si trasformi in cumulo, così da contraddire la nozione stessa di limite e lasciare che il caotico affollarsi delle pecore nel gregge trovi una pausa rasserenante nel conformarsi in nuvola.
Ciascuno di noi ha avuto esperienza, forse anche divertendosi, dello stupore e della meraviglia nello scoprire dentro uno strato di nuvole figure disegnate dai loro stessi contorni, e così vedere, o pensare di vedere, ciò che in realtà non c’è. Shaghayegh Sharafi con questo video ci accompagna in un suo proprio immaginario che dalle forme lanose delle pecore in terra conduce alle striature delle nuvole in cielo dando immagine alla sua illusione e così assecondando quel processo pareidolico che tende a farci riconoscere forme casuali in figure note. Siamo invitati a seguirla e a rovistare anche noi nel cassetto delle nostre memorie e associazioni per attraversare in un lampo il paesaggio dalla materia soffice e accogliente della lana a quella eterea e sfuggente delle nuvole. In comune condividono l’instabilità, la mobilità, la transitorietà, ma anche a ben vedere la forma dell’immagine, la sua sostanza visiva che ci appare non nitida, per certi versi granulosa, in perenne stato di permeabile mutazione. La prima, morbida ma resistente, la seconda soffice e impalpabile, gassosa. Entrambe materie, matasse e masse opache.
Nella storia dell’arte gli artisti hanno mostrato spesso di farsi trasportare da simili illusioni per farvi abitare le proprie fantasie associative a volte proprio partendo dalle nuvole. Per alcuni si è trattato di utilizzarle come spunti, per altri della strada da seguire nel darne configurazione visiva. Da Leonardo al Mantegna e spingendoci verso un tempo più prossimo a Salvador Dalì e a René Magritte. Altrettanto hanno fatto gli scrittori e i poeti, tra i più noti senz’altro Aristofane e con un volo pindarico che giunge fino a noi Fernando Pessoa e a Pier Paolo Pasolini . In “Che cosa sono le nuvole?”, episodio del film Capriccio all’italiana firmato da Pasolini, la trasposizione in chiave surreale della tragedia shakespeariana di Otello è interpretata da delle marionette parlanti, metà uomini e metà pupazzi. Alle fine dell’episodio le marionette sono gettate in una discarica abusiva e Otello estasiato dalla bellezza del cielo a lui fino a quel momento sconosciuto scopre le nuvole e dice “Quanto so’ belle! Quanto so’ belle!”.
Una magnifica e straziante bellezza, che su un piano molto meno estatico, faceva così concludere a Pessoa la sua ode alle nuvole: “Sono come un passaggio figurato tra cielo e terra, in balia di un impulso invisibile, temporalesche o silenziose, che rallegrano per la bianchezza o rattristano per l’oscurità, finzioni dell’intervallo e del discammino, lontane dal rumore della terra, lontane dal silenzio del cielo. Nuvole…Continuano a passare, continuano ancora a passare, passeranno sempre continuamente, in una sfilza discontinua di matasse opache, come il prolungamento diffuso di un falso cielo disfatto”.
In proposito, l’ossessione di Shaghayegh Sharafi per l’atmosfera e il vapore acqueo è un altro aspetto non trascurabile. Tutto nel suo lavoro, che come categoria predilige la pittura, persegue l’ evanescenza poiché tutto comprende in sé il mezzo aereo che si frappone tra lo sguardo e le cose viste. Così le nuvole potremmo dire ne sono quasi un paradigma.
Già, ma le pecore? Se pensiamo all’arte il riferimento storico richiama inevitabilmente all’ambito della pittura religiosa e alla simbologia del Buon Pastore e del suo gregge, spesso gli apostoli, e comunque il buon cristiano senza alcun intento denigratorio, e spingendosi ad epoche più recenti il rimando ineludibile va alla pittura di paesaggio, soprattutto di impronta romantica ottocentesca. Più vicine a noi sono le pecore che Salvador Dalì declina come divani e arredi, costringendole dunque nell’aspetto più matericamente funzionale e ancora oltre le pecore in formaldeide di Damien Hirst anch’esse a parlarci del lato più terreno della loro ostinata sopravvivenza in corpo.
Qui, in Territori di Sharafi, forse, più prosaicamente ribadiscono l’assenza di autonomia, l’essere inconsultamente eterodirette. Non a caso si trasformano in nuvole che eteree e passeggere lasciano presagire una speranza di riscatto rappresentando la chiave prima del leggere e immaginare cose perdendosi nei loro conturbanti dettagli.
20 ottobre 2018

* Il video Territori di Shaghayegh Sharafi è stato presentato il 10 ottobre 2018 nell'ambito della II edizione della Festa dell'arte, nell'Aula Magna del San Carlo, presso il Dipartimento DISTU dell'Università degli studi della Tuscia a Viterbo.