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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Il progetto artistico di Guido Sileoni sul mito di Tagete
 
Elisa AnzellottiIcoPDFdownload
        
“Il futuro degli Etruschi”. Con questo titolo si vuole giocare su una doppia sfumatura che il significato di questa affermazione può avere: da un lato si intendono quali prospettive artistiche si hanno per la città di Tarquinia cuore della civiltà etrusca, dall’altro si vuole parafrasare il titolo dell’opera di Salvatore Settis “Il futuro del classico” per aprire una riflessione su come l’antico ancora oggi sia in grado di stimolare e generare il nuovo. Estremamente significative sono dunque le parole di Settis dove afferma: “Ogni epoca, per trovare identità e forza, ha inventato un’idea diversa di ‘classico’. Così il classico riguarda sempre non solo il passato ma il presente e una visione del futuro. Per dare forma al mondo di domani è necessario ripensare le nostre molteplici radici” (1).
Nei primi del Novecento c’è una forte spinta artistica impressa dall’antico e nello specifico dalla civiltà etrusca che dal Rinascimento in poi continua ad esercitare una forte fascinazione di generazione in generazione, tant’è che Massimo Pallottino usò un’espressione estremamente calzante: ‘romanzo etrusco’. L’etruscologo infatti affermava:
C’è una Etruria degli studiosi ed una Etruria dei letterati le cui tradizioni corrono per due vie divergenti e, in un certo senso, incomunicabili: quella della ricerca obiettiva e quella della intuizione poetica […] Gli studi etruscologici ed il romanzo etrusco” della cultura contemporanea sono, è vero, due realtà diverse e distinte. Ma l’etruscologo non può ignorare del tutto la suggestione che l’oggetto dei suoi studi esercita così diffusamente, sul mondo della cultura. Egli deve, anzi, rispondere a questo richiamo, accoglierne la sollecitazione emotiva e non temere il contagio dell’entusiasmo. In questo senso le vie divergenti si ricongiungono; e la scienza può riconoscere, ancora una volta, il suo debito alla poesia” (2).
Questa osservazione sul “romanzo etrusco” fu consolidata indirettamente dall’itinerante “Mostra dell’arte e della civiltà degli Etruschi” del 1955 e ha mosso tante riflessioni sull’eredità di questa civiltà che tuttora continua a produrre i suoi effetti (3). 
Oggi, a distanza di quasi settanta anni da quella mostra, ne è in corso un’altra, a Venezia, ACP - Palazzo Franchetti, dal 22 maggio al 30 settembre 2021, “Massimo Campigli e gli Etruschi. Una pagana felicità”. L’obiettivo è quello di far emergere il dialogo specifico tra Campigli (Berlino, 1895 – Saint-Tropez, 1971) e l'arte etrusca, nato a seguito di una visita dell’artista al Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma nel 1928 che poi descriverà con queste parole: “Nei miei quadri entrò una pagana felicità tanto nello spirito dei soggetti che nello spirito del lavoro che si fece più libero e lirico” (4).
Ciò dimostra come questo filone non si sia mai interrotto e sia stato anche molto fruttuoso, tant’è che alcuni artisti acquisirono anche l’epiteto di etruschi (5) o in altri casi alcune personalità si trasferirono nelle città dell’Etruria attratte dalla storia e dalla bellezza. Un esempio di ciò è Tarquinia, eletta a residenza da Sebastian Matta che qui ha realizzato diverse opere, nonché l’Etrusco Ludens (6).
Dal passato al presente con uno sguardo verso il futuro, analizziamo cosa sta accadendo oggi con un artista emergente che vuole lasciare un’antica traccia contemporanea: Guido Sileoni
Dal mese di gennaio 2021 è infatti stato impegnato nella realizzazione di uno splendido murale in via delle Rose che fa parte di un progetto più ampio legato al mito di Tagete. Quest’opera è la prova di come l’artista sia in grado di trarre una linfa vitale proprio dalle radici del mitico passato etrusco producendo nuovi frutti per alimentare il nostro futuro. Proprio sulle pagine di unclosed ne abbiamo anticipato il progetto con un’intervista all’artista (7).
L’esplorazione di questa personalità ci permetterà inoltre di capire come il tempo sia un nodo centrale, dove l’antico può essere foriero di novità e come il fascino di questa civiltà attragga a sé artisti di tutte le epoche e provenienze.
Si sta scrivendo così un’altra pagina molto interessante di quello che l’archeologo Massimo Pallottino ha definito come “romanzo etrusco”.
Prima di entrare nel vivo della lettura dell’opera è bene fare dei cenni sulla vita e lo stile di Guido Sileoni, in modo da comprendere più nel dettaglio la sua poetica.
Sintetiche notizie sulla biografia dell’artista le troviamo sul suo sito dove sottolinea alcuni aspetti salienti: la nascita in Argentina nel 1976, gli studi a Roma e Tarquinia, le residenze in altre capitali europee come Madrid e Amsterdam. Proprio da questi spostamenti si possono individuare delle tappe di vita che sottolineano il peregrinare, in una sorta di viaggio di Ulisse accompagnato da alcuni punti fissi che permettono di individuare il filo conduttore da seguire per indagarne la personalità, tra cui la passione per l’antico. Non a caso le mostre in queste città che ha toccato sono spesso legate a tematiche etrusche o classiche, come si evince dai titoli stessi che spesso mostrano parole latine, greche o riferite alla mitologia, ad esempio si pensi a "Divinos Etruscos, retratos de un cielo" - esposizione di acrilici nel 2010 al Centro Cultural Julio Cortázar, Madrid oppure a “Lase” o ancora “ENCHEIROGASTORES”, ecc.) (8). 
Viaggi segnati da quella nostalgia - dove con questo termine si vuole proprio entrare nel profondo della parola nostos (ritorno a casa) e algos (dolore) - che spinge oltre le colonne d’Ercole del proprio vissuto, della propria conoscenza.
Ed ecco allora che calza alla perfezione una frase di quello che lui ritiene uno dei suoi “maestri” principali: Rainer Maria Rilke.
Tante partenze mi hanno formato fino dall’infanzia. Ma torno ancora, ricomincio, nel mio ritorno si libera lo sguardo. Mi resta solo da colmarlo, e quella gioia impenitente d’avere amato cose somiglianti a quelle assenze che mi fanno agire”. (1907) (9)
Può apparire bizzarro aver citato Rilke come suo Maestro, ma in realtà, come ci tiene a sottolineare Guido stesso, i suoi Maestri non sono solo coloro che gli hanno insegnato una tecnica - certamente fondamentali- ma anche tutti coloro che gli hanno comunicato altro e che non necessariamente si siano incontrati personalmente nella vita. Sono considerabili dunque Maestri gli scrittori, i filosofi, i pittori, insomma tutti coloro i quali hanno aperto una riflessione su determinate tematiche che possono appartenere a un lasso spaziale e temporale molto più vasto. Vengono perciò da tante parti e da tanti campi diversi e la speranza è di averne sempre di nuovi. Inoltre una fonte inesauribile di ispirazione è l’Italia, territorio che trasuda bellezza e dalla cui estetica non è possibile liberarsi. Proprio la questione estetica è alla base dell’atto creativo, che non è solo frutto della tecnica la quale può essere vista come quello strumento necessario per dare luce a un’idea che si ha. Occorre elaborare e far propri determinati concetti, i quali, quando penetrano nell’io è come se creassero una ferita costitutiva del pensiero, che così si rafforza. Fra tutti Reiner Maria Rilke è tra quanti hanno maggiormente aperto all’invisibile, o meglio, alla ricerca dell’invisibile nel visibile.
Nella fase poetica, come afferma Sileoni, non si pensa al destino dell’opera, è una ricerca interiore, quello che importa è quanto si va a fondo dentro sé stessi e proprio questo dice Rilke, cerca dentro di te quel qualcosa che tu non riesci a vedere, dopo potrai osservare il mondo fuori di te con occhi diversi. Introversione e poi estroversione. Proprio per questo ritiene che nessuno possa vedere il quadro come lo vede l’artista che lo ha fatto. Per il concepimento dell’opera d’arte serve uno sforzo costante e un esercizio di introspezione. L’atto creativo, che spesso paragona a una sorta di maieutica, è come un uscire da sé stessi, una sorta di ekstasis per andare oltre al visibile, alla ricerca dell’invisibile (dunque torna con forza il pensiero di Rilke - vedi infra), perché ciò che è più importante è il concetto, non tanto quello che si fa, ma quello che si dice, in altre parole l’essenzialità, che emerge con forza dalla sua cifra stilistica.
“I grandi maestri servono per indicarti la strada. La vera opera d’arte è quella che riesce a comunicare il futuro nel presente attraverso aspetti formali che appartengono al passato”, questo è ciò che pensa Guido Sileoni richiamando il pensiero di Adorno, ma anche il fatto che gli antichi avevano ben capito l’importanza della dimensione temporale. È per questo che l’antico è un tema ricorrente nelle sue opere che sono caratterizzate da un inconfondibile stile che di certo non è facile da definire. I caratteri che saltano all’occhio sono una frammentazione geometrica che fa correre la mente al cubismo ma è qualcosa di diverso perché differente è la concezione di fondo. Con il cubismo - in estrema sintesi- si voleva permettere di vedere la stessa opera contemporaneamente da punti di vista diversi nonostante la frontalità, qui abbiamo più una sensazione di tridimensionalità data da un gioco di specchi.
Se si chiede all’artista il perché di questa scelta stilistica la risposta è che probabilmente tutto ciò deriva dal fatto che da bambino avesse iniziato a disegnare, dunque approcciare l’immaginazione e la sua realizzazione, tramite gli oggetti che trovava in casa e poiché il padre era architetto e aveva a disposizione una serie di strumenti tecnici che ancora conserva (squadre, righe, compassi ecc..). La linea retta viene da lì, poi ad essa si è aggiunto il fascino della possibilità per l’astrazione dal concetto di cosmo/ natura e in ciò la figura umana è quella che più si è dimostrata adatta (afferma infatti di aver provato ad applicare questa tecnica anche a elementi vegetali o animali, ma il risultato migliore lo trovava nella figura dell’essere umano). Inoltre l’astrazione secondo l’artista è il modo migliore per comunicare con il futuro, infatti nelle fasi di astrazione vi si legge più una ricerca personale nei meandri della mente piuttosto che un voler abbandonare il figurativo.
Non sorprende allora il fatto che le parole che dice l’artista trovino un possibile preciso riscontro in quelli che sono gli ultimi studi neuroscientifici (10) dove si ritiene che la percezione della forma comincia dalla linea retta e come sia possibile educare al bello e ciò generi benessere.
Potremmo dunque metaforicamente paragonare anche il suo percorso stilistico a un viaggio alla ricerca di qualcosa, che lo ha spinto ad intraprendere tante strade diverse a partire dalle tecniche esecutive; ne ha infatti esplorate diverse: disegno (principalmente a matita), acquerello, brevi sperimentazioni con intaglio, olio, acquaforte, ma quelle che predilige sono il disegno e la pittura, soprattutto ad olio.
Da sottolineare anche il periodo della passione per la fotografia perché, come tutti gli artisti, la capacità d’osservazione è davvero notevole e proprio nelle fotografie emerge con forza quella capacità di estrapolare un dettaglio, il prestarci il proprio sguardo sul mondo, fare di un singolo e apparentemente insignificante elemento un oggetto auratico, carico di bellezza immutabile nel suo essere universale.
Per quanto riguarda i soggetti rappresentati c’è una predilezione per la figura umana, come già detto, ma anche un prevalere della figura femminile, musa ispiratrice, si pensi alle opere che compongono Alias pulchritudo fase artistica che va dal 2018 al 2020 che costituisce una tappa del percorso in questo viaggio immaginario tant’è che sul suo sito fa delle "considerazioni a margine” da cui emergono con forza tre concetti: aura, bellezza, immutabile, universale. Questi termini posti in sequenza senza interpunzione formano un’affermazione, ma in realtà dobbiamo soffermarci su ciascuno di esso per capire gli elementi chiave della poetica di Guido Sileoni.
Parlando di aura è naturale il riferimento a Walter Benjamin con le sue numerose riflessioni su questo concetto in relazione al modernismo che crea proprio una perdita di questa magia a causa della riproducibilità tecnica e non solo (11). L’aura è quel valore cultuale che ha sempre investito le opere d’arte e che nella modernità si è perso. Sotto questo punto di vista l’operato di Sileoni è fortemente ancorato alla téchne, all’artigianalità, al fare, senza lasciarsi trasportare dall’atto performativo in sé.
Per ciò che concerne l’ideale di bellezza sicuramente è da intendere come ideale assoluto legato a una concezione classica del bello e profondamente ispirata dalla donna e dall’antico, quasi come in un contesto matriarcale di una qualche antica civiltà.
Più complesso è parlare del concetto di Immutabile, tema molto caro e connesso anche a ciò che sembra in realtà opposto: l’effimero che, data la sua non eternità intrinseca, lo rende l’esatto contrario (12). Ed ecco allora che ci viene in soccorso una metafora molto forte, quella del naufragio, utilizzata da Karl Jaspers per definire il senso ultimo dell'esistenza umana: l'esistenza è il divenire, ovvero il naufragio (il tentativo fallito) di concepire qualcosa di immutabile, mentre tutto è mutevole e diveniente. Il tentativo di concepire l'immutabile è certamente quel sentimento di riparo, quel rimedio, che ogni uomo cerca di instaurare per sentirsi salvo dal naufragio ultimo e supremo della morte. Jaspers insieme a Martin Heiddeger sono stati considerati i maggiori rappresentanti dell’esistenzialismo e ai due filosofi possiamo sicuramente affiancare anche Rilke (13) col suo eterno immutabile da cui tanto trae ispirazione Guido Sileoni. Pensiamo quanto possa calzare alla figura fin qui descritta dell’artista questa poesia del Rilke:
È necessaria una cosa sola: solitudine, grande solitudine interiore. Volgere lo sguardo dentro sé e per ore non incontrare nessuno: questo bisogna saper ottenere. L’amore consiste in questo, che due solitudini si proteggono a vicenda, si toccano, si salutano…”  (14)
Il risultato di questi primi tre elementi messi insieme è l’Universale. L’arte è un linguaggio universale, fondato sulla bellezza (che assume numerose forme) e che è intrinsecamente connesso all’aura.
Nel caso specifico del progetto su Tagete a Tarquinia, ritorna lo stile figurativo con questa forte geometrizzazione, colori brillanti a richiamare quelli degli etruschi, messaggi sociali e voglia di dare un appiglio identitario e portare la bellezza alla portata di tutti, l’arte che va fra la gente e non viceversa, quindi un’azione “politica”, una necessità di fare la propria parte nella società con i propri mezzi (in questo caso l’arte).
Il progetto su Tagete
Il mito di Tagete
Tagete (15) nella mitologia etrusca è il bambino con la saggezza di un anziano che esce dalla terra arata da Tarconte, proprio a Tarquinia, nel pianoro che ospita il più grande tempio etrusco (l’ara della Regina). Inizia così la dettatura dei libri Tagetici - di cui purtroppo non ci è arrivato nulla - con cui venivano insegnati i precetti dell’etrusca disciplina, il complesso di saperi cui gli Etruschi si rivolgevano per interpretare i segni degli dei e comunicare con loro. Questa storia la conosciamo grazie a quanto narrato da alcuni poeti, tra i quali Ovidio (Ov. M. 15, 558) ed altri scrittori (16) fra cui fondamentale Cicerone che nel I sec. a.C., racconta la storia nel De divinatione (De Divinatione, II, 23):
Si narra che un certo Tagete nel territorio di Tarquinia apparve improvvisamente mentre la terra veniva arata, nel momento in cui fu impresso un solco più profondo, e che rivolse la parola a colui che arava. Come è scritto nei libri degli Etruschi, questo Tagete si dice che avesse l’aspetto di un bambino ma la saggezza di un vecchio. Poiché il contadino, stupito dalla sua comparsa, sollevò un grido di meraviglia, accorse molta gente ed in poco tempo tutta l’Etruria si radunò in quel luogo. Allora Tagete parlò a lungo dinanzi alla folla degli ascoltatori, che ascoltarono con attenzione tutte le sue parole e le misero per iscritto. L’intero suo discorso fu quello in cui era contenuta la scienza dell’aruspicìna; essa poi si accrebbe con la conoscenza di nuove cose che furono ricondotte a quegli stessi principi. Ciò abbiamo appreso dagli Etruschi stessi, quegli scritti essi conservano, quelli considerano come la fonte della loro dottrina.”
Purtroppo nell’arte figurativa etrusca è difficile riconoscere questo personaggio mitologico; un’ipotesi vorrebbe che ne fosse una rappresentazione il c.d. Putto Carrara, una statua votiva rappresentante un fanciullo databile tra IV e III sec. a.C. e proveniente da Tarquinia, conservata ai Musei Vaticani; un’altra ipotesi individua l’iscrizione del nome Tarconte su uno specchio in bronzo, ma non tutti sono concordi nel riconoscere questa storia nella raffigurazione.
Un’iconografia tutta da creare partendo dalle fonti, ed è questo quello che Guido vuole fare con il suo progetto che è molto più ampio di quanto si possa immaginare. Vuole creare un fil rouge che riannodi la storia delle dodecapoli etrusche partendo proprio da Tarquinia dove appunto questo mito è nato.
Tale progetto grafico si suddivide in due serie di “sequenze figurative”. La prima serie è composta di diverse tavole che scandiscono le sequenze più importanti del racconto mitologico: la nascita di Tagete dalla terra, la dettatura dei libri Tagetici (Fig.1 e Fig.2 bozzetti del progetto), la rappresentazione delle città della dodecapoli etrusca.
La seconda serie invece raffigura più semplicemente scene di vita quotidiana, danzatori, musici, cavalieri, scene di caccia e gli immancabili cavalli aligeri, simbolo indiscusso della città, insomma quell’aspetto più puro e comprensibile che caratterizza gran parte delle immagini dipinte nelle tombe ipogee delle necropoli tarquiniesi. Proprio questa seconda serie è quella che è stata realizzata in via delle Rose (figg. 3 - 10) poiché la prima serie, quella più strettamente legata al mito di Tagete, era troppo articolata e complessa per la superficie che l’artista aveva a disposizione. Rimane dunque aperto questo progetto per il futuro e in attesa che ciò si compia è bene sapere e prendere coscienza del pensiero che vi è dietro, motivo per cui ho ritenuto fondamentale intervistare l’artista durante la realizzazione dell’opera.
Come egli stesso ha affermato nel rilasciare l’intervista per la rivista unclosed (17):
Le ragioni che mi hanno spinto a considerare la possibilità di rappresentare il mito di Tagete sono diverse: la prima è di carattere personale in quanto la mitologia, in genere quella greca, mi ha sempre affascinato, non solo per il racconto in sé ma per il significato intrinseco di ogni mito, che non pretende mai di intrattenere bensì di educare o quanto meno far riflettere.
La seconda ragione invece deriva dalla constatazione che non ci sono rappresentazioni grafiche di questo racconto fondativo così importante per lintera lega etrusca e che questa potrebbe essere una straordinaria opportunità per lintera comunità che avrà così la possibilità di accedere anche a delle immagini relative al mito di Tagete.
Dunque una lunga serie di immagini che sono il frutto di un’elaborazione stilistica che si è andata formando in territorio etrusco durante il corso di molti anni e da una contaminazione culturale dalla quale nessuna persona sensibile sarebbe in grado di sottrarsi, in virtù del fatto che la mia formazione artistica è avvenuta in questi luoghi e che imprescindibilmente appartiene alla mia poetica”.
Nel “cassetto” però non abbiamo solo il mito di Tagete, ma anche tutti gli altri disegni che Guido ha pensato per ciascuna delle dodecapoli (Veio, Caere, Tarquinia, Vulci, Roselle, Vetulonia, Populonia, Volterra, Volsinii, Chiusi, Perusia e Arretium). Dunque un progetto ampio, disseminato per l’Etruria, volto a ricordare gli antichi splendori da cui ancora tanto potremmo trarre.
Questo periodo di pandemia avrebbe dovuto scuotere le coscienze, far capire quanto siamo interconnessi e di come l’arte sia fondamentale per la vita, o meglio per l’anima (si può essere vivi fisicamente ma morti dentro). Si è sofferto per la chiusura dei musei, dei teatri, cinema, attività sportive e via dicendo, non solo per il venir meno della socialità ma anche per il venir meno del nutrimento dell’animo umano. Il bisogno di arte si è visto dalle reazioni, musica e canti dai balconi.
Non vi era dunque momento migliore per la nascita di quest’opera, un murale del genere infatti non è altro che un mezzo per unire. Chi scrive ha visto come tutti i passanti durante la realizzazione del murale si fermassero per complimentarsi ed esprimere la loro gratitudine nei confronti di un atto di bellezza. La gente ha visto valorizzato il proprio territorio, si è riconosciuta nelle gloriose origini etrusche e in questo modo si è rafforzata la propria identità, orgogliosa di quanta bellezza l’antico popolo etrusco sia ancora in grado di produrre. Rinnovare un antico gesto, dargli nuovi colori, rileggerli aiuta a prendere coscienza.
Non posso dunque non concludere, con un chiaro intento di circolarità temporale che ha investito non solo questo articolo, ma anche la sua essenza e quello dell’opera di cui si tratta, con una frase di Settis:
«Quanto più sapremo guardare al 'classico' non come una morta eredità che ci appartiene senza nostro merito, ma come qualcosa di profondamente sorprendente ed estraneo, da riconquistare ogni giorno, come un potente stimolo ad intendere il 'diverso', tanto più da dirci esso avrà nel futuro»(18).

Luglio 2022
1) S. Settis, Il futuro del classico, Einaudi, Torino, 2004.
2) M. Pallottino, “Scienza e poesia alla scoperta degli Etruschi”, in Quaderni dell’Associazione Culturale Italiana, 24, 1957, pp. 7-22, citazioni alle pp. 10 e 21-22.
3) G. Bagnasco Gianni, Fascino etrusco nel primo Novecento: un gioco di specchi fra arti e storia delle arti, in ead. (a cura di), Fascino etrusco nel primo Novecento, conversando di arti e di storia delle arti. Atti dell’incontro di Studio Milano, Università degli Studi, Sala Crociera Alta (7 ottobre 2015) ARISTONOTHOS Scritti per il Mediterraneo, vol.11, 2016, pp. 11-31.
4) Le composizioni volutamente arcaicizzanti di Campigli rappresentate in mostra con dipinti che spaziano dal 1928 al 1966, ritrovano le origini della loro ispirazione nei reperti etruschi esposti con cui si instaura una naturale condivisione di atmosfere, segni e colori. Come sottolinea Franco Calarota: “A partire dalla famosa visita al Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma nel 1928 si assiste a una sorta di ritorno a una purezza primordiale nell’arte di Campigli, a un sapore antico fatto di colori tenui come dipinti ad affresco così simili a come il tempo ci ha restituito le immagini etrusche, di forme plasmate secondo il disegno di statue votive o di anfore, di figure femminili con busti a clessidra che si astraggono in immagini atemporali”. (La dichiarazione veniva riportata da Antonio Corpora in una sua ricognizione della Biennale di Venezia del 1948, sulle colonne di un giornale dell’epoca, Il Sud Attualità). Cfr.
5) Tra gli artisti, specialmente scultori, che ebbero l’epiteto di “etruschi” ricordiamo Arturo Martini che tuttavia lo rifiutò, ma da questa civiltà subì un’influenza/ispirazione, non fosse altro per la scelta di creare sculture in terracotta, il vuoto, il notturno. Stessa cosa per Marino Marini (Pistoia, 1901 - Viareggio, 1980) che parlò dei riferimenti etruschi nella sua arte in questi termini: “Io guardo agli etruschi per la stessa ragione per cui tutta l’arte moderna si è voltata indietro saltando l’immediato passato ed è andata a rinvigorirsi nell’espressione più genuina di un’umanità vergine e remota. La coincidenza non è soltanto culturale; ma noi aspiriamo a una elementarità dell’arte”. Cfr. https://www.finestresullarte.info/opere-e-artisti/io-sono-un-etrusco-marino-marini-e-l-arte-etrusca; Barbara Cinelli, Flavio Fergonzi (a cura di), Marino Marini. Passioni Visive, catalogo della mostra (Pistoia, Palazzo Fabroni, dal 16 settembre al 7 gennaio 2018 e Venezia, Collezione Peggy Guggenheim, dal 27 gennaio al 1° maggio 2018), Silvana Editoriale, 2017.
6) Nel 1970 Sebastian Matta fonda con Bruno Elisei “l’Etrusco-Ludens” scuola d'arte e artigianato, dove le sue creazioni in ceramica fondono, attraverso forme sapientemente dosate, la tradizione precolombiana con la raffinata cultura etrusca tramandata dalle pitture tombali e vascolari. Per le opere di Matta a Tarquinia, a titolo di esempio, si veda: Matta a Tarquinia. Omaggio nel centenario della nascita 1911-2011. Catalogo della mostra – Sala Grande della Biblioteca Comunale – 16 dicembre 2011 – 31 gennaio 2012 – Tipografia Lamberti – Tarquinia (VT), 2012; Franco Portone, Maurizio Brunori, Matta - Dialogo con Tarquinia, Roma, 1975; Matta Sebastian, Fuksas Massimiliano, Sacconi Anna Maria, La scuola materna di Tarquinia, Roma, Carte Segrete, 1983.
7)  E. Anzellotti, Gli etruschi nostri contemporanei. Il comune di Tarquinia ha affidato a Guido Sileoni la realizzazione di un murale. A lavoro in corso Elisa Anzellotti ha incontrato l’artista, in “Unclosed” (arte e oltre / art and beyond rivista trimestrale di arte contemporanea ISSN 2284-0435). Numero 29, anno VIII, del 20/01/2021. http://www.unclosed.eu/rubriche/osservatorio/recensioni-attualita/335-gli-etruschi-nostri-contemporanei.html
8) Per un elenco delle mostre fatte e partecipazioni ad eventi/premi si rimanda al sito : https://www.guidosileoni.com
9) R. M. Rilke, Poesie francesi, Milano, Crocetti Editore, 1999.                                                                                         
10) Si vedano a tal proposito gli studi del padre della neuroestetica Semir Zeki: La visione dall'interno. Arte e cervello, tit. or. Inner Vision. An Exploration of Art and the Brain,1999, trad.it Paolo Pagli e Giovanna De Vivo, Torino, Bollati Boringhieri, 2003; Con gli occhi del cervello, Roma, Di Renzo Editore, 2008; Splendori e miserie del cervello. L'amore, la creatività e la ricerca della felicità, Milano, Codice Edizioni, 2010.
11) Il pensiero di Benjamin è strettamente legato alla funzione storico politica che può avere l’arte. Negli anni del regime nazista in Germania Benjamin volle produrre una teoria dell'arte che fosse utilizzabile «per la formulazione di esigenze rivoluzionarie nella politica culturale» W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa, traduzione di Enrico Filippini, introduzione di Cesare Cases, con una nota di Paolo Pullega, Torino, Einaudi, 1991 [1966], p.20. Nell'epoca della riproduzione meccanica, tali esigenze, nonché l'assenza del valore tradizionale e rituale dell'arte, avrebbero fatto sì che la produzione artistica fosse intrinsecamente basata sulla prassi della politica; cfr. P. Scannell, Benjamin contextualized: On the Work of Art in the Age of Mechanical Reproduction, in Katz et al. (Eds.), Canonic Texts in Media Research: Are There Any? Should There Be? How About These?, Polity Press, Cambridge.
12)  Sul concetto di effimero eterno si veda anche E. Anzellotti, Memoria e materia della danza. Problemi conservativi di un patrimonio culturale immateriale, Saarbrücken, Edizioni Accademiche Italiane, 2016.
13) A. Pessina, Rivista Di Filosofia Neo-Scolastica, vol. 71, no. 2, 1979, pp. 458–463. JSTOR, www.jstor.org/stable/43060761. Accessed 4 Aug. 2021; F. J. Von Rintelen, Filosofia del finito. Un dialogo con l’esistenzialismo, trad. it. Giannini, Napoli 1977.
14) R. M. Rilke, Poesie francesi, Milano, Crocetti Editore, 1999.
15) In quanto all'etimologia del nome, secondo l'etruscologo Massimo Pallottino che basa la sua ipotesi su uno specchio etrusco conservato al Museo archeologico di Firenze, dove viene rappresentato un giovane aruspice osservando un fegato assieme ad altri personaggi, con la scritta pavatarchies (il bimbo Tarchies?), il nome latinizzato di "Tages" corrisponderebbe ad un Tarχies etrusco. cfr. M. Pallottino, Uno specchio di Tuscania e la leggenda etrusca di Tarchon, in RAL (R. Acc. Dei Lincei, Roma) VI, 1930, pp. 49-87.
16)  Cicerone, La divinazione, II, 50; Ovidio, Metamorfosi, XV, 553-559, Lucano, I, 634; Columella, X, 344-347; Censorino, Il giorno della nascita, IV, 13; Anobio, II, 69; Ammiano Marcellino, XVII, 10, 2; Servio, AllEneide, I, 2; II, 781, VIII, 398; Macrobio, Saturnali, V, 19, 13; Marziano Capella, II, 157; Fulgenzio, Serm. ant., 4; Festo, Il significato delle parole, s.v. Tages; Commento Bernense a Lucano, I, 636; Isidoro, Etimologie, VIII, 9; 34-45; Giovanni Lido, I prodigi, 2-3; I mesi, IV, 7, 9.
17)  E. Anzellotti, Gli etruschi nostri contemporanei. Il comune di Tarquinia ha affidato a Guido Sileoni la realizzazione di un murale. A lavoro in corso Elisa Anzellotti ha incontrato l’artista, in “Unclosed” (arte e oltre / art and beyond rivista trimestrale di arte contemporanea ISSN 2284-0435). Numero 29, anno VIII, del 20/01/2021. http://www.unclosed.eu/rubriche/osservatorio/recensioni-attualita/335-gli-etruschi-nostri-contemporanei.html
18) S. Settis, Il futuro del classico, Einaudi, Torino, 2004.
Bibliografia
Elisa Anzellotti, Gli etruschi nostri contemporanei. Il comune di Tarquinia ha affidato a Guido Sileoni la realizzazione di un murale. A lavoro in corso Elisa Anzellotti ha incontrato lartista, in “Unclosed” (arte e oltre / art and beyond rivista trimestrale di arte contemporanea ISSN 2284-0435). Numero 29, anno VIII, del 20/01/2021. http://www.unclosed.eu/rubriche/osservatorio/recensioni-attualita/335-gli-etruschi-nostri-contemporanei.html
Elisa Anzellotti, Memoria e materia della danza. Problemi conservativi di un patrimonio culturale immateriale, Saarbrücken, Edizioni Accademiche Italiane, 2016.
Giovanna Bagnasco Gianni (a cura di), Fascino etrusco nel primo Novecento, conversando di arti e di storia delle arti Atti dell’incontro di Studio Milano, Università degli Studi, Sala Crociera Alta (7 ottobre 2015) ARISTONOTHOS Scritti per il Mediterraneo, vol.11, 2016.
Walter Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa, Torino, Einaudi, 1991 [1966].
Barbara Cinelli, Flavio Fergonzi (a cura di), Marino Marini. Passioni Visive, catalogo della mostra (Pistoia, Palazzo Fabroni, dal 16 settembre al 7 gennaio 2018 e Venezia, Collezione Peggy Guggenheim, dal 27 gennaio al 1° maggio 2018), Silvana Editoriale, Milano, 2017.
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Sitografia
https://www.finestresullarte.info/opere-e-artisti/io-sono-un-etrusco-marino-marini-e-l-arte-etrusca (Federico Giannini, Ilaria Baratta, Io sono un etrusco”: Marino Marini e l’attualità dell'arte etrusca, 13/03/2018).
 
Fonti
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