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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Lucilla MeloniIcoPDFdownload

Uscito recentemente per Postmedia.books, il libro di David Joselit Arte americana dal 1945 (American Art Since 1945, Thames & Hudson, London 2003) offre un’importante lettura dei fatti in questione e mette al centro del discorso sia il rapporto dell’arte con le dinamiche economiche e sociali, sia la rivisitazione del dato acquisito secondo cui l’origine dell’arte americana si rintraccia esclusivamente nelle avanguardie storiche europee.
Come afferma l’autore nella Prefazione, il libro propone: “una lettura sintetica dell’arte del dopoguerra negli Stati Uniti secondo la quale il suo centro di gravità non si situa nelle avanguardie europee di inizio ventesimo secolo ma nelle trasformazioni sociali ed estetiche degli anni Sessanta americani”.
Il ragionamento si sviluppa a partire da tre nuclei interrelati: il costituirsi di una sfera pubblica che coincide con il consumo, veicolato dai mass-media, dalla televisione a internet; la questione dell’identità personale come piattaforma per le rivendicazioni politiche e civili; l’assunzione da parte degli artisti di mezzi informativi quali la fotografia, il testo, il video.
La tesi proposta è che gli artisti “non abbiano solo rappresentato questo nuovo paradigma sociale ed estetico ma abbiano contribuito a dargli vita”.
L’intero percorso, che si snoda a partire dalle pratiche dell’Action Painting per arrivare all’appropriazionismo e al Post-Human degli anni Novanta del Novecento, mette in evidenza il continuo confronto che documenta le diverse pratiche di resistenza messe in atto dagli artisti all’interno di una società il cui paradigma fondante è la merce: merce oggetto o merce immagine, dove è il consumo lo spazio pubblico alla base della stessa formazione delle identità.
E se per Jackson Pollock la tela era una “arena nella quale agire” (Rosenberg), ben presto nel gioco speculare tra cittadino e consumatore, è la televisione a diventare l’“arena nazionale”: “Alla fine degli anni Cinquanta la televisione, una modalità di comunicazione rivolta alla vendita dei prodotti, era emersa come la principale arena nazionale negli Stati Uniti, capace di emarginare o assimilare altre modalità di discorso pubblico”, afferma l’autore.
Non soltanto la Pop Art assimila il linguaggio commerciale ma, segnala Joselit, anche Fluxus, nella persona di George Maciunas, adotta per la vendita dei multipli modalità aziendali e di marketing, tanto che aprirà nel suo loft a New York il Fluxshop.
E anche nei casi in cui gli artisti rifiutano la creazione dell’oggetto a favore delle idee, come testimonia la mostra epocale Information, curata da Kynaston McShine, tenutasi al Museum of Modern Art a New York nel 1970, si registra un rapporto imprescindibile con la trasformazione della merce: passata dall’essere oggetto a informazione. “L’avvento di un’economia dell’informazione basata sulle tecnologie informatiche allora emergenti, combinato con la diffusione ormai generalizzata di media elettronici come la televisione, trasformava l’informazione in una sostanza tanto ‘reale’ e soggetta allo scambio nei mercati finanziari quanto qualunque altra merce solida”, scrive.
Concetto quest’ultimo, che se per noi tutti è oramai un’evidenza, negli anni Settanta non lo era neanche nel Paese del capitalismo avanzato.
I sette capitoli affrontano, attraverso casi esemplari, il divenire dell’arte: dall’espressionismo astratto all’accumulo di materiali presente nell’assemblage, dal rifiuto della ridondanza delle immagini e degli oggetti praticato dalla Minimal Art all’occupazione dello spazio della Earth Art, dall’emergere dell’Happening e della Body Art all’arte politica che sottintende molte ricerche, dall’arte femminista alle pratiche legate a questioni di razza e di genere, dalla riflessione sulla identità sessuale al ribaltamento dello stereotipo, poiché, conclude l’autore: “L’ascesa a partire dal 1945 di una forma particolare di sfera pubblica, generata dai mass-media e dominata dal consumo, ha evocato una politica dell’identità nella quale gli individui sono rappresentati attraverso  stili di vita e attributi stereotipati intensamente mercificati”.
Dalla lettura emerge una storia in cui l’arte si configura, comunque, come una attitudine fortemente critica i cui linguaggi: iconici o aniconici, oggettuali, concettuali o performativi sono in stretta relazione, quasi in osmosi, con la rappresentazione che la società americana ha dato di sé stessa nel corso dei decenni. E proprio a partire da questa interconnessione, gli artisti hanno operato sull’esistente secondo diverse modalità e hanno tentato di ribaltare i livelli di significazione degli oggetti, delle immagini, delle merci e dei segni che compongono “la sfera pubblica”, mettendone a nudo le contraddizioni e le finalità ideologiche.
20 luglio 2021