www.unclosed.eu

arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

L’architettura e il design a più voci e in più lingue

Daniela De DominicisIcoPDFdownload

Si è conclusa da poco la Milano Design Week, la settimana del design (1). Oltre al Salone del Mobile, ospitato a Rho Fiera, numerose sono state le mostre e le iniziative del Fuori Salone, articolate in tutta l’area urbana, che hanno indagato le trasformazioni dell’ambiente domestico, sia già in corso che attese nel futuro prossimo. Presso il MEET-Digital Culture Center (2) ha preso vita l’installazione immersiva The Global Home promossa dallo studio multidisciplinare Space Popular (3) che ipotizza nuovi scenari abitativi: stanze interconnesse in continua trasformazione per adattarsi alle esigenze di chi vi abita e vi lavora. A questa installazione si affianca il documentario Tomorrow Living (4) in collaborazione con l’Huawei Milan Aesthetic Research Center, il gruppo di ricerca del gigante cinese delle telecomunicazioni, che illustra il punto di vista di trenta creativi del settore sul ruolo della tecnologia nella quotidianità. Da questa edizione milanese emerge l’indicazione di un prossimo abitare contenuto negli spazi (5), ad elevata vocazione tecnologica per la gestione delle necessità quotidiane, perennemente connesso con il mondo e sensibile, quanto mai prima, alla sostenibilità: una casa intelligente dunque che si modula sui bisogni umani in termini di temperatura, di luce, di versatilità degli spazi e degli arredi. Queste unità abitative, dalla metratura contenuta, implicano giocoforza ambienti polifunzionali e i mobili, di conseguenza, sono progettati come flessibili: elementi divisori che si trasformano in mobili contenitori, oppure superfici di seduta che diventano all’occorrenza piani di appoggio, meglio se a scomparsa e quindi in grado di liberare spazio o viceversa utilizzati per definire piccole aree di attività individuale (6).
Nulla di nuovo però: straordinariamente in sintonia con tutto ciò, appare la casa progettata nel 1963 da Ettore Sottsass per lo stampatore Giovanni Lana a Milano e ora ricostruita nel suo nucleo centrale, con un allestimento permanente, negli spazi della Triennale. Si tratta di una stanza nella stanza (7), pensata come una sorta di piazzetta quadrata circondata da camminamenti, al centro della quale si può sostare e sedere, protetti da calde pareti di legno che delimitano ma non chiudono. Questo progetto, di una modernità sorprendente, trova origine proprio nella richiesta della committenza di uno spazio compatto, versatile e polifunzionale, ma non è l’unico omaggio ai pionieri del design presente nella rassegna milanese. Nella galleria Antonio Colombo infatti è stata riproposta, con una ricostruzione ambientale perfettamente corrispondente all’originale, la camera da letto con gli arredi progettati da Eileen Gray (8) per la villa E-1027(9) a Roquebrune-Cap-Martin, nel Sud della Francia, avviata nel ’24 e ultimata nel ‘29. Una villa razionalista che la Gray firma insieme a Jean Badovici e che dà forma, con lieve anticipo temporale, alle idee che negli stessi anni Le Corbusier stava teorizzando. Viene descritta come una sorta di battello che la marea ha incastrato sulle rocce, con i balconi in lunghezza definiti da ringhiere metalliche come i passaggi ponte sulle navi, le finestre diverse in funzione dei venti e del sole. Nel numero speciale dedicato nel ’29 a questa costruzione da Badovici sulla rivista L’Architecture Vivante da lui diretta, l’autore invita a non concentrarsi esclusivamente sul rigore e l’austerità dell’esterno ma a prestare attenzione anche al ricercato confort degli spazi e degli arredi interni. Tra i mobili più famosi qui presenti, realizzati con il tubolare metallico e le forme determinate dalla necessità d’uso, in assoluta sincronia con il design d’avanguardia non si possono non menzionare la poltrona Transat (10), la seduta Bibendum (11), il tavolino E1027. Mobili a tutta prima prodotti artigianalmente dall’atelier parigino della Gray e attualmente ambite icone del design modernista (12). A lungo negletta o citata come figura marginale della galassia Le Corbusier, la designer ha cominciato a veder riconosciuto il proprio lavoro a partire dall’articolo che nel 1968 lo storico dell’architettura Joseph Rykwert le dedica sulle pagine di Domus (13). Probabilmente sulla sua limitata fama ha pesato non poco il rapporto conflittuale con Le Corbusier che era intervenuto con otto murales sulle pareti immacolate della E-1027, un’interferenza che Eileen Gray ha vissuto come una profanazione e un insulto tanto da non mettervi più piede. La villa, dopo un lungo periodo di abbandono, è stata rilevata dallo Stato, dichiarata opera di interesse nazionale e oggetto di un accurato restauro; dal maggio 2021 è aperta alla pubblica fruizione. La rivalutazione della Gray fa da contrappunto a quella di Charlotte Perriand, designer attiva nello studio di Le Corbusier, alla quale solo recenti studi (14) hanno ricondotto la progettazione di mobili da sempre attribuiti viceversa all’architetto svizzero. Un’attenta ricostruzione del suo Bar sous le toit presentato al Salon d’Automne del 1927 con le famose fauteuils pivotants (poltrone girevoli) ha permesso infatti di fugare ogni dubbio su chi sia stata la vera progettista di quest’icona del modernismo che le è stata a lungo indebitamente sottratta. 
Si può ben dire che ogni epoca si scelga il proprio passato. Più che una successione di eventi consolidata, la Storia sembra una materia plasmabile cui dare di volta in volta una forma diversa. Un’inedita sensibilità, nuove ricerche documentarie, sopraggiunti orientamenti ideologici, possono innescare una lettura diversa del tempo che ci ha preceduti. La 59. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, per esempio, che ha visto la valorizzazione delle artiste di origine africana attualmente sostenute dall’ondata degli studi post coloniali, intende contribuire a ridefinire il paesaggio dell’arte del ‘900 includendovi nomi completamente ignorati dalla storiografia. Nelle cinque Capsule Storiche (15) disseminate lungo il percorso espositivo infatti, si susseguono le testimonianze dei contributi inediti, soprattutto femminili, per una riscrittura della Storia dell’arte occidentale. Si tratta di ricerche innovative di livello alto e sorprende come un numero considerevole di queste afferisca alla scuola della Bauhaus, considerata la quintessenza della mentalità progressista della Repubblica di Weimar. Ma anche qui, nella culla della Neue Frau (16), al momento dell’iscrizione le ragazze venivano orientate ai corsi di tessitura, rilegatura e ceramica, ritenuti più adatti per le donne. Per cui non sorprende che nomi come Marianne Brandt, Gertrud Arndt – che prende addirittura il nome del marito Alfred (17) – Karla Grosch, Lavinia Schulz, tutti presenti in questa Biennale, risultino tutt’oggi sconosciuti ai più (18). Sempre nell’ambito della Bauhaus e nella linea di una riscrittura storica va inserito l’originale testo di Jana Revedin, La signora Bauhaus (19) che indaga la figura di Ise Frank conosciuta finora solo per essere stata la seconda moglie di Walter Gropius. Pur basato su accurate ricerche documentarie e interviste agli eredi negli Stati Uniti, il testo si presenta nella forma lieve del romanzo e, con la vivacità e la freschezza di un film a colori, ci restituisce i protagonisti e il clima storico-culturale dell’epoca. La giovane Ise Frank (20), figlia dell’alta borghesia industriale tedesca e quindi consueta a rassicuranti ambienti Biedermeier, abbraccia senza riserve la causa della nuova scuola di orientamento razionalista diventandone un’abile promotrice. Capisce prontamente la pericolosità del Nazionalsocialismo nascente e si impegna acciocché la filosofia del Bauhaus venga conosciuta fuori dai confini tedeschi promuovendo esposizioni (21) con foto e documentari (22) che permettano alla scuola di sopravvivere a sé stessa e non è peregrino pensare che, senza tutta questa attività di propaganda, oggi non disporremmo del materiale necessario per apprezzare appieno lo spessore di questa esperienza. Dopo la chiusura della sede di Weimar, oltre a reperire finanziamenti e interlocutori politici per la nuova sede dell’Istituto, a dare forma scritta ai pensieri di Gropius nonché a seguire le cause legali della scuola, Ise Frank sperimenta nella propria unità immobiliare di Dessau – la prima delle Meisterhaus – le idee che Bruno Taut andava teorizzando (23) ispirate agli studi ergonomici delle industrie statunitensi. Ne emerge una casa votata alla funzionalità, che abbandona la visione borghese degli ambienti. La cucina mette in atto soluzioni razionali per evitare gli spostamenti a vuoto di chi vi opera e si arricchisce di un’infinità di macchinari per ridurre il tempo dedicato alle attività domestiche senza troppo interferire con la vita della donna che lavora fuori casa. Due anni dopo, una produzione sistematica su scala industriale basata sugli stessi principi, renderà famosa la cucina di Francoforte e il nome della sua progettista, Margarete Schütte-Lihotzky.
L’urgenza della flessibilità degli spazi e degli arredi sembra dunque creare un ponte tra alcune delle esigenze contemporanee appena evidenziate dalla rassegna milanese e le ricerche delle avanguardie architettoniche tra le due guerre rispetto alle quali emerge sempre più chiaramente il contributo femminile alle proposte avanzate. Contributo che anche il Vitra Design Museum di Weil am Rhein, in Germania, ha da poco indagato con un’ampia rassegna sulle donne designer (24) degli ultimi 120 anni di storia, sottraendone alcune all’oblio (per esempio le artiste della scuola russa di Vchutemas o quelle delle officine Hellerau di Dresda) e riposizionandone altre.  Ma si tratta pur sempre di una riscrittura della Storia relativa al Nord del mondo. Viceversa un’operazione ancora più innovativa è quella promossa dalla Bloomsbury Global Encyclopedia of Women in Architecture che da qualche anno ha lanciato un progetto di mappatura globale delle donne attive in questo campo dal 1960 al 2015. Sul sito dell’enciclopedia si legge che le donne sono attualmente la metà degli iscritti nelle facoltà di architettura ma mancano loro riferimenti storici e il progetto in atto intende proprio colmare questo vuoto. Si tratta di una raccolta dati a cura di esperti del settore su base geografica globale che intende quindi tener conto di punti di vista diversi sottraendo all’Occidente il ruolo guida che finora la sua cultura si è garantita.
Tra qualche anno la storia dell’architettura e del design non sarà più la stessa, la nuova parlerà lingue diverse, sarà polifonica ed inclusiva.

Luglio 2022
 
1) Milano Design Week, 6-12 giugno 2022.
2) Il Meet-Digital Center, già Spazio Oberdan, fondato nel 2018 per promuovere l’aggiornamento informatico, è di proprietà della Fondazione Cariplo e attualmente diretto da Maria Grazia Mattei.
3) Space Popular è uno studio di design fondato nel 2013 a Bangkok dagli architetti Lara Lesmes e Fredrik Hellberg. Ha sedi a Londra e in Spagna e progetta ambienti e oggetti reali e virtuali. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..
4) Il documentario Tomorrow Living, articolato in quattro sezioni (Responsive, Resilient, Restorative, Responsible), è curato dall’olandese Robert Thiemann fondatore e direttore della rivista Frame.
5) Tra le più recenti proposte per micro case, è stata presentata al salone A-House di 25mq prodotta da Tiny Company, costruttore leader in questo settore, progettata dallo Studio Perspektiv della Repubblica Ceca.
6) Tra gli esempi di arredo polifunzionale vi è la proposta Hug del duo Giulia Piovesan e Barbara Medeot che in funzione delle diverse modalità di assemblaggio può essere parete divisoria, culla, mensola, sedia etc.
7) “Una stanza nella stanza” è il titolo dell’articolo con cui Ettore Sottsass pubblica su Domus il suo progetto nel settembre 1967
8) Kaithleen Eileen Moray Gray (1878-1976), designer e architetto irlandese, espone per la prima volta i propri mobili nel 1922 all’Union des Artistes Modernes a Parigi ottenendo un considerevole successo. In questa circostanza fa la conoscenza degli architetti olandesi di De Stijl e ne ricava un apprezzabile riscontro internazionale. Realizza due unità abitative: la villa E-1027 e Tempe a Pailla a Castellar sulle Alpi Marittime. La divergenza con Le Corbusier sarà fatale per la sua attività che verrà valorizzata tardivamente. Nel 2013 il Centre Pompidou le dedica una monografia. 
9) E-1027 è un’originale titolazione alfa numerica nella quale E sta per Eileen mentre i numeri esprimono la posizione che le iniziali dei due autori, Eileen Gray e Jean Badovici, hanno nell’alfabeto (10 per J; 2 per B; 7 per G). Nel 2015 alla costruzione della villa è stato dedicato il film The Price of Desire di Mary McGuckian.
10) La poltrona Transat deriva il nome da Transatlantic perché utilizzata sui ponti delle navi transoceaniche.
11) Bibendum è la poltrona realizzata da Eileen Gray tra il 1925 e il 1926 per l’appartamento di Madame Mathieu Lèvy. Richiama nel titolo e nella forma imbottita l’Omino Michelin pensato da O’Galop nel 1898 per la Michelin.
12) Eileen Gray ha firmato nel 1973, all’età di 95 anni, un contratto con l’azienda londinese di Zeev Aram per la produzione in serie dei suoi mobili e delle sue lampade. La bavarese ClassiCon ne ha ottenuto successivamente la concessione esclusiva.
13) Joseph Rykwert, “Un omaggio a Eileen Gray, pioniera del Design”, Domus, n 468, dicembre 1968
14) Fondamentale per il riposizionamento di Charlotte Perriand è stata la retrospettiva promossa nel 2019 dalla Fondazione Vuitton. Cfr. Jacques Barsac et al. (a cura di), Le Monde Nouveau di Charlotte Perriand, cat. mostra, Fondation Louis Vuitton, 2 ottobre 2019 - 24 febbraio 2020.
15) La curatrice, Cecilia Alemani, ha chiamato Capsule Storiche i focus tematici dedicati a personalità ingiustamente escluse dalla storia dell’arte. I titoli delle Capsule, tutti di marca surrealista, sono: La culla della strega, Corpo orbita, Tecnologie dell’incanto, Una foglia un guscio una rete una borsa una tracolla una bisaccia una bottiglia una pentola una scatola un contenitore, La seduzione del cyborg.
16) Dopo l’esperienza vissuta nel corso della prima guerra mondiale in cui gli uomini occupati al fronte sono stati sostituiti dalle donne ovunque ce ne fosse stato bisogno, si è innescato per queste ultime un processo di emancipazione non più reversibile che si è tradotto anche in un abbigliamento agile e snello nonché nel taglio dei capelli alla garçonne (termine diventato di moda dopo la pubblicazione del romanzo di Victor Margueritte, La Garçonne, 1922).
17) Il suo nome è Gertrud Hantschuk. Alla Biennale del 2022 sono presenti le sue ricerche fotografiche nelle quali si ritrae in molteplici travestimenti che sembrano anticipare quelli attualmente proposti dall’artista statunitense Cindy Sherman.
18) Numerosi sono in tempi recenti i saggi dedicati ai contributi delle studentesse all’interno della Bauhaus. Tra questi si segnala Anty Pansera, 494. Bauhaus al femminile, Nomos edizioni, 2021.
19) Jana Revedin è professore ordinario di architettura e urbanistica all’Ecole spéciale d’architecture di Parigi. Il testo La signora Bauhaus è stato pubblicato da Neri Pozza nel 2020. 
20) Ise Frank (1897- 1983) ha ventisei anni quando nel 1923 sposa Walter Gropius, all’epoca quarantenne.
21) Tra le mostre più importanti del Bauhaus si ricordano quella a Parigi del 1930 per il Salon des Artistes Décorateurs al Grand Palais e nel 1938 al MoMA.
22) La documentazione fotografica sostenuta da Ise Frank è quella Irene Hecht. I documentari, prodotti dalla Humboldt Film GmbH (1926-28) sono quattro, raccolti con il comune titolo Wie wohnen wir gesund und wirtschaftlich? (Come vivere in modo sano ed economico?). 
23) Bruno Taut, La nuova abitazione. La donna come creatrice, 1924.
24) Vivienne Stappmanns, Nina Steinmüller, Susanne Graner (a cura di), Here We Are! Women in Design 1900-Today, Vitra Design Museum, Weil am Rheim, settembre 2021-marzo 2022