Un intervento site-specific di David Tremlett alla Galleria Alfonso Artiaco di Napoli
Le lievi ma monumentali campiture di David Tremlett si stagliano sulle pareti delle ariose sale della galleria Alfonso Artiaco, nel centro storico di Napoli, e quasi si confondono con le lame di sole che trapassano gli infissi, dilatando l’ambiente e la sua percezione. L'intervento dell'artista britannico non può ignorare lo spazio in cui si colloca, la site-specificity è una sua cifra essenziale. È così che le modanature che incorniciano i soffitti e decorano le antiche porte in legno dipinto in bianco e oro si trasformano in elementi di modulazione (illusoria) delle pareti, stabilendo una continuità tra le due e le tre dimensioni, tra le componenti decorative e quelle strutturali, e riprendendo allo stesso tempo il dialogo con l'esterno, in un rimando cromatico al cielo che si apre oltre le alte balconate e alle facciate in giallo Napoli e grigio dei palazzi d’intorno.
Come paesaggi architettonici nell'architettura della galleria, i costrutti bidimensionali di Tremlett propongono ulteriori spazi possibili, senza mai negare la continuità con quello preesistente, fatto di pietra e intonaco. Ma allo stesso tempo, in quella perfezione algebrica tra forme, proporzioni, colori e superfici, si avverte sussurrata un'impronta umana, contingente. È il corpo dell'artista che si fa strumento della pittura; messi da parte rulli e pennelli, le mani, talvolta aiutate da un panno, stendono il colore facendogli spazio sulla parete, quasi fosse un impasto da allargare. Le campiture assumono allora spessori e trasparenze, andamenti direzionali e concentrazioni, alla ricerca di un nuovo piano di equilibrio.
Se le geometrie che si bilanciano sui piani in sequenza dei pastelli su carta esposti nelle altre sale – frutto degli ultimi tre anni di lavoro – sembrano richiamare a un possibile, ma ormai trasfigurato, debito di origine costruttivista, l'intervento del colore tenue nello spazio sembra piuttosto rivolgersi allo stesso tempo a Giotto e a Ettore Spalletti, passando per Piero della Francesca, come a suggerire una certa sacralità dell'esperienza, intrisa di reminiscenze dell'arte e dell'architettura italiane. In effetti, il rapporto di Tremlett con l'Italia è di lunga data, ed è qui che l’artista è intervenuto forse più che in ogni altra parte del mondo. Per la prima volta a metà degli anni '70, invitato a Bari dalla gallerista Marilena Bonomo (1), poi attraverso Massimo Valsecchi e lo stesso Artiaco; ma nel giro di un decennio la sua presenza nel nostro paese diventa assidua, e dai primi anni '90 ad oggi non passa anno in cui non realizzi mostre e wall drawing in gallerie, spazi pubblici, residenze private e musei, dalla Puglia alle Langhe (2). «È stato molto affascinante vedere la vostra lunga tradizione di artisti che fanno opere sui muri e sui soffitti» afferma Tremlett (3), riferendosi alla pittura murale di epoca medievale e moderna. D'altro canto è proprio il dialogo con il passato a risultare per lui più stimolante: «Preferisco i palazzi vecchi a quelli nuovi. Su questi ultimi è più facile lavorare perché è tutto nuovo. E poi mi piace l’architettura dei palazzi vecchi. Riesco a creare un dialogo tra qualcosa di nuovo e qualcosa che nuovo non è più» (4). E occasioni in questo senso ne ha avute molte, confrontandosi con Medioevo, Rinascimento, Barocco, con i numerosi interventi in luoghi di natura diversa, da fortezze a residenze nobiliari, da edifici religiosi a spazi urbani (5).
L’intervento site-specific, si diceva, è costante imprescindibile del suo lavoro; in questo senso, persino la sua tavolozza non è un assunto di principio, ma scaturisce dal luogo allo stesso modo in cui il colore stesso è emerso gradualmente nel suo lavoro, dopo un esordio dominato principalmente dalle scale di grigi della grafite (6). Al contempo, dalla plastica delle tre dimensioni, indagate attraverso materiali poveri come legno, metallo o pietre dei primissimi lavori approda, come per estrema sintesi della forma, alle due dimensioni, continuando tuttavia a considerare la propria opera come scultura: se il colore è anzitutto concepito come materia (7), ciò che interessa in primo luogo all’artista è la texture che può essere ottenuta mediante sfumatura del pastello sul muro (8).
L’interesse verso il territorio di ogni suo intervento, peraltro, è strettamente connesso con la rilevanza che per l’artista ha il viaggio, la scoperta di nuovi luoghi. È a partire da una di queste esperienze che affianca, alle campiture a pastello, la pittura murale a mano, sperimentata durante un viaggio in Africa. Parallelamente, Tremlett sviluppa il suo vocabolario espressivo fatto di pochi segni essenziali, e tuttavia non universali ma intrinsecamente legati al paesaggio – architettonico, culturale, naturale – da cui emergono (9), elaborati attraverso un duplice processo di riduzione estrema e massima amplificazione: «Starting from an incospicuous, seemingly banal element, he tries to give shape to the totality of a specific experience with his own, deliberately reduced possibilities. In his sketchbooks, he jots down his travel report, using stylized shapes he borrows from existing ones (a twig, a leaf, a bird) or from ornamental decorations and symbolic signs from local cultures. These sketches - or a careful selection of them - is synthesized in monumental pictograms. Thus a fleeting impression is made into a universal image with archetypal pretensions via the artist's personal visual language» (10).
Sembrerebbero destinate a durare a lungo, quelle forme dai colori tenui e resistenti insieme, ma le pareti della galleria Artiaco sono palinsesti su cui spesso si susseguono interventi in situ (di Edi Rama e di Sol LeWitt, tra gli ultimi). Tuttavia, nella consapevolezza che il muro può essere un supporto ben più volubile di quanto appaia, la durata delle opere nel tempo non è una priorità per l’artista: «se scompaiono, scompaiono; se resistono, resistono. E mi va bene così» (11).
20 luglio 2020
1) Scrive l’artista: «la storia inizia nel 1974 quando sono venuto a Bari, il primissimo posto in cui sono stato in Italia. Da allora questa città è cambiata molto. Ero stato invitato da una donna molto interessante, Marilena Bonomo», intervista a cura di Cecilia Dardana, Tremlett nelle Langhe: «L’Italia è la mia tavolozza», in «Corriere della Sera», Living, 5 giugno 2019: https://living.corriere.it/tendenze/arte/david-tremlett-wall-drawing-langhe
2) Cfr. https://davidtremlett.com
3) David Tremlett in Cecilia Dardana, cit.
4) Ibidem.
5) Fuori da musei e gallerie, numerosissimi sono stati gli interventi di Tremlett sul territorio italiano: Wall Drawings (3 Rooms, 1 Corridor), Castello Falletti di Barolo, Barolo, Cuneo, 1997; Wall Drawings, Ceiling Drawings, Floor, Windows, Cappella del Barolo, La Morra, Cuneo, 1999; Walls, Ceiling and Floor, Cappella di Santa Maria dei Carcerati, Bologna, 2003; 6 Wall Drawings, Logge di Piazza del Popolo, Montalcino, 2006; Wall Drawings, Villa Caldogno, Vicenza, 2006; 5 Wall Drawings, Castello di Formigine, Bologna, 2008; Portico Drawing, Chiesa della Beata Vergine Assunta, Morterone, Lecco, 2010; Space Change, Forte di Bard, Aosta, 2010; Drawing for A. Palladio, Villa Pisani Bonetti, Bagnolo, Vicenza, 2010; Multiple Forms, Beata Maria Vergine del Carmine, Coazzolo, Asti, 2017; Ceiling #100, Palazzo Butera, Palermo, 2018; Drawing for Open Space, Relais San Maurizio, Santo Stefano Belbo, Cuneo, 2019; Wall Surfaces (27 Stops - Bari), Complesso di Santa Chiara, Bari, 2019; Via di Mezzo, Ghizzano di Peccioli, Pisa, 2019; Walls of San Michele, Cappella di San Michele, Serravalle Langhe, Cuneo, 2020.
6) Cfr. Antonella Soldaini, “Qualcuno ha fatto qualcosa su un muro”, in David Tremlett. Drawn Rubbed Smeared, catalogo della mostra, A Arte Studio Invernizzi, Milano, 2009, p. 11.
7) Cfr. David Tremlett in Cecilia Dardana, cit.
8) «Although, since 1976, David Tremlett has concentrated on making monumental pastel drawings mainly, he considers himself a sculptor rather than a draughtsman or painter. [...] it is his preference for the texture of the pastel with which the 'sculptures are 'modelled' in the neatly staked out space, that draws the link with sculpture», Lieven Van Den Abeele in Viewpoint. British art in the 1980s, catalogo della mostra, Musée d’Art Moderne, Brussels, 1988, p. 22; scrive l’artista in un’intervista con Achille Bonito Oliva: «I believe that whether is blacks and greys or primary colours or strange mixtures they are the bricks, the clay, the steel and the marble of my constructions», vd. “Biography and Bibliography”, in https://davidtremlett.com, poi pubblicata in Achille Bonito Oliva, Enciclopedia della parola. Dialoghi d’artista 1968-2008, Milano, Skira, 2008.
9)«[David Tremlett] belongs to the generation of artists who, like Richard Long and Hamish Fulton, decided to set no geographical boundaries on the territory they would explore. Even the most remote areas of the world were regarded as legitimate arenas, and the form assumed by the images they produced arose directly from their experience of the land itself», Richard Cork, Introduction, in Viewpoint, cit., p. 2.
10)Lieven Van Den Abeele, cit.
11) David Tremlett in Cecilia Dardana, cit.
