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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

Più grande di me. Voci eroiche dalla ex Jugoslavia al MAXXI

Francesca VellaIcoPDFdownload

Rinviata causa Covid-19 – medesima sorte sopraggiunta alla maggior parte delle manifestazioni artistiche di quest’ultimo periodo – il 5 maggio 2021 è stata inaugurata al museo MAXXI di Roma la mostra Più grande di me. Voci eroiche dalla ex Jugoslavia.
Il progetto è dedicato all’arte e alla storia della penisola balcanica e sono esposte opere di 54 artisti, tutti provenienti dagli Stati sorti in seguito alla disgregazione della Jugoslavia. La mostra è organizzata attorno ad un nucleo storico centrale, che spazia dal secondo dopoguerra fino ad arrivare ai fatti e agli eventi che hanno caratterizzato i conflitti civili degli anni Novanta. Non si tratta tuttavia di una mostra incentrata banalmente sulla guerra, bensì sulle persone, le comunità ed i popoli che sono stati travolti da questo conflitto.
All’interno degli spazi della Galleria 3 si diffondono capillarmente gli otto nuclei tematici attorno ai quali è organizzata la mostra: libertà (democratica), uguaglianza (di genere), fratellanza (intesa come tutela dei diritti dei lavoratori), speranza (nell’edificazione di spazi accessibili e funzionali a tutti), rischio (dei processi di automatizzazione causati dalla società dei consumi), individuo (ossia la limitatezza dei processi decisionali individuali), alterità (come accettazione dell’Altro) e metamorfosi (intesa come la relazione che intercorre tra uomo e natura). Le prime quattro sezioni sono contrassegnate dal colore azzurro ed affrontano tematiche più strettamente legate al passato, a quegli ideali, pensieri e convinzioni per i quali si era anche disposti a sacrificare le proprie vite; le altre quattro sono distinte dal colore rosso e si riferiscono prettamente a questioni emergenziali inerenti al presente, alla contemporaneità. Tale divisione cromatica, non vuole però indicare un’obbligatorietà, un condizionamento o un vincolo nello svolgimento del percorso della mostra, che resta assai libero e indipendente.
Ancor prima di accedere allo spazio espositivo, nel piazzale del MAXXI ci si imbatte nell’opera fotografica di Igor Grubić Anđeli garavog lica – Angels with Dirty Faces (1). Si tratta di nove ritratti di minatori del bacino di Kolubara (Serbia) che nel 2000 hanno contribuito – con il loro sciopero – alla caduta del governo di Slobodan Milošević. Ad essi sono state disegnate delle ali bianche, che li fanno rassomigliare a degli angeli, ma con i volti sporchi di fuliggine. Sono immagini grandi, monumentali, iconiche che in qualche modo vanno a celebrare l’importanza che tali lavoratori/attori hanno avuto nel cambiamento della politica contemporanea. Se prima, durante il Socialismo, la figura del lavoratore veniva onorata, esaltata e considerata come un fondamento della società, apparendo nei media, sulla stampa, in televisione, adesso questo tipo di immagini non compare più sui mezzi di comunicazione. L’intento diventa quello di celebrare la figura dell’uomo ordinario, che tuttavia diviene il simbolo di una certa tipologia di eroe. Sono angeli dalle facce sporche, emblema di un paradosso che vede da una parte i lavoratori che hanno difficoltà a guadagnare e vivono sulla soglia della povertà, ma hanno coscienza e mani pulite, dall’altra i politici, i manipolatori, che a causa della loro avidità e della violenza che usano nei confronti delle persone, posseggono viceversa coscienza e mani sporche.
Il visitatore è accompagnato simbolicamente, sulle scale che conducono all’entrata – e allo stesso tempo all’uscita – della mostra, dall’opera di Nada Prlja What Would Happen if We Succeed? (2), dodici alberi di betulle di cui l’artista invita a prendersi la responsabilità della sopravvivenza, attraverso la presenza di un annaffiatoio collocato al fianco dei vasi.
Di forte impatto è Synthetic zero di Andrej Škufca (3), una massa astratta e amorfa, che rende visibile la forza nascosta del capitalismo globale, quella forza che ci domina e ci controlla al giorno d’oggi. Se la globalizzazione sta determinando, da una parte, una sempre più facile e veloce circolazione di merci, informazioni e capitali, dall’altra non ha però comportato un altrettanto libero spostamento delle persone. Il grande paradosso sta nel fatto che il largo dinamismo economico e sociale messo in moto, va a scontrarsi con un sostanziale immobilismo.
Sulla lunga parete sinistra, trova collocazione il collettivo IRWIN con Was ist Kunst Bosnia and Herzegovina – Heroes 1941-45 (4), l’opera più consistente della mostra. Cento opere pittoriche sono state ritrovate, raccolte e incorniciate con le tipiche cornici nere del collettivo, nel deposito del Museo storico della Bosnia ed Erzegovina a Sarajevo. I dipinti sono stati realizzati tra 1941 e 1945 da artisti bosniaci per lo più sconosciuti e raffigurano personaggi dimenticati, ma che hanno fatto parte della storia. Sono figure eterogenee, eroi civili (ingegneri, studentesse, medici), eroi del popolo, figure che hanno restituito un messaggio di vera e propria resistenza per la liberazione della Jugoslavia e che hanno sacrificato le proprie vite, mettendole al servizio del bene comune. D’altra parte: «ogni epoca dà dell’eroismo una definizione diversa, ma ciò che è comune a tutte le epoche è la constatazione che un atto eroico può avvenire esclusivamente in un contesto sociale, in relazione a un’altra persona» (5).
La serba Milica Tomić è presente con la doppia performance dal titolo One day, instead of one night, a burst of machine-gun fire will flash, if light cannot come otherwise (6), realizzata prima a Belgrado e successivamente a Roma. In entrambe le occasioni, l’artista cammina per le strade con una busta della spesa in una mano e nell’altra un fucile, emblema e simbolo non solo delle guerre succedutesi in Jugoslavia, ma anche un ricordo della resistenza nel secondo dopoguerra a Belgrado e a Roma. L’arma viene portata non come un simbolo di minaccia, ma come una possibilità.
In un mondo accomunato da problematiche sempre più similari, tra di esse la principale appare essere la perdita del senso di società, di collettività, di comunità. Ecco, dunque, che si avverte la necessità della creazione di una società della solidarietà, della cura, che vada oltre l’antropocentrismo, che vede in una posizione centrale l’essere umano, il quale sta distruggendo il pianeta con le sue industrie capitaliste. Emergenze concrete e reali, che non sono solo legate ai Balcani, ma relative a tutto il mondo. Viene quindi da chiedersi: come costruire una società oggi? Forse l’unica via possibile è quella della pluralità: una società può essere costituita da molti gesti eroici di individui all’interno di una collettività.
Da ciò non può essere disgiunta la tutela della vita umana, del diverso da noi, dell’Altro. L’Altro è sempre stato un capro espiatorio utile a nascondere problemi più complessi da risolvere o interessi più difficili da confessare. La rappresentazione dei migranti come un problema economico o di sicurezza pubblica o come minaccia alla cultura o alla coesione di una comunità è spesso un espediente semplice, con cui fuggire temi fondamentali come la necessità di nuovi modelli economici equi, sostenibili, inclusivi, coerenti con l’esistenza di una società globale.
È a queste tematiche che si ricollega il lavoro di Nika Autor Newsreel 65 – We Have too Much Things in Heart… (7), con il quale vengono messi in evidenza gli accadimenti legati alla rotta balcanica, le vite quotidiane, i tentativi e i fallimenti dei rifugiati – in un campo tra la Bosnia e la Croazia – di attraversare i confini dell’Unione Europea (8). Emerge poi il discorso di un uomo, che parla del suo desiderio di essere accettato in Europa, di avere una vita quanto più normale possibile e di come la polizia lo abbia percosso quando tentò di oltrepassare la frontiera.
Una riflessione sulle ragioni che spingono alla mobilità umana conduce a puntare l’attenzione sull’umanità stessa, su quel conflitto intrinseco agli esseri umani tra bisogno di radici, di sicurezza, di certezze e un bisogno opposto, quello di trascendere le radici, andare alla scoperta, emanciparsi.
Lo studio dei movimenti migratori, dei processi di scambio e di integrazione tra le genti ad essi legati è uno strumento fondamentale per comprendere la genesi delle società contemporanee, per contrastare i timori e le ansie che l’ignoto può suscitare, per attrezzarsi ad affrontare, con cognizione di causa e memoria di quel che è stato, i problemi e i dilemmi che ogni processo umano – inevitabilmente – solleva.
Il rischio più considerevole nel quale poteva incorrere una retrospettiva sul territorio balcanico – come questa allestita al MAXXI – era quello di una banalizzazione delle tematiche e dell’area presa in esame. Al contrario, in questa occasione il discorso si articola su questioni inedite: vengono messe in luce le gesta di eroi della ex Jugoslavia, le riflessioni sulla tradizione della Jugoslavia socialista, sulla lotta di liberazione partigiana e su alcuni lati positivi del Socialismo, come la valorizzazione dei lavoratori o il fatto che – almeno a livello dichiarativo – le donne erano poste sul medesimo livello degli uomini. Emergono voci di persone comuni, ordinarie, che qui sono assunte ad eroi: «Sono voci che non si accontentano delle interpretazioni accomodanti, indagano gli intrecci dei nazionalismi e le torsioni del capitalismo neoliberista, raccontano un’altra visione della persona e delle comunità. A ben vedere, evocano un’Europa diversa, sostenibile, sociale» (9).
L’obiettivo diventa quello di superare l’interpretazione eccezionale delle vicende della penisola balcanica, nel tentativo di un suo ricollocamento nella più ampia storia europea e globale, attraverso una valorizzazione di quelle dinamiche di scambio, di influenza, di sviluppi transnazionali, che hanno contraddistinto la regione, sia nel passato che nel presente.
20 luglio 2021
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1) Igor Grubić, Anđeli garavog lica – Angels with Dirty Faces, 2004-2006. Foto a getto d’inchiostro originale su carta Hahnemühle Photo Rag, h 5 m.
2) Nada Prlja, What Would Happen if We Succeed?, 2011. Betulle in vaso, annaffiatoio, dimensioni variabili.
3) Andrej Škufca, Synthetic zero, 2019. Poliestere, poliuretano e alluminio, 8 x 6 x 1,3 m.
4) IRWIN, Was ist Kunst Bosnia and Herzegovina – Heroes 1941-45, 2018. 100 dipinti, olio su tela, 70 x 50 x 100 cm.
5) Z. Badovinac, Più grande di me – Dalla ex Jugoslavia con amore, in Z. Badovinac, G. Ferracci, (a cura di), Più grande di me. Voci eroiche dalla ex Jugoslavia, catalogo della mostra, Forma Edizioni, Firenze 2021, p. 24.
6) Milica Tomić, One day, instead of one night, a burst of machine-gun fire will flash, if light cannot come otherwise, Belgrado 2009/Roma 2012. Video in loop 10’, fotografie 70 x 100 cm.
7) Nika Autor, Newsreel 65 – We Have too Much Things in Heart…, 2021. Video su schermi LCD o TV. Realizzato in collaborazione con: Newsreel Front, Tara Najd Ahmadi, Andreja Hribernik, Jošt Franko, Andrej Šprah e Ciril Oberstar.
8) https://www.autor.si/newsreel65.html, consultato il 7 luglio 2021.
9) G. Melandri, Prefazione, in op. cit., p. 10.)