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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Il tempo e lo spazio circolare della collezione Pinault alla Bourse de Commerce di Parigi
  
Natalia GozzanoIcoPDFdownload

Lo spazio avvolgente, luminoso, circolare della Bourse de Commerce di Parigi accoglie le opere della collezione Pinault (1). Grazie all’intervento dell’architetto giapponese Tadao Ando, lo storico edificio è stato riportato a nuova vita; la grande sala centrale – la Rotonde - è circondata da un cilindro di cemento concepito per rispettare il più possibile le strutture originarie del sito, nato nel XVIII secolo come un deposito di grano e poi riadattato per diventare la prima sede della Borsa di commercio nel 1889. Crea una superficie liscia che gira intorno e sulla quale si affacciano le gallerie superiori: lo sguardo che se ne ha dall’alto, vedendo i visitatori muoversi in questa grande hall centrale, fa pensare al rotor del Luna Park. Un cilindro che assorbe dentro di sé le persone per poi farle girare vorticosamente, e per la forza centrifuga, le fa aderire alle pareti sospendendole dal pavimento. Ovviamente la Bourse non è un Luna Park e le pareti di Tadao Ando non si muovono; tuttavia la struttura architettonica insieme con le opere dei numerosi artisti della collezione, mettono in moto una dinamica fra le persone, le opere e l’ambiente.
I visitatori naturalmente si muovono nelle varie sale del museo (oltre alla Rotonda centrale, la galleria sottostante e le due gallerie superiori), in cui la mostra attualmente in corso, Une seconde d’éternité, espone pittura, scultura, oggetti, video e installazioni di diversi autori. Ma quello che si vede non è solo questo: è l’opera creata dalla coesistenza di tutto questo. Le persone e i loro movimenti, i loro gesti, le loro espressioni insieme alle opere e a quello che suscitano. L’arte relazionale è il primo riferimento che viene in mente, l’arte partecipata come quella lasciata da Félix Gonzaléz-Torres, le lampadine da fiera arrotolate sul pavimento o sospese al soffitto attivano una sensazione, niente di più, niente di meno. Il cubo decorato da lampadine chiare è in attesa del ballerino che, ad un orario imprevedibile, ci salirà sopra per danzare brevemente e poi andare via. È una sospensione, un’attesa. L’accensione di una suggestione.
Il titolo della mostra, Une seconde d’éternité, ricalca quello di un film dell’artista belga Marcel Broodthaers del 1970, a sua volta ispirato a una frase di Charles Baudelaire («dans une seconde l’infini de la jouissance»), in cui per un secondo appare metonimicamente il monogramma dell’artista quale apparizione del sé. Apparizione di una firma, simbolo di autenticità dell’opera d’arte, oggettivizzazione -fugace!- di un intervento autoriale: in sintesi i temi affrontati dall’esposizione.
L’opera QM.15 di Dominique Gonzalez-Foerster prende forma in un ambiente completamente immerso nel buio: una volta entrati, si vede proiettato uno scenario dalle tinte rosse al centro del quale c’è l’ologramma di una cantante. È la stessa artista che, con un abito rosso come quello indossato da Maria Callas nelle sue ultime apparizioni, assume l’aspetto del celebre soprano mentre canta brani dalla Medea di Luigi Cherubini, da La Traviata di Giuseppe Verdi e da La Gioconda di Amilcare Ponchielli. Lo spettatore, in questo ambiente completamente buio, è risucchiato dal rosso delle tende e dell’abito della scena e sopraffatto dalla voce che domina sensorialmente l’esperienza dell’opera. Gonzalez-Foerster si è dichiarata contro il feticismo dell’oggetto artistico e più interessata invece a sollecitare il coinvolgimento del pubblico sotto altre forme, in particolare proprio il video.
Tra le molte opere esposte, mi viene da associare quella di Gonzalez-Foerster alla Gober Wedding Gown di Sturtevant, che manifesta una ancora più netta volontà di andare oltre l’unicità e la sacralità dell’oggetto d’arte: è infatti la ricostruzione puntuale di un’opera dell’artista concettuale Robert Gober, del 1989: un abito da sposa bianco, semplice ed elegante, che sta lì davanti a noi, in piedi, come se ci fosse qualcuna dentro. È in seta, mussolina e acciaio saldato. È l’opposto dell’ologramma che cantava, è un abito di materia concreta, candida e salda, dalle forme riempite ma il corpo che lo abita non si vede. Sturtevant realizza opere che sono la fedele riproduzione di lavori di altri artisti, ingaggiando un provocatorio assalto ai concetti di autenticità, autorialità, originalità nonché, nel caso specifico dell’abito da sposa, del modello eterosessuale dominante.
La forma e il contenuto, l’esterno e l’interno, l’opera e il suo autore sono gli estremi del dialogo su cui l’artista si interroga.
 Nella Galleria 7 del secondo piano si susseguono i lavori di Wolfgang Tillmans, Larry Bell, Rudolf Stingell, Pierre Huyghe e Philippe Parreno. Il video di Huyghe propone la figura animata di Ann Lee, protagonista dell’opera di Parreno e Sehgal della Rotonda. I temi di cui parla il personaggio sono quelli della realtà e della menzogna, dell’illusione e della finzione. Il gioco dei piani che si scambiano lo collega all’installazione di Parreno Quasi Objects: My Room is a Fish Bowl: una sala con il pianoforte che suona da solo, piena di palloncini a forma di pesce che fluttuano nell’aria, così belli e colorati che non si può non toccarli e giocarci. La musica suonata da qualcuno o qualcosa di invisibile genera una certa curiosità mista a sospetto ma i palloncini-pesce sono così facili e giocosi che l’atmosfera nella sala si risolve subito in divertimento. Ancora una volta l’oggetto artistico non è ciò che pensiamo o non è affatto: quello che troviamo è un ambiente che siamo noi stessi ad attivare, con il gioco o con l’immaginazione.
E ancora l’immaginazione guida, prepotentemente, la nostra fantasia e le nostre emozioni nel video di Parreno Marilyn (2012). La stanza dell’albergo Waldorf-Astoria dove l’attrice soggiornò alla fine degli anni ’50 è vista in soggettiva in modo che lo sguardo che si posa sulle cose e gli oggetti che si muovono (una penna stilografica che comincia a scrivere quella che sembra una lettera intima, e poi scarabocchia) ci danno l’illusione della presenza della stessa Marilyn Monroe nella stanza. Illusione, per l’appunto, perché alla fine si rivela che era un braccio meccanico a impugnare la penna e dunque lo sguardo che abbiamo attribuito alla diva e che abbiamo fatto nostro, condividendone il senso di angoscia e solitudine, era fittizio ma reale solo per noi.
I personaggi si rincorrono: nella Rotonda domina il grande lavoro Anywhere Out of the World (2000) di Philippe Parreno, Tino Sehgal e Arca, un’opera complessa e collettiva dominata dal fluire dei suoni ambientali che generano movimenti di luci digitali su un grande schermo, e dal disegno animato di una ragazza, Ann Lee. Il personaggio di Ann Lee sembra prender vita perché, dopo aver parlato sullo schermo, la vediamo in carne e ossa: è una ragazzina dal volto simile al manga che esce da dietro lo schermo e ci parla, in inglese, con voce calma e gesti misurati, lievemente meccanici. Si avvicina e ci interroga: sì, proprio noi che siamo lì, seduti sulla moquette del pavimento, che pensavamo di stare solo guardando una mostra. La ragazza, con grande pazienza e tranquillità aspetta la risposta ma ci dice che non c’è una risposta giusta.
È la possibilità di darci del tempo, di aspettare lo sguardo migliore, passando da quello sulle opere della mostra a quello sulla doppia scalinata dell’originario deposito del grano che un tempo l’edificio era stato. Una doppia scalinata genialmente ideata in modo da permettere un senso di salita e uno di discesa evitando così che i garzoni che portavano gli ingombranti sacchi di grano e di farina si ostacolassero a vicenda. È sempre un racconto di spazio e di persone che vi si muovono dentro. È anche un racconto di suoni: i suoni non solo dell’opera nella Rotonda ma anche i suoni generati dai visitatori che circolano nel museo. Suoni che si possono ascoltare, anche se non sempre li capiamo. Il reale e l’artificiale si mescolano e si sommano in Echo: un meccanismo digitale reagisce alle condizioni ambientali (rumore, umidità, temperatura, luminosità) dirigendo di conseguenza suoni e movimenti del grande schermo centrale in collaborazione con la musicista Arca e il sound designer Nicolas Becker, venendo a formare un ambiente sonoro e luminoso che partecipa a quello visivo e narrativo.
Ben lontani dal suono assordante che sommerge la fiumana dei visitatori del Louvre. Ovviamente. Il paragone è fuori luogo, certamente. Ma è sul luogo come entità attiva, al pari delle opere, al pari dei visitatori, che si gioca la possibilità di un’ulteriore creazione. Cosa ci lega a quelle opere? E al luogo in cui si trovano? Cosa ci lega agli altri visitatori? Sono le opere a provocare un modo di stare nello spazio e quindi anche di chi lo condivide insieme a noi.
Luglio 2022
1)Une seconde d’éternité, Bourse de Commerce, Pinault Collection, Parigi, fino al 26 settembre 2022.
Opere di: Gonzaléz-Torres/Horn; Parreno/Sehgal/Arca; Lavier; Gander; Gonzalez-Foerster; Broodthaers, Hanson, Cattelan, Stingel, Levine/Sturtevant; Deschenes/Canell/Le Gray/ Cahn/ Weems; Tillmans/Bell/ Huyghe, Cattelan.