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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Artisti di carta. Territori di confine tra arte e letteratura

Postmediabooks 2016

Lucilla Meloni

L’ultimo libro di Roberto Pinto offre al lettore un inedito punto di vista sui rapporti tra l’arte visiva e la letteratura. Uno sguardo particolare perché qui viene fatta luce su quelli che l’autore definisce come “artisti di carta”: ossia sugli artisti e sulle opere d’arte inventati dagli scrittori contemporanei.
Una prospettiva quindi diversa da quella usualmente praticata, attenta piuttosto ai differenti nessi che, nel tempo e a seconda delle epoche, sono intercorsi tra i due ambiti poetici e che hanno preso forma sia nell’illustrazione visiva di ciò che è scritto, sia nella messa in opera da parte di scrittori, in una sorta di translitterazione, del linguaggio dell’arte (si pensi, ad esempio, al rapporto tra la prosa di Gertrude Stein e la scomposizione cubista praticata da Picasso).
Se il ricorso alle immagini dell’arte appartiene a molta parte del mondo romanzesco dall’Ottocento ad oggi, se più di una volta il quadro dipinto dal personaggio letterario o lo stesso atto del dipingere ha assolto il compito di ricomporre la complessità del reale (come nella figura della pittrice Lily Briscoe in “Al Faro” di Virginia Woolf), l’autore nota come nella contemporaneità siano molti i romanzi in cui l’arte non solo è evocata, ma ricopre un ruolo centrale nella trama.
A partire da questa constatazione, Pinto suggerisce che le opere d’arte, nella loro essenza, appaiano agli scrittori di oggi: “come espressioni culturali particolarmente idonee a mettere in luce la complessità e la problematicità della società attuale”.
Il libro vuole anche indagare se la forma romanzesca possa “restituire aspetti dell’arte contemporanea che gli apporti storici non sono in grado di far emergere completamente”, perché il racconto che ne fa lo scrittore, dell’arte rispecchia anche la sua percezione nella società, ben al di là degli stretti confini del suo ambito disciplinare.
Da questa premessa si segue la trama del libro che è articolata in un percorso avvincente, che attraverso la presa in esame di molti romanzi di altrettanti autori (tra cui, Max Aube, Georges Perec, Don DeLillo, Paul Auster, Enrique Vila-Matas, Siri Hustvedt, Orhan Pamuk, Jan McEwan, Michel Houellebecq) si snoda, in un gioco di specchi, tra realtà e finzione, tra personaggi reali presi a prestito dal mondo dell’arte e artisti inventati, tra opere “di carta” del tutto ispirate dalle opere vere e opere totalmente di fantasia.
In questo articolato affresco letterario, il mondo dell’arte viene declinato nei suoi aspetti: la figura dell’artista, la nascita dell’opera d’arte, il contesto sociale, i luoghi espositivi quali gallerie e musei, le vendite all’asta, le leggi di mercato, fino alla falsificazione dei manufatti.
La ricostruzione storica attraverso la vita e le opere di un protagonista dell’arte è centrale nel “Jusep Torres Campalans”, di Max Aub (1958), che narra sotto forma saggistica la storia di un pittore mai esistito e del ritrovamento dei suoi dipinti: un falso congegnato talmente bene da trarre in inganno alcuni storici, la cui intenzionalità, secondo Pinto, era quella non solo di mettere alla berlina il mondo dell’arte ma anche “il nostro processo di storicizzazione della contemporaneità”. Alla contraffazione rimanda anche il libro di Georges Perec “Storia di un quadro” (1978): racconto di una vendita all’asta di un nucleo di opere falsificate, minuziosamente descritte, nel cui finale verrà rivelato al lettore l’inganno operato dal nipote di un artista misconosciuto dal sistema dell’arte.
Agli strettissimi legami intercorrenti tra le opere e le azioni di Sophie Calle e i personaggi di Paul Auster, che in alcuni casi non solo le ripetono ma addirittura danno forma a quello che era solo un progetto dell’artista francese (“Leviatano”, 1999), si affiancano gli “artisti di carta” inventati da Enrique Vila-Matas nel suo “Kassel non invita alla logica” (2014), la descrizione delle cui opere di invenzione accompagna quella dei lavori davvero esposti a Documenta, quanto   i numerosi artisti descritti da Don DeLillo nei suoi libri fin dagli anni Sessanta. Pinto mette in evidenza come proprio DeLillo, profondo conoscitore dell’arte a lui coeva, di questa abbia percepito la carica trasgressiva e, in un certo senso, sovversiva e, continua: “Sono proprio tali aspetti ad aver affascinato lo scrittore che ha reso l’attività artistica speculare al suo lavoro. DeLillo ha infatti sempre sostenuto che l’attività dello scrittore debba svolgere un’azione di contrasto rispetto al potere politico al fine di proporre una visione alternativa della realtà”.
Al massimo dell’intersezione tra l’arte e il romanzo, in uno scambio di ruoli tra scrittore e artista, troviamo a Istanbul il Museo dell’Innocenza di Orhan Pamuk. Lo scrittore turco che ne “Il mio nome è rosso” (1998) aveva dedicato al tema della rappresentazione, ossia della raffigurazione iconica, il nucleo centrale nella trama del romanzo, traduce il suo romanzo “Il Museo dell’Innocenza” (2008) in reale spazio espositivo, fatto degli oggetti descritti nel testo.
Dietro le pagine degli scrittori, dietro gli “artisti di carta” si intravede il pulsante mondo dell’arte contemporanea, con i suoi eccessi, con le sue provocazioni, con il suo “ipertrofismo”.
Le raffigurazioni – scritte - dell’arte contemporanea sembrano dunque abbandonare quell’intimità e quella sorta di aura che le aveva caratterizzate fino a un certo punto del Novecento; ma che nonostante tutto l’arte continui a svolgere una funzione di alterità lo confermano le parole di Enrique Vila-Matas, che nel già citato libro su Documenta, scrive in prima persona: “L’arte era, in effetti, qualcosa che mi stava succedendo, accadendo in quel momento stesso. E il mondo di nuovo sembrava inedito, mosso da un impulso invisibile. E tutto era così rilassante e stupendo che risultava impossibile smettere di guardare”.

aprile 2017