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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Guardare a Giuseppe Chiari attraverso Luca Miti

Pasquale Polidori

[Ho coinvolto Luca Miti in un progetto ispirato a Beuys e a Conrad (1), e per questo ci siamo incontrati più volte di recente. Lavoriamo a uno scambio di idee sul significato della linea d’ombra, ovvero una zona di elaborazione, di traduzione, di assorbimento tra vita, arte e linguaggio in una reciprocità e misura non prevedibili. Si tratta di una riflessione che svolgo anche con altri artisti, sviluppando gli stessi temi in direzioni differenti, a seconda del variare dei modi di operare, tra pittura, scultura, musica, ecc. Con Luca, in particolare, lo scambio si è concentrato sui concetti di composizione e spartito, testualità e interpretazione. L’invito di Francesca Gallo a riflettere su Giuseppe Chiari, anche partecipando all’intervista a Luca, si è inserito nel contesto di questi incontri.]
Giuseppe Chiari Gesti sul piano (1963-1999) per la mano destra Inverno 1969-70. Ascolto e vedo per la prima volta Giuseppe Chiari nei concerti del mitico Beat 72. Agisce sulla tastiera di un pianoforte e su alcuni oggetti (mi sembra di ri……re delle ….glie secche e delle castagne). Fino ad allora non concepivo che si potesse………………….. degli ….getti come se fossero strumenti. Chiari li toccava con grande delicatezza, con concentrazione, e sempre ………………….
 
[Luca mi ha offerto alcuni oggetti sui quali basare un discorso. Il primo oggetto è un cd che contiene una esecuzione di Gesti sul piano per opera dello stesso Chiari (2). Il cd ha perso la custodia originale, che era di quelle rigide, la classica scatola a libretto trasparente, ed è ora protetto da una più essenziale bustina con, a parte, quel che rimane della copertina stampata (Fig. 10): due foglietti 12x12 ciascuno, un tempo uniti, di carta secca e rugosa, in diversi punti consumata e illeggibile; il risultato evidente di un disastro acquatico riparato alla meno-peggio, asciugando la carta al sole e poi tentando senza successo di rispianarla. Luca si giustifica dicendo che dal finestrino della macchina, rimasto aperto, era piovuta acqua per tutta la notte (3). I due foglietti si erano appiccicati, e per staccarli si è dovuto sacrificare una parte del testo che accompagna il disco: il testo di Giancarlo Cardini su Giuseppe Chiari che io ricopio, qui in neretto, nelle sue parti rimaste leggibili] (Fig. 11).
Ci ………….…………….. poteva fare un bambino. …………………………….. tempo a conoscenza di partiture contemporanee contenenti, nel gruppo d …………….…………. a …………………… ………………. getti (Cage, Schnebel, Antunes, ecc.), ………….. una cosa im … ortante. ………..……………… ……. …… getti come strumen ……… rcu .. ssi …….……… ra i quali fare dei ritmi, ma come de ………………………… mi da lascia ………………….……… oro materialità grezza, pre-es ………….. .
 
[La domanda che si pone, relativamente a questo primo oggetto – un cd con copertina traumatizzata – è se esso possa considerarsi il risultato di una composizione eseguita, nell’arco di settimane, da un insieme non del tutto individuabile di esecutori (fra cui Miti) attraverso l’uso o l’occorrenza casuale di un insieme non sempre rilevabile di strumenti (fra cui la pioggia, la distrazione, il finestrino rimasto aperto, …). L’oggetto porterebbe le tracce di un concerto non intenzionale o, almeno, non del tutto – se si considera il fatto che lasciare un finestrino aperto, e consentire alla pioggia di battere all’interno dell’automobile facendone uno spazio di risonanza, potrebbe essere comunque frutto di inconsapevole, ma deciso, impulso alla musicalità.]
 
Gli altri compositori invece, di massima, li usavano più per eseguirvi precise figurazioni ritmiche che per goderne il suo … o. …………….. in seguito i pezzi di Chiari per oggetti (come “Rompere”, “La mano mangia il foglio”, “Pezzo per custodia di termometro”, pezzi che ebb ………………………… me funzione anche pedagogica, nel senso che avviarono un’acutizzazione delle facoltà percettive acustiche ……………………… l’attenzione su microfenomeni della vita quotidiana che di solito passano inosservati.
 
[Questo genere di domande sul comporre e sull’eseguire sono al centro delle conversazioni con Miti, avendone delle risposte non sempre soddisfacenti. In verità, la sensazione, a volte, è che sono io che ho posto una domanda sbagliata e incolta, a cui un vero musicista non saprebbe cosa rispondere.
Per esempio io domando: Nelle tue composizioni non è riportato il tempo di esecuzione, non c’è una durata prefissata; in alcuni casi le esecuzioni sono durate settimane, come per l’operetta Forse stanotte… Quella normalmente quanto dura?
E la risposta, che non spiega niente: È variabilissima; la versione ufficiale, quella depositata sul disco, è una mezz’oretta, però alla Sala Santa Rita è durata quasi un mese; da Bianca (al Lavatoio contumaciale di Bianca Menna, ndr.) è durata quindici minuti; ne ho fatte altre versioni di una mezz’oretta, non c’è una durata prescritta.
Oppure, io domando: Si può fare musica con l’attesa di qualcuno, che è un concetto che più astratto non si può, nel senso che non solo non si ascolta l’attesa, ma non si vede neanche.
E lui risponde, calmando il mio senso di smarrimento: E però se lo riporti al linguaggio musicale strettamente inteso, non è niente di più di un ritornello di Chopin che si può omettere in quel punto; esistono ‘ste cose: ripeti oppure no; un po’ d’aleatorietà nella musica c’è da sempre. C’è quel passaggettino… È una questione di tempi e di strutture che rimangono le stesse. Dunque, il visitatore forse arriva e forse no. Quella battuta… E nelle Quattro Stagioni di Vivaldi ci sono due versioni differenti dell’inizio. Siamo lì, insomma.
Allora io lo incalzo: Quindi il ‘forse’, questo avverbio che fa una parte della composizione e che non è rappresentabile… Perché un conto è dire: Libera le farfalle (La Monte Young); Accendi un fuoco (La Monte Young); Fai qualcosa con il corpo e il muro (Chiari)… Questi sono ordini precisi, sono azioni, sono atti scenici, anche se non vogliamo definirli teatrali, li definiamo musicali, ma però siamo al confine… Ma nel momento in cui la composizione prende una strada di pura astrazione, come nel caso di Forse-arriva-il-visitatore-e-forse-non-arriva, dove veramente non c’è nulla, neanche di scenico; è totalmente mentale. Quindi sarebbe come dire: io ti do delle istruzioni per pensare una composizione…
E qui finalmente qualcosa arriva, quando lui mi dice: Ma io ho scritto un pezzo così, in realtà, che è un verso di Juan Ramón Jiménez – Tendere all’infinito è il titolo, guardare verso l’infinito – e la partitura dice: Si ascolti il piano ascoltato da Juan Ramón Jiménez in quella poesia. Qui veramente non c’è più niente. C’è il pianoforte suo, va’ a capire che suonava, quando è stato lo sappiamo, perché c’è la data di composizione della poesia, ma ecco, sì, questo pezzo è un pochino Fluxus. Ma l’ho sentito talmente forte, questo pianoforte ascoltato da qualcuno che non conosco ma di cui ho letto quasi tutto, che io mi sono detto, un pezzettino lo dobbiamo scrivere su questo pianoforte che gli entrava dalla finestra, e che chissà cos’era e lascia aperte mille possibilità. E, nota bene, un’esecuzione sbagliata potrebbe essere che te la fanno ascoltare veramente, come per esempio, metti un disco di Chopin e dici che magari era quello che sentiva lui dalla finestra, cioè il vicino che faceva esercizi al pianoforte. Però è sbagliatissimo ascoltarlo realmente. Perché non è quello; è un altro quello che ascoltava lui.
Io, felice appena della minima certezza, concludo: Dunque l’esecuzione in realtà è impossibile. È rimanere in questa possibilità…
E lui: Una possibilità mentale. Questa è veramente solo mentale.]
 
Per quanto riguarda la pianistica di Chiari, personalmente ho avvicinato per prima la musica gestuale e in seguito quella puramente acustica. La musica gestuale, esemplificata in opere fondamen ………… ………………. “Gesti sul …………………… all’origine del “Trattato teorico-pratico” su come suonare il pianoforte) ed “Espression …………… ……………………. parente ……… …………………………… cancella la tecnica tradizionale, che prevede una corrispondenza precisa dito-tasto ……………………………. nve……………………………………………… altra tecnica che consenta alle dita della mano di esprimersi creativamente nel… mpatto …………………… astiera, sia obbedendo a figurazioni gestuali prescritte dall’autore (in “Gesti sul piano”), sia inventando un campionario di gesti suggeriti da un testo verbale (…. “Espressione).
 
[La composizione Forse stanotte – operetta inutile, a cui si fa riferimento sopra, prevede un apparato scenico costituito da un tavolino, un abat-jour e una sedia (il salottino della vecchia zia, dice Luca). Consta di tre parti e vi sono due esecutori. Nella prima parte, uno (Voce) è seduto e pronuncia una sequela di frasi, fra le quali: Forse stanotte (,) Gli oggetti hanno perso il loro significato (,) Mia madre si è presa il gatto (,) è impossibile parlarne (,) Le mosche (,) Il pianoforte e le luminarie (,) Silenzio (,) … La seconda parte, sottolineata da una cornice tratteggiata, non è certa, ossia potrebbe essere eseguita oppure no; in questa parte della composizione, infatti, è atteso l’arrivo di un visitatore (Voce 2, o il visitatore) che potrebbe giungere a un certo punto a porre delle domande (domande libere su cosa è successo, dice lo spartito), alle quali Voce darà delle risposte libere (Luca mi dice di avere due visitatori: il giorno prima dell’esecuzione, telefona a uno dei due, e questi decide se recarsi o meno all’esecuzione del pezzo; Luca non sa mai in anticipo se il visitatore verrà oppure non verrà, e perciò non si sa se il pezzo sarà eseguito in tutte le sue parti). Infine, nella terza parte Voce carica un carillon e lo lascia suonare fino a esaurimento della carica. Fine dell’operetta. Lo spartito riporta alcune note di esecuzione che riguardano la durata relativa delle parti: Nella durata generale del pezzo la parte della Voce 2 sia molto più breve della durata della Voce. / In altre parole, relativamente alla struttura temporale del pezzo la parte della Voce 2 sia un breve episodio. Ci sono poi altre note che riguardano il modo di eseguire le varie parti, ad esempio: Il visitatore entri in scena ad un certo momento e ne esca una volta terminata la sua parte / In generale il silenzio sovrasti il suono / è possibile rimanere in silenzio (interrogante); analogamente, è possibile rispondere alla domande, tacendo.
Mi colpisce quello che solo apparentemente è un dettaglio: lì dove, nella partitura, si introduce la presenza di un carillon, una nota in basso alla pagina specifica e sottolinea: Quel carillon. È questo il genere di notazione che può minare l’eseguibilità di un pezzo. Cosa significa infatti quel carillon? Nel caso si alluda a un carillon particolare, del quale solo il compositore è in possesso o a conoscenza, allora qualunque altra esecuzione di questo pezzo sarà impossibile.]
 
Quello che risuona è relativamente importante, ha val ………………… …………………….. zione dei suoni, il fatto che chi ……………… come dice Chiari, “debba comportarsi come un bambin ……………………….. …………………………… ntro di sé l’ide ………….. armonia …………………….., non considerare la tastiera una scala; egli deve pensare ………………………………………….. e sue mani una …………… he ……… ………………….……………….. incresparsi, pres ……………morsa sotto il peso delle dita.
 
………………….. Cardini
[Altri tre oggetti su cui basare la conversazione sono le foto che Luca mi spedisce insieme allo spartito di Forse stanotte – operetta inutile. Si tratta di tre ritagli orizzontali, tre strisce che raccontano la composizione dal punto di vista dell’ispirazione, oltre a darne il senso; una specie di sapore triste, nostalgia sfuggente che va a sbattere contro dei frammenti di realtà tanto impenetrabili quanto prosaici. Le foto accompagnavano l’esecuzione dell’operetta alla Sala Santa Rita del Comune di Roma. Era inclusa in una rassegna di installazioni, e Luca sottolinea che qualcuno ebbe da ridire sul fatto che si eseguisse un’operetta; chissà cosa pensavano.
Dice Luca: Quelle sono tre foto preliminari. Stanno sul sito dell’esecuzione più lunga che ho fatto, di un mese, alla Sala Santa Rita: l’operetta, performance, il primo giorno, e installazione nei successivi; vi è rimasto un tavolino, con l’abat-jour, dei suoni; il salottino della vecchia zia, che è una delle tre foto che ti ho mandato (la vista sghemba di un pezzo di ripiano di tavolo da salotto borghese, con sopra un centrino bianco all’uncinetto e un telecomando, e sullo sfondo una vetrinetta in cui si intuiscono dei bicchieri e delle tazze, ndr). La seconda foto, io e il visitatore che eseguiamo l’operetta a Morlupo, le due teste che si vedono un po’ sgranate. La terza è il muro di casa di mia zia, a cui è dedicata l’operetta, un muro che non c’è più perché è crollato ed è stato rifatto.
Luca spiega che all’origine dei suoi lavori c’è sempre una ineluttabilità avvertita in un dato momento dell’esistenza, e cita Webern che a sua volta fa riferimento a Goethe e al concetto di necessità nella Teoria dei colori, per cui tanto il colore quanto il suono ‘chiamano’ alla composizione il soggetto senziente. Sicché ci sono degli elementi nell’esperienza che vanno a costituire una composizione, più che semplicemente ad ispirarla.
Ciò che mi affascina in questi oggetti mandati a me da Luca Miti, è il fatto che li vedo attraversati e coinvolti in una scrittura di cui, volendo andare fino in fondo, non è possibile stabilire né l’inizio, né la fine, né la composizione o dimensione materiale. Per queste partiture, si useranno i termini ‘scrittura’ e ‘lettura’ in modo totalmente metaforico; mentre il termine ‘esecuzione’ richiederà una visione assai elastica e comprensiva di atti materiali e immateriali. Tenere ferma e costante la definizione musicale di questi pezzi, a dispetto della loro apparenza teatrale – il fatto cioè che Luca si rifiuti di lasciarli trapassare completamente nel campo della teatralità e degli altri linguaggi artistici; Luca non sopporta chi si mette a suonare davanti ai quadri scambiando i quadri per degli spartiti – significa intravvedere una ‘scrittura’, ovvero una possibilità di misura o una metrica, lì dove si è andati molto oltre ogni linearità del segno].
Dicembre 2018



1) Pasquale Polidori, La linea d’ombra. Narrazioni e mitologie d’artista, 4 domeniche al Macro Asilo di Roma, febbraio-marzo 2019, a cura di Diletta Borromeo.
2) Daniele Lombardi, Giancarlo Cardini, Silvano Bussotti, Giuseppe Chiari, Suono, Segno, Gesto Visione a Firenze, CD, Arezzo, Atopos, 2006.
3) Quando faccio rileggere il testo a Luca Miti, egli mi invia la seguente precisazione: Un’imprecisione. Trattandosi di un nodo piuttosto centrale della tua interpretazione, chiamiamola così per comodità, benché forse non essenziale, devo dirti che non si trattò allora di un finestrino dimenticato aperto, ma di una falla da qualche parte nella carrozzeria, che peraltro il povero Pietro (il mio carrozziere/barbone di fiducia) non riuscì a risolvere. Dovevo dirtelo, per precisione. Vedi te che farne, di questa precisazione.
Queste righe dimostrano la straordinaria puntualità di un musicista abituato, per esempio, ad accogliere e confrontarsi con fenomeni aleatori e durate indefinite, purché in tal senso vi sia una chiara iscrizione negli spartiti. Se il ‘comporre’ equivale sempre a un ‘precisare’ – precisare la posizione e il valore delle note, l’andamento, i modi dell’esecuzione, ecc., tutto quel che tradizionalmente va a collocarsi sul pentagramma – allora quando, come nel caso di Miti, si ha a che fare con un materiale musicale fortemente implicato nell’esistenza e nella fattualità del suono, non si potrà tollerare nessuna approssimazione né uno scambio di supposta equivalenza tra le cose della vita, ovvero, in parte, i materiali del comporre. Perciò, non è affatto la stessa cosa dire: un finestrino dimenticato aperto, o dire: una falla da qualche parte nella carrozzeria. Questo scambio, che dal punto di vista dei risultati non fa alcuna differenza, dal punto di vista musicale equivale a un errore di n