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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

All'HangarBicocca una retrospettiva su uno dei grandi protagonisti dell'arte contemporanea

Domenico Scudero
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L'Hangar Bicocca apre la stagione 2022 - 2023 con un'importante rilettura di alcuni fondamentali lavori di Bruce Nauman riuniti nei vasti spazi espositivi della sede. Ad un primo sguardo, all'ingresso della piazza e della navata centrale dell'hangar, l'idea centrale di un percorso evidenziato dall'aura processuale risulta evidente già nella disposizione dei lavori esposti; come nella tradizione operativa di Nauman uno dei momenti essenziali della messa in opera si palesa infatti nel contrappasso fra interno ed esterno dell'opera, votati ad un rapporto volutamente brutale, privo di rifinitura fra il dentro e il fuori dell'installazione. D'altra parte non possiamo dimenticare che già nelle sue iniziali prove degli anni Sessanta l'artista ha sempre scartato l'idea dell'orpello se non coessenziale all'opera, proponendo una scarnificazione minimalista, molto aderente all'idea di un razionalismo radicale, in cui sia l'ambiente contenitore, sia anche il corredo tecnologico fossero parti funzionali e visibili. L'idea di un non finito dell'opera è in Nauman rispettosamente evocata nella posa e nell'esibizione dei suoi strumenti tecnici, come ad esempio i vecchi monitor in B/N o i neon intermittenti, strumenti bisognosi di protesi, sostegni, allacci, che nella dimensione attitudinaria della messa in evidenza diventano parte svelata del lavoro e non sono mai camuffati. Allo stesso modo, entrando negli spazi espositivi della Bicocca il contrasto fra pieno e vuoto dell'opera si evince dall'ossidata corrispondenza fra i materiali costruttivi - il legname, i ferri dei sostegni - e l'immagine di quel vuoto claustrofobico all'interno del quale il visitatore è attratto e quasi risucchiato. Nel primo lavoro visibile, Dream Passage With Four Corridors del 1984, questa sensazione di dialogo fra il pieno dello spazio ed il vuoto interiore dell'opera è solamente accennata dal fatto che non sia attraversabile risuonando così come una sorta di avviso su ciò che è e che vuole essere l'aspetto integrale di tutto il percorso. In questo caso la cura di Roberta Tenconi e Vicente Todolì, coadiuvati da uno staff che annovera Andrea Lissoni, Nicholas Serota, Leontine Coelewij, Maritjn van Nieuwenhuyzen e Katy Wan, ha davvero ricreato la giusta sensazione di ciò che il lavoro di Nauman dice e che spesso non viene compreso. Qui l'idea centrale di ciò che è lo spazio interno, che è spazio del pensiero e della rielaborazione delle cose, ha come risvolto intenso quello del contenitore, spazio dell'agire e dei processi costitutivi dell'esserci, concludendo quindi lo spessore significativo del percorso artistico non già nel perimetro delle opere al loro interno ma in ciò che manifestano in rapporto con il più ampio contesto. Questo carattere di suddivisione fra spazio dell'agire e spazio del pensare risulta molto evidente in particolare all'interno del cubo, ultima sala dell'esposizione, allestita con Mapping the Studio II with color shift, flip, flop & flip/flop (Fat Chance John Cage) del 2001 in cui in 7 videoproiezioni incrociate si susseguono i dettagli, la mappatura, dello studio d'artista in differenti colori e con sottofondo sonoro. In questo luogo in cui si entra superando un corridoio dove sono appesi i codici dei vari frammenti video, l'idea del vuoto abitato dal pensiero creativo si fa materia visiva, immersiva, lì dove all'esterno i codici ci ricordano che tutto in questo paesaggio di cose, anche vagamente accennate in forma di oggetti che funzionano come strumenti creativi, quindi  il cubo e il suo interno luminoso, è materiale da osservare ma anche da agire, rielaborare. Questa installazione, in particolare, riassume alcune particolari inclinazioni dell'artista connettendo da una parte il senso della processualità dell'azione del vivere e dall'altra la dinamica esponenziale della tecnologia, che è comunque una tecnologia volutamente ruvida come lo è il pensiero prima di divenire ipotesi. D'altra parte nei suoi esordi più noti, dagli anni Sessanta in poi, queste due tensioni interiori erano già evidenti nei gesti ripetuti e filmati, la circolazione interna nello spazio dell'atelier in cui i confini erano rastremati nei segni pavimentali su cui l'artista indugiava. Così come anche i tentativi di lievitazione filmati e reiterati e che ci ricordano quanto l'idea pindarica del volo intellettivo sia frenata dalla caducità del corpo. Ma questa continuità laboratoriale dal corpo al pensiero in Nauman risultava già in quegli anni all'interno dello spazio attraverso la tecnologia che era presentata sempre come sostanza grezza, volutamente ridondante e industriale, riflessa nella reiterazione degli atti, o anche nella sfasatura temporale di questi, nella sottolineatura con l'aspetto più evidente delle macchine che ne consentono l'attuazione. Basti ricordare alcune sue installazioni dei primi anni Novanta quando ancora le video proiezioni erano complicate da strumentazioni complesse ed il colore era possibile solo attraverso tre differenti fasci luminosi. Anche in quegli anni la posizione di Nauman nei confronti della tecnologia non si soffermava alla resa cromatica e alla distinzione dell'immagine proiettiva ma la strumentazione faceva parte essa stessa della complessità visiva, introiettando nello spettatore un senso di disordine e di non rifinito dovuto alle complicazioni prodotte da apparati tecnici. Qui nella sala di Mapping the Studio II with color shift, flip, flop & flip/flop (Fat Chance John Cage) l'avvicendamento dei quadri visivi è marcatamente estraneo al compiacimento estetico delle videoproiezioni a parete, mentre è forte la complessa autorialità estraneante di un vissuto che vuole essere emblematico poiché consapevole del suo esercizio riflessivo che riempie il vuoto. Così come la tecnologia, che ne è parte integrante e non limite o confine da cui siamo estromessi e allo stesso tempo coinvolti, anche il sonoro in questo particolare esempio ci ricorda di quanto sia stato intuitivo in Nauman quel volontario inserimento del rumore all'interno del processo installativo. Il suono risulta persino complementare alla tecnologia e al senso di contrasto fra pieno e vuoto poiché in natura non esiste silenzio perfettibile così come nel vivere quotidiano. Qui il suono si proietta all'interno del vuoto del contenitore traslandone i contenuti in pieno assoluto ed il confine si riordina nello specifico dell'immagine, che è comunque un'astrazione devoluta in sensazione estetica, attonita, e allo stesso tempo febbricitante, sollecitata com'è dall'insieme dei segni, visibili o solamente sensibili. Ne percepiamo quindi maggiormente la tensione verso quell'idea di Gesamtkunstwerk che è in tutto il lavoro di Nauman e che per via della sua volontaria riduzione minimale spesso sfugge alla comprensione.
Se la lettura dell'unità fra vuoto e pieno risulta estremamente coincidente nei corridoi luminosi, e nelle installazioni video, questa appare più complessa da percepire nelle opere a parete, come i neon. La loro posa in una grande spazialità come quella dell'hangar distoglie infatti dal senso volutamente spaziale delle opere che invece indicano un'estensione ben più ampia della loro superficie grazie all'espansione impalpabile della luce che in questa sede è molto rarefatta. L'idea di inglobare in rapporto articolato il mondo della produzione, i neon come le pareti in doppia faccia bianche e naturali, assume invece un corrispettivo valore aggiunto quando non ne delimitiamo il veicolo concettuale e processuale al corrispondente interno luminoso. Così come non si può separare il cartongesso dipinto in Going Around the Corner Piece with Live and Taped Monitors del 1970, né tantomeno si può ignorare il fatto che i due monitor esposti siano produttori di un senso dell'esistere del visitatore che potremmo dire capovolto, a tergo, così come capovolto è il senso del contrasto del pieno e del vuoto se ci si rapporta fra contenuto e contenitore degli oggetti esibiti. Qui infatti il contenitore è il contenuto e il contenuto è il contenitore in una tautologia che non è solamente gioco semantico ma forza spaesante versata sulla possibile percezione del fruitore. Per meglio comprendere questo senso un po' vertiginoso, che è anche il significato più profondo dell'agire per processi ideali di Nauman, basterà soffermarsi all'interno di Anthro/Socio (Rinde Spinning) del 1992, in cui il vorticoso ripetersi in loop di immagini e parole in una eco assordante si traduce in una complessa sensazione di capogiro. Interpretato dal ritratto del performer in moto perpetuo, quindi vertigine del senso e del pensiero, in esso possiamo intravedere, in forma espressamente evolutiva o in forma di gorgo devolutivo sulle origini del comunicare, una decostruzione di azione e parola che comunica sincopaticamente una duplice prospettiva, quella futura o quella archetipale. D'altra parte la vicinanza di questo gioco di rispecchiamento in Nauman nasce dalla sua formazione di matematico e, sebbene non sia poi diventato tale e le sue opere siano perfettamente in linea con l'idea della rappresentazione visiva e materiale, un effetto matematico, di spaesamento, permea tutto il suo lavoro. Sebbene con diversi metodi e mire, e con diverso effetto e modalità, il legame fra matematica e segno deve ritenersi proprio ciò che conduce allo straniamento visivo e all’illusionismo formale. Tutto questo si sente nella grande mostra all'HangarBicocca e lo si vive in particolare quando ci si integra perfettamente a proprio agio nelle strutture razionali/irrazionali ideate da Nauman, come in Double Steel Cage Piece del 1974 che costringe il visitatore ad un viatico in cui ci si trova stretti in una gabbia che custodisce a sua volta un'altra gabbia.
Che il capovolgimento del significato, ancorché destabilizzante nei confronti dell'oggetto, come visto in Anthro/Socio (Rinde Spinning), trasli il senso di contenuto/contenitore lo si vede bene in un insolito lavoro, Raw Materials (2004) esposto negli spazi esterni dell'hangar. Consiste in 21 diffusori sonori che riproducono in un loop ossessivo 21 tracce associate a precedenti lavori, di cui si rileva solamente il commento come residuo fossile del contenuto ma non se ne riconosce il contenitore, dimostrandosi come un esercizio direttamente focalizzato sulle disfunzioni della comunicazione e sulla difficoltà del comunicare, tanto attuale oggi quanto apparentemente irrisolvibile.

Ottobre 2022
Bruce Nauman, Neons, Corridors & Rooms, 15.09.2022 – 26.02.2023. A cura di Roberta Tenconi e Vicente Todolì, con Andrea Lissoni, Nicholas Serota, Leontine Coelewij, Maritjn van Nieuwenhuyzen e Katy Wan. Mostra organizzata da Pirelli HangarBicocca, Milano, Tate Modern, Londra e Stedelijk Museum Amsterdam .